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Dazi Usa: 10% su tutte le importazioni dall’Europa, i 27 studiano contromisure, ma divisi su difesa

FIRSTonline

Una decisione ufficiale non è stata ancora presa ma Donald Trump starebbe valutando l’idea di imporre dazi del 10% su tutti i prodotti importati dall’Unione europea e non in misura asimmetrica a secondo dei settori e dei Paesi come è avvenuto nella precedente amministrazione Trump. 

La notizia è stata riporta dal Telegraph che ha citato una fonte vicina all’amministrazione Usa. La mossa è destinata a gettare benzina sul fuoco della guerra commerciale globale dopo che sabato gli Stati Uniti hanno imposto tasse fino al 25% su beni importati da Messico, Canada e del 10% su beni dalla Cina, per poi posticipare la mossa di un mese. Una fonte vicina all’amministrazione Trump avrebbe affermato che non c’è ancora un accordo “ma alcuni vogliono imporre una tariffa del 10 percento all’Ue e stanno parlando di farlo su tutte le importazioni dall’Ue”.

I dazi Usa prendono in contropiede la Ue

La decisione, se verrà presa, è destinata a cogliere in contropiede la Commissione Ue che già nell’agosto scorso, quando Ursula von der Leyen aveva già ottenuto il voto del Parlamento europeo (ma non ancora tutta la Commissione) aveva insediato un gruppo di lavoro ad hoc per studiare possibili contromisure nel caso in cui fosse stato eletto Trump a presidente degli Stati Uniti. Oltre a una serie di ritorsioni commerciali sulle importazioni dall’America era stata valutata anche la possibilità di negoziare accordi nel settore energetico (gas liquefatto) e della difesa per acquisti finalizzati a ridurre il peso dei dazi.

Intanto fonti europee hanno rivelato che domenic  il premier canadese, Justin Trudeau, ha avuto una telefonata con il presidente del Consiglio Ue Antonio Costa per avvisarlo dell’intenzione di adottare contromisure nei confronti degli Stati Uniti. Entrando ieri mattina al vertice informale di Palais d’Egmont a Bruxelles convocato per uno scambio informale di riflessioni e proposte sulla difesa comune molti leader tra cui il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il premier polacco, Donald Tusk hanno riaffermato la volontà di rispondere in maniera ferma e decisa a un aumento dei dazi Usa.

 Il tema ha poi dominato anche la discussione della mattina sulle relazioni transatlantiche intrecciandosi spesso con i temi dell’autonomia strategica della Ue nel settore della difesa. “L’Europa, da potenza qual è, dovrà farsi rispettare e reagire“, ha annunciato Macron. Sulla stessa linea anche  Scholz secondo il quale “è chiaro che, in quanto forte area economica, possiamo gestire autonomamente le nostre questioni e reagire alle politiche di dazi con politiche di dazi che sono dannosi per entrambi le sponde dell’Atlantico, quando sorgono problemi si dovrebbero trovare delle soluzioni”. Per la Polonia, guidata dal premier del Ppe, Donald Tusk, presidente di turno dell’Ue, sarebbe “stupido” finire in una guerra commerciale in questo delicato momento. Per l’Alta rappresentante per gli Affari esteri, Kaja Kallas, in una guerra di dazi tra Ue e Usa “riderebbe solo la Cina”.

Ue ancora divisa sui finanziamenti per la difesa

Una cosa sembra chiara: tutti leader Ue vogliono evitare lo scontro diretto con Trump, ma non si tirano indietro se dovesse dichiarare la guerra commerciale. Su questo c’è unità e consapevolezza che l’Unione europea è una potenza commerciale forte di mercato unico da 450 milioni di persone  in grado di tenere testa agli Stati Uniti. I 27 rimangono però divisi su come rendere l’Europa anche una potenza militare, senza affidarsi totalmente alla protezione della Nato e degli Stati Uniti. 

Insomma il tentativo è di creare un fronte comune dei Paesi colpiti dalle nuove misure americane. Tuttavia proprio sugli acquisti dagli Stati Uniti sono emerse divergenze tra i Ventisette. La Francia, ad esempio, rivendica l’esigenza di  preferire l’industria della difesa europea quando si tratta di acquisti congiunti. Insomma mettere in pratica un ‘buy european’ per sostenere il settore e rafforzare l’autonomia strategica. Una decisione che viene respinta da Germania e Polonia che chiudono a ogni forma di selettività o restrizioni. 

Ancora una volta il tasto dolente riguarda i finanziamenti per la difesa comune e come utilizzare i programmi della Bei e le risorse private. Mark Rutte, segretario generale della Nato, ha partecipato al pranzo informale in cui ha ribadito che a giugno verrà indicato un obiettivo di spesa per la difesa ben più alto dell’attuale 2% che diversi Paesi – Italia compresa – ancora non rispettano. Il nuovo premier belga, Bart De Wever, sovranista fiammingo al suo esordio al vertice, ha promesso che il suo Paese raggiungerà il 2% del Pil per la difesa, per una questione di “credibilità” nei confronti degli alleati. “Poi nel futuro parleremo del 5%”, ha aggiunto. 

Su come aumentare la spesa, alcuni Stati propongono di stanziare più fondi pubblici e tra questi la Francia. Ma anche la frugale Finlandia apre “alla possibilità di nuovi strumenti” per finanziare la corsa alle armi. Paesi Bassi e Lussemburgo rimangono dell’idea che non vi sia necessità di nuovi fondi comuni né tantomeno di debito comune o eurobond. La Lituania, insieme alla Grecia, sposa la proposta italiana di scorporare i fondi della difesa dal calcolo del Patto per la stabilità.

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