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Dazi, si apre il fronte Usa-Messico: ecco perché

FIRSTonline

L’Ocse ha rivisto le stime sulla crescita globale alla luce dell’estenuante guerra dei dazi, che condiziona l’andamento degli utili aziendali insieme all’incognita Brexit. Nel 2019-2020 il Pil mondiale si manterrà inferiore ai massimi del biennio precedente, mentre quest’anno crescerà del 3,2% rispetto al +3,5% dell’anno passato.

Gli Usa continuano a guidare le dinamiche globali raggiungendo il livello minimo di disoccupazione al 3,6%, che non si vedeva da 50 anni, grazie agli oltre 20 milioni di posti di lavoro creati negli ultimi dieci anni e ad una partecipazione al lavoro complessiva che supera il 62% della popolazione.

Così, ora che è uscito indenne dalle accuse del Procuratore speciale sulle collusioni con la Russia in campagna elettorale, Donald Trump può permettersi di sbandierare i successi economici, cercando di distrarre l’attenzione del mondo intero dagli effetti congiunturali della guerra dei dazi in Cina. E lo fa gettando sul tavolo due assi: le dichiarazioni accondiscendenti di Pompeo sui negoziati con l’Iran, che è in piena recessione e quindi più malleabile; e la punizione nei confronti dei messicani, rei di non riuscire a gestire le migrazioni centroamericane.

Il consigliere di Trump Peter Navarro non si muove dalle tre richieste: la messa in sicurezza del confine con il Guatemala, una lotta convincente al contrabbando internazionale (che è diventato come per le migrazioni verso l’Europa un contrabbando di esseri umani estremamente remunerativo) e un piano ben organizzato di assistenza e gestione dei richiedenti asilo.

Oggi la ministra dell’Economia messicana, Graciela Marquez, è attesa a Washington per cercare di ammorbidire la posizione statunitense in vista della data fatidica del 10 giugno, quando saranno alzate del 5% le tariffe su tutte le merci messicane importate negli Usa. L’incremento potrà arrivare gradualmente fino al 25%, rendendo praticamente inefficace anche l’ultima versione del Nafta, entrato in vigore il primo ottobre dello scorso anno con il nome di Usmca (Usa-Messico-Canada Agreement). Un accordo che mette insieme 480 milioni di persone e scambi commerciali pari a 1.200 miliardi di dollari l’anno. Nella sua nuova versione, sono state inserite le stesse clausole sulla proprietà intellettuale che sono diventate oggetto di disputa con la Cina, insieme alla “supremazia tecnologica”.

E proprio dallo scorso ottobre, oltre 500 mila clandestini sono stati fermati al di là dei confini messicani, un problema in più per il neopresidente Obrador, che deve già frenare le smanie americane sul muro e affrontare l’esito delle elezioni amministrative dello scorso weekend. Il suo Movimento di Rigenerazione Nazionale (Morena) 18 mesi fa ha battuto i partiti che da sempre amministravano il Paese e che per 70 anni non sono mai riusciti a sconfiggere corruzione, malaffare e narcotraffico dilagante.

Certamente il Presidente Usa non lascia indietro nessuno dei punti della sua agenda elettorale e a onor del vero la questione messicana è diventata un’emergenza nazionale per gli Stati Uniti. Lo specchio di una crisi umanitaria del continente latino-americano continuerà a pesare sugli investimenti nei Paesi emergenti dell’area. Anche per questo Obrador dovrà passare rapidamente dalle parole ai fatti, soprattutto per continuare ad approfittare dell’abbrivio che il braccio di ferro con i cinesi aveva regalato all’interscambio commerciale Usa- Messico.

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