C’è grande attenzione da parte degli esponenti politici su come riformare la presentazione delle liste dei Cda delle società quotate. Il dossier-cda, sui tavoli della Commissione finanze del Senato, nell’ambito del disegno di legge Capitali, ha ricevuto oggi una riformulazione dell’emendamento presentata dai senatori Fausto Orsomarso di Fratelli d’Italia e Dario Damiani di Forza Italia. Le novità si intrecciano con la delega al governo per riscrivere il Tuf.
Se da una parte il ddl non potrà agire sulla formazione del cda di Mediobanca, già alle battute finali, dall’altra occorre considerare che il ddl dovrebbe entrare in vigore nel 2025, proprio l’anno in cui andrà in scadenza il board delle Generali che il gruppo Delfin e Francesco Gaetano Caltagirone vorrebbero rinnovare alle loro condizioni di azionisti di maggioranza (nell’aprile 2022 si erano scontrate le liste del cda e degli azionisti Del Vecchio e Caltagirone).
I dettagli del nuovo emendamento
La riformulazione del testo presentata conferma che lo statuto delle società quotate italiane potrà prevedere che il cda uscente possa presentare una propria lista. Ma la nuova versione riduce la maggioranza necessaria per deliberare la presentazione: basteranno i due terzi dei consiglieri del board uscente, mentre la precedente formulazione chiedeva l’ok dei quattro quinti degli amministratori presenti.
Poi c’è il passaggio che riguarda il numero dei componenti della lista proposta dal cda uscente. Nella versione dei relatori risultava pari al doppio dei candidati da eleggere, invece la nuova formulazione prevede che la lista contenga “un numero di candidati pari al numero dei componenti da eleggere maggiorato di un terzo”. Questo stesso punto conferma, come la versione precedente, che tale lista vada presentata “entro il quarantesimo giorno precedente la data dell’assemblea convocata per deliberare sulla nomina dei componenti del consiglio di amministrazione”.
Quanto agli eletti, nel momento in cui la lista del board uscente è quella che ottiene il maggior numero dei voti in assemblea, occorre che ogni singolo candidato della lista debba passare al voto dell’assemblea e vengono così nominati coloro che ottengono il maggior numero di voti. Nel caso di pareggio le cose cambiano rispetto alla versione precedente: prima era previsto un ballottaggio, ora viene stabilito che in caso di parità tra candidati si proceda “in base all’ordine progressivo con il quale i medesimi sono elencati nella lista”.
Eliminato il limite del 51%
Infine la parte spinosa dell’emendamento: quella che prevedeva l’assegnazione alla lista del cda di un numero di consiglieri non superiore al 51%.
La soglia sparisce nella nuova versione, la quale dice solo che “nel caso in cui la lista del consiglio di amministrazione uscente risulti quella che ha riportato il maggior numero di voti in assemblea, i componenti del nuovo consiglio di amministrazione di competenza delle minoranze sono tratti dalle altre liste secondo le seguenti modalità”. Queste modalità assumono particolare rilievo nella circostanza in cui le altre liste ottengano più del 20% dei voti. Nella prima versione ad esse veniva assegnato il 49% dei posti in cda. In quella nuova invece “qualora il totale dei voti raccolti in assemblea dalle altre liste, in numero non superiore a due in ordine di consensi raccolti, sia superiore al 20% del totale dei voti espressi, i componenti del nuovo cda di competenza delle minoranze sono assegnati proporzionalmente ai voti ottenuti dalle liste di minoranza che hanno conseguito una percentuale di voti non inferiore al 3 per cento. I voti delle liste che hanno conseguito una percentuale di voti inferiore al 3 % sono assegnati proporzionalmente ai voti ottenuti dalle liste di minoranza che hanno superato detta soglia”. In sostanza se una lista di minoranza ottiene, ad esempio, il 28% dei voti, i posti nel board saranno attribuiti in modo proporzionale.