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Dazi Usa-Cina, verso un nuovo sovranismo tecnologico?

L’escalation di tensioni commerciali tra Usa e Cina coinvolge sempre di più l’ambito tecnologico, aprendo a nuovi e sorprendenti scenari: e se entro pochi anni si rompesse il monopolio di Google & C.?

Dazi Usa-Cina, verso un nuovo sovranismo tecnologico?

Chi di protezionismo ferisce, di protezionismo perisce. Nella guerra dei dazi scatenata dal presidente americano c’è un aspetto di cui si è parlato poco e che invece potrebbe sconvolgere il futuro dell’economia mondiale nei prossimi anni: la tecnologia. E non è detto che la rivoluzione del tecno-nazionalismo, o del sovranismo tecnologico che dir si voglia, gioverà agli Stati Uniti. Anzi. Mentre stanno per scattare (in teoria il 15 dicembre) i dazi al 15% sui prodotti cinesi che ancora erano rimasti fuori dalle barriere commerciali (tra cui appunto l’elettronica, però con una esenzione ad hoc per Apple che come noto produce in Cina), Pechino ha già risposto annunciando che già nel 2022 tutti gli uffici pubblici del Paese da 1,3 miliardi di abitanti dovranno usare solo hardware e software cinese.

La grande novità, sulla quale evidentemente Xi Jinping lavora da tempo, è che oltre a confermare la propria leadership mondiale nel mercato hardware (cioè delle macchine), la Cina si appresta a rompere il monopolio degli over the top americani (Google, Windows, Apple) sui sistemi operativi. La Cina diventerà dunque tecnologicamente indipendente e potrà rompere l’egemonia Usa non solo in virtù di un mercato interno più ampio, ma facendo leva sulla sua crescente influenza geopolitica, anche a livello tecnologico: Pechino infatti ha già colonizzato digitalmente quasi tutta l’Asia (esclusa l’India) e sta riempendo i “vuoti” lasciati dalle potenze occidentali in aree sempre più numerose dell’Africa e dell’America Latina.

Per non parlare delle reti: Huawei con la tecnologia 5G ha già sedotto l’Italia e l’Europa, bruciando sul tempo la concorrenza. Il gigante cinese, che non a caso è entrato nella lista nera di Trump, nel 2018 ha contribuito con 12,8 miliardi di euro alla crescita europea, sostenendo circa 170.000 posti di lavoro sia direttamente sia attraverso l’indotto. Huawei ha già aperto 23 laboratori di ricerca in 12 Paesi europei (di cui 2 dedicati proprio al 5G), ha attivato progetti congiunti con circa 140 università europee, finanzia dottorati. Proprio Huawei in Europa ha fatto un primo esperimento di “smarcamento” dal sistema operativo di Google, Android: in autunno a Monaco ha lanciato la nuova serie di smartphone Mate 30, tra cui il top di gamma 30 Pro e l’elegante 30 Rs Porsche Design.

Per ovviare alla mancanza delle licenze Google per Android, l’azienda di Shenzhen ha inserito come sistema operativo una versione open source di Android, supportata dall’App Gallery invece che dal Play Store per scaricare e installare le applicazioni come Facebook o WhatsApp. Praticamente ha fatto in modo di renderle scaricabili tutte quante tranne, ovviamente, quelle marchiate Google e quindi mancano YouTube, Maps, Gmail e Calendar, per citarne alcune. La mossa rende l’idea di quanto sia ormai alla pari la sfida Usa-Cina anche in campo tecnologico, e di quanto le cose potrebbero cambiare in pochissimi anni se davvero Pechino iniziasse a produrre software autoctoni.

E l’Europa? Il Vecchio continente per ora sta alla finestra, ma sarà in ogni caso l’ago della bilancia per decretare il vincitore (se ce ne sarà uno…) della sfida del sovranismo tecnologico. E al momento strizza di più l’occhio verso Est. Lo dimostra innanzitutto la giusta e dura battaglia condotta dall’Antitrust di Bruxelles contro gli abusi di posizioni dominanti degli over the top a stelle e strisce, con multe anche molto salate che sono arrivate in particolare a Google e Facebook. Poi, c’è la sgradevole questione fiscale, ormai percepita sempre più come priorità al di qua dell’Atlantico, tant’è vero che la nuova Commissione ha annunciato la web tax, scatenando peraltro le ire di Trump che ha già minacciato dazi, soprattutto sui prodotti francesi. Infine la questione della privacy, con l’Europa sempre molto attenta a disciplinare una materia in cui l’irruzione della Cina potrebbe sparigliare le carte.

Che cosa accadrà dunque nel prossimo futuro? Difficile prevederlo, e ancora più difficile ipotizzare se i cambiamenti gioveranno all’economia italiana ed europea e ai consumatori. Di certo è che la globalizzazione digitale, da sempre appannaggio degli Usa e del mondo occidentale, si sta via via sgretolando e che ormai anche in un mercato che è globale per eccellenza, come quello tecnologico, l’escalation nazionalista cambierà ancora una volta le nostre abitudini.

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