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De Giovanni: “Amo i miei personaggi e su vaccini e voto la penso così”

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Tutto cominciò per caso. Lo sanno i lettori, lo sa chiunque abbia avuto a che vedere anche solo per curiosità con Maurizio De Giovanni, classe 1958, napoletano verace, scrittore, drammaturgo, sceneggiatore. Era il 2005 e la Porsche Italia lanciò un concorso per giallisti emergenti a cui gli amici di Maurizio lo spinsero a partecipare. Sede del concorso fu il Gran Caffè Gambrinus, a Napoli ovviamente. Nacque così “I vivi e i morti”, il nucleo fondamentale delle storie del commissario Ricciardi, bellissimo e tenebroso poliziotto che vive nella Napoli degli anni Trenta e che è stato il protagonista indiscusso e amato di sedici libri dello scrittore. Ricciardi, lo sanno i lettori appassionati, ha un dono (o una maledizione) particolare.

Per chi non conosce il commissario nemmeno per averlo visto interpretato da Lino Guanciale nella serie televisiva, ricordiamo che questo dono lui lo chiama il Fatto. E consiste nel “fatto” che percepisce gli spettri delle vittime di morte violenta (sia incidenti che omicidi) in un’immagine evanescente nei luoghi del decesso, che continuano a ripetere ossessivamente la frase che stavano dicendo o pensando nel momento della morte. Un particolare magari prezioso per le indagini del poliziotto, ma assolutamente sgradevole per l’uomo, che infatti è una persona sola dal punto di vista sentimentale e che tale vuole rimanere per impedire che “il fatto” possa essere ereditato dalla sua discendenza.

Da quell’anno a oggi ne sono passati di personaggi nell’opera di De Giovanni: i Bastardi di Pizzofalcone, Sara, Mina, la protagonista anche dell’ultimo libro, “Una sirena a Settembre”, edito da Einaudi.

Mina, come gli affezionati sanno, è anche la protagonista di una fortunata serie televisiva della Rai diretta da Tiziana Aristarco e interpretata dalla bravissima Serena Rossi, di cui si attende per l’autunno la seconda parte.

I personaggi di De Giovanni sono quasi tutti poliziotti (Mina però è un’assistente sociale), ma come dice lui non perché voglia scrivere storie di criminalità organizzata, ma perché i suoi obiettivi sono i sentimenti e vanno ricercati dove il dolore e il malessere sociale appaiono più evidenti.

Maurizio De Giovanni, da sedici anni, da quando iniziò per gioco, lei non fa altro che scrivere, sceneggiare, pensare personaggi: lo avrebbe mai immaginato quel giorno al Gambrinus? Come la fa sentire?

“Sono estremamente gratificato, vivere della propria immaginazione è la cosa più bella che possa capitare. Sono consapevole della mia fortuna, posso raccontare le mie storie. Ne parlo al plurale perché non ho un unico personaggio, che, come spesso accade, rappresenta lo scrittore. Racconto le storie degli altri. Che sono tanti. Quindi non posso avere crisi, né cali di ispirazione: gli umani hanno un’infinità di cose da raccontare. E questo implica anche una semplicità nelle mie storie. Perché mantengo sempre le stesse emozioni, mi muovo sempre nella stessa direttrice. Ho insomma la fortuna di non essere uno di quegli scrittori che scrivono un libro e poi non riescono più a continuare”.

I suoi personaggi sono veramente diversi, non ne ha di prediletti?

“No. Ho lo stesso sentimento per ognuno di essi, sono coinvolto allo stesso modo, voglio bene a tutti nella stessa maniera”.

Non è che lei ha inventato Mina perché ora le donne vanno più di moda? E quindi bisognava trovare personaggi femminili?

“Assolutamente no. Cominciamo col dire che io mai in nessun caso faccio una pianificazione a tavolino delle mie storie, non l’ho mai fatto. Io non penso ai miei lettori quando scrivo, penso solo ai miei personaggi. Nello specifico, le ricordo che prima di Mina c’è stata Sara, la fortissima agente di una unità speciale di Polizia. E poi non è vero anche più in generale. I miei personaggi femminili sono sempre più importanti di quelli maschili. Prendiamo Livia e Enrica, per esempio, le due donne di Ricciardi. Oppure le mie poliziotte dei Bastardi (Ottavia e Alex), o la mia pm sempre dei Bastardi (Laura Piras). Il fatto è che io mi occupo di sentimenti, io non scrivo di criminalità organizzata, di criminalità finanziaria, non scrivo di potere. Crimini passionali, emozioni, quindi le donne devono essere assolutamente cardinali. Diciamo che nella mia narrazione ricorre spesso la maternità, è un aspetto centrale. Deriva tutto da lì, è questo l’aspetto imprescindibile”.

Maternità? In che senso?

“In senso lato. Le donne amano nutrendo e raccontando. È ancestrale. Le donne fanno da mangiare per chi amano e raccontano a chi amano. Questo modo di raccontare e di nutrire è alla base della mia narrazione. E quindi per me l’aspetto femminile è obbligatorio, irrinunciabile. Imprescindibile, appunto”.

 Cosa si aspetta da “Mina a Settembre”?

“La deluderò, ma io ho già la testa da un’altra parte. Quando ho finito di scrivere una storia per me quella storia è finita. Seguirò ovviamente la promozione di “Mina a Settembre”, come per tutti i miei libri, ma sto già pensando ad altro”.

Ne possiamo parlare?

“Ora sto scrivendo una commedia. Per Antonio Milo e Adriano Falivene, gli attori che interpretano Maione (ndr: il brigadiere della regia questura e spalla investigativa di Ricciardi) e Bambinella (ndr: il femminiello, informatore di Maione, sempre in Ricciardi). E successivamente scriverò il nuovo libro sui Bastardi di Pizzofalcone”.

Che vedremo presto in tv nella terza serie…

“Sì. Andrà in onda il 27 settembre. Ho avuto la fortuna di vederla in anteprima ed è la migliore delle tre serie. Sono sicuro che piacerà veramente tanto ai miei lettori”.

Veniamo alla pandemia: vaccinato? Preoccupato?

“Sono sulla linea vigorosa dei vaccini. È un elementare dovere civico vaccinarsi. Come ha detto il presidente Mattarella, con il quale mi sento sempre sulla stessa lunghezza d’onda”.

Come si spiega i no vax?

“Credo che la loro paura e disinformazione siano incentivate politicamente in maniera folle e irresponsabile. C’è una parte politica che ha fomentato questo atteggiamento. Alla base credo ci sia un malinteso senso di rispetto delle libertà individuali. È come se uno non volesse mettersi il casco quando va in moto. Quando metti il casco obbligatorio cerchi di eliminare il costo sociale che ne deriva se ti rompi la testa. Però rompersi la testa è meno grave del diffondere un virus, almeno non è contagioso. È ancora più criminale pensare di non vaccinarsi perché significa incentivare la circolazione del virus, favorire le mutazioni del virus e quindi invalidare il vaccino degli altri”.

Che ci guadagnano, oltre a qualche voto, queste forze politiche? Come si fa a puntare sulla pandemia?

“Io penso si tratti banalmente del desiderio di opporsi alle idee degli altri. Penso che si voglia cavalcare un facile consenso, follemente e irresponsabilmente. Sono sconcertato e avvilito”.

Napoli e campagna elettorale: la sta seguendo? Che idea si è fatto?

“Devo dire che sostanzialmente tutti i candidati sono di altro profilo, (ndr: per Pd e 5Stelle Gaetano Manfredi; per il centrodestra Catello Maresca; indipendente Antonio Bassolino; Alessandra Clemente di DemA), per fortuna cadiamo bene in ogni caso. Sono convinto però che Manfredi sia il candidato giusto, sia per il profilo personale, elevatissimo, sia per le connessioni con le altre istituzioni che potrebbe praticare. A Napoli veniamo da un decennio di sostanziale isolamento. C’è stata troppo a lungo una mancanza di dialogo istituzionale. Manfredi credo che più degli altri garantisca una linea di dialogo costante sia con palazzo Santa Lucia, cioè la Regione, sia con Roma, cioè il governo, sia con Bruxelles, vale a dire le istituzioni europee. Dialogo che nei prossimi anni sarà considerato l’aspetto centrale della questione napoletana e meridionale. Io sono convinto che Manfredi sia la scelta giusta per la mia città”.

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