Veronica De Romanis, economista fuori dal coro e garbata ma molto combattiva ospite di tanti talk show televisivi oltre che docente alla Luiss e alla Stanford University di Firenze, è una sostenitrice da sempre della Cancelliera tedesca Angela Merkel. Ne apprezza lo stile da leader e la strategia politica. E le ragioni le ha spiegate in due dei suoi tanti libri: sia quello scritto per Marsilio nel 2009 (“Il metodo Merkel. Il pragmatismo alla guida dell’Europa”) che in quello del 2013 sempre lo stesso editore (“Il caso Germania. Così la Merkel salvò l’Europa”). La De Romanis non ha certo cambiato idea ora che la Merkel è in forte difficoltà sia in Germania che fuori, al punto che c’è chi sostiene che la sua era volga fatalmente al tramonto. E ritiene che la Cancelliera sia un po’ come l’araba fenice, sempre pronta a risorgere dalle ceneri. Ma che cosa succederebbe in Germania e in Europa se davvero la Merkel uscisse di scena? E per l’Italia sarebbe meglio o peggio? Ecco come la pensa Veronica De Romanis in questa intervista a FIRSTonline.
Il 61% degli elettori tedeschi chiede che i migranti con richiesta di asilo avviata in un altro Paese siano espulsi dalla Germania e il ministro bavarese dell’Interno, Seehofer sfida apertamente la Cancelliera, bombardata anche da Trump con una violenza mai vista, a trovare un accordo in sede europea sui migranti minacciando, in caso contrario, di avviare la dura politica dei respingimenti: la leadership di Angela Merkel sembra per la prima volta dopo 13 anni in serio pericolo. E’ la fine di un’epoca o la Cancelliera riuscirà a trovare un colpo d’ala?
“Attenzione a sottovalutare Angela Merkel. In questi tredici anni ininterrotti alla guida della Germania, la Cancelliera ha attraversato diverse difficoltà, ma si è sempre rialzata. Sicuramente questo è un momento delicato per la tenuta del suo quarto governo. Seehofer ha dichiarato di voler procedere a respingimenti automatici alle frontiere – e non a una valutazione caso per caso come richiesto dalla stessa Cancelliera – nel caso in cui un accordo non venisse trovato al Consiglio europeo di fine giugno. La Merkel è determinata a cercare una soluzione europea ma è chiaro che, a questo punto, uno strappo con il suo Ministro degli Interni non è da escludere. A fonte di un simile rischio, trovare un compromesso sarebbe nell’interesse di tutti. Una crisi di governo in Germania creerebbe, infatti, una forte instabilità nell’intera area dell’euro. A pagarne il prezzo sarebbero anche gli altri stati membri”.
L’emergenza migranti sembra la mina vagante in grado di spaccare realmente l’Europa: su questo terreno la Merkel appare in seria difficoltà in patria di fronte al braccio di ferro con Seehofer ma, per la prima volta, piuttosto isolata anche in Europa. Sull’immigrazione la Cancelliera ha dato prova di grande solidarietà e lungimiranza ma non ha convinto l’opinione pubblica: ha sbagliato i suoi conti politici?
“Probabilmente ne ha fatti pochi di calcoli politici quando nel settembre 2015, in una situazione di assoluta emergenza, decise di “aprire le porte” ai profughi in nome dei valori della solidarietà e dell’accoglienza. “La Germania” disse “è un grande paese che deve essere in grado di accogliere chi fugge da guerre e torture”. Il provvedimento fu adottato senza avvertire gli altri Stati europei e, soprattutto, senza fornire le necessarie spiegazioni e rassicurazioni ad un’opinione pubblica tedesca disorientata dagli arrivi di massa. La Merkel ha presto capito le conseguenze derivanti dalla gestione di quasi due milioni di persone e ha cercato di rimediare con misure restrittive (giro di vite sulle espulsioni, maggiori controlli, ecc.) ma anche con stanziamenti di fondi per l’integrazione. Tuttavia, ha potuto recuperare solo in parte il consenso perduto. A cavalcare l’onda del malcontento è stata, invece, Alternative fur Deutschland (AfD), forza xenofoba di ultra destra, che ha fatto il pieno di voti alle elezioni del settembre scorso, entrando per la prima volta al Bundestag, il parlamento tedesco. Nonostante il calo del suo partito, la Cancelliera non ha mai ceduto alla tentazione di inseguire i populisti, imitandoli o facendo proprie alcune istanze. Ha continuato per la sua strada, spiegando che non esistono soluzioni semplici a problemi complessi come quella dei migranti (l’Afd propone l’uso della forza alle frontiere). A suo avviso, queste sfide non si risolvono con i muri perché i muri prima o poi cadono, e lei lo sa bene, avendo vissuto trentacinque anni nella Germania dell’Est. E’ chiaro che con una simile posizione il conto da pagare può essere elevato. Resta, tuttavia, il politico più popolare in Germania”.
Che Germania sarebbe senza la guida della Merkel e che effetti avrebbe sull’intera Europa l’uscita di scena della Cancelliera?
“La Cancelliera guida la Germania dal 2005. Nel suo primo mandato, con le riforme delle pensioni, del sistema federale e della pubblica amministrazione ha completato l’Agenda 2010 voluta dal suo predecessore Schröder. Nel secondo e terzo mandato ha gestito la crisi europea, rallentando in parte la spinta riformatrice. I risultati, tuttavia, ci sono: il paese cresce, la disoccupazione è ai minimi storici, i conti sono in ordine. Sul piano nazionale, molto resta da fare, in particolare per fronteggiare l’aumento delle disuguaglianze. A livello europeo, la Cancelliera è riuscita a convincere i suoi concittadini a fare passi un tempo inimmaginabili. Basti pensare al Quantitative Easing (QE), uno strumento inviso ai tedeschi che temono da sempre l’inflazione. La Merkel ha appoggiato la Banca centrale europea – nel rispetto dell’indipendenza dell’Istituto -, senza creare strappi con il presidente della Bundesbank Weidmann, fortemente contrario al QE. Per quanto riguarda gli aiuti ai paesi in difficoltà, è riuscita a far approvare i 5 salvataggi rassicurando i tedeschi che ciò non avrebbe dato luogo a una Transfer Union vietata dai Trattati (la Germania è il paese che ha contribuito maggiormente a questo salvataggi). Ha proceduto a piccoli passi, talvolta facendo perdere tempo prezioso, ma ha sempre supportato la creazione di tutti gli strumenti necessari a rendere l’Unione più resiliente. Ha perseguito l’interesse dei tedeschi, come è naturale che sia in un’Unione che non è un’Unione politica, ma sempre con l’obiettivo di rafforzare l’Europa. Del resto, gli interessi dei tedeschi corrispondono con quelli di un’Europa forte e stabile. Un’uscita di scena di Angela Merkel avrebbe, pertanto, l’effetto di indebolire la costruzione europea: difficile immaginare un successore più europeista di lei. La Cancelliera, peraltro, è l’unico leader che può vantare esperienza di lunga data. E’ stata protagonista di infiniti negoziati: conosce le regole e l’importanza delle alleanze. E poi, mai come in questo momento, la capacità di trovare compromessi, tratto distintivo del suo modo di fare politica, rappresenta uno strumento indispensabile per progredire in un’Europa sempre più divisa”.
Malgrado la gestione condivisa dei migranti in sede europea sostenuta dalla Merkel sia l’unica possibile sponda per un’Italia che chiede da tempo di ricollocare i migranti che approdano in Italia, il divorzio sentimentale che si è consumato negli anni tra la Cancelliera e l’opinione pubblica italiana sul terreno dell’austerità, vera o presunta, e della politica economica europea sembra difficilmente rimediabile, al punto che la Cancelliera è diventata il nemico uno del Governo Lega-Cinque Stelle: che effetti avrebbe per l’Italia la fine dell’era Merkel?
“La fine dell’era Merkel significherebbe una Germania più chiusa sul fronte dell’immigrazione. Da questo punto di vista, la Cancelliera è la nostra migliore alleata. Il Master Plan di Seehofer consiste nel rimandare indietro circa 66mila migranti che sono entrati in Germania con documenti ottenuti in altri paesi. Va precisato, che la maggioranza di queste persone dovrebbe tornare in Italia, risultato opposto dell’obbiettivo perseguito dal governo di Roma. Sul fronte dell’austerità, dare la colpa alla Germania non serve a molto. Quando si condivide una moneta, le regole fiscali sono necessarie perché l’azione di un paese può avere effetti negativi anche sugli altri. Queste regole sono state firmate anche da noi e messe in Costituzione – come il Fiscal Compact – nonostante non fosse richiesto. Peraltro, chi oggi chiede l’abolizione del Fiscal Compact deve essere consapevole che è proprio grazie a questo accordo che la Banca centrale europea ha potuto dare il via libera all’Outright Monetary Transactions (OMT) e poi al Quantitave Easing, che ha permesso all’Italia di risparmiare decine di miliardi di spesa per interessi. Del resto, in assenza di regole, l’Istituto di Francoforte non avrebbe potuto acquistare titoli di paesi con un debito pubblico non ancora stabilizzato come il nostro. Abbandonare questi strumenti significherebbe, pertanto, indebolire il progetto dell’euro. Chi lo chiede dovrebbe rimuovere questa ambiguità”.
Combattiva e irriducibile com’è, la Merkel sta tentando fino all’ultimo di rilanciare l’Europa anche sul terreno delle riforme e del rafforzamento dell’Eurozona facendo asse con la Francia di Macron, come è emerso dal patto di Meseberg, ma non le sembra che sia troppo tardi e che le chiusure manifestate in passato dalla Germania e dalla Merkel sulla politica economica europea e in particolare sul completamento dell’Unione bancaria abbiano pregiudicato il rapporto con l’Italia della Lega e dei Cinque Stelle e reso più difficile la riforma dell’Europa nel desolante panorama continentale di oggi?
“Si parla poco di questi temi in Italia e invece sono fondamentali. Sull’Unione bancaria la Merkel dopo aver accettato il pacchetto completo ha deciso di frenare l’attuazione del terzo pilastro, la garanzia unica dei depositi. Chiede che la “condivisone” dei rischi avvenga solo dopo la “riduzione” dei rischi. Dal suo punto di vista, troppo poco è stato fatto. L’Italia dovrebbe cercare di favorire un accordo: completare l’Unione bancaria è fondamentale per il rafforzamento del progetto europeo e, in particolare, per un paese come il nostro. Per essere credibile al tavolo dei negoziati, però, il governo di Roma deve iniziare a diminuire il debito, ossia proprio quel rischio che la Cancelliera vuole limitare. A questo proposito, continuare a chiedere ulteriore flessibilità di bilancio (dopo aver ottenuto già 40 miliardi) non aiuta”.
Tra dissidi sui migranti, divergenze sulle strategie economiche e guerre commerciali con gli Usa, l’Europa non è mai stata così debole e così divisa come oggi: in una situazione così complicata, il futuro dell’euro è davvero irreversibile come dice il presidente della Bce Mario Draghi o rischia, prima o poi, di saltare – come sperano i sovranisti – insieme a tutta la costruzione europea?
“Il futuro dell’euro dipende molto dall’Italia, che è la terza potenza europea. Il fallimento del progetto dell’euro sarebbe un disastro per tutti. Significherebbe essere piccoli e isolati in un mondo globalizzato, dove bisogna far fronte a sfide come l’immigrazione, il terrorismo e il protezionismo di Trump: nessuna economia, inclusa la Germania, ha la forza per affrontarle da sola. Peraltro, solo parlare dell’uscita dall’euro, come recentemente dichiarato dal presidente Draghi, crea instabilità perché i mercati iniziano a scommettere su una “uscita vera e propria”. Basti pensare a ciò che è accaduto in Grecia nelle settimane che hanno preceduto il referendum sul terzo pacchetto di aiuti: le immagini dei pensionati disperati in coda ai bancomat vuoti dovrebbero far riflettere. In conclusione, la crisi ha mostrato che le soluzioni possono essere trovate. E, infatti l’euro è ancora vivo nonostante della sua morte se ne parli spesso”.