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Dazi auto, Trump valuta lo stop temporaneo: perché i mercati festeggiano ma l’incertezza resta alta

Nuova giravolta di Trump: ipotizzata una sospensione temporanea dei dazi auto per favorire il reshoring negli Usa. Rally dei titoli, guida Stellantis, ma l’industria resta preoccupata. Elkann all’assemblea soci: “Industria auto americana ed europea a rischio, 2024 anno deludente anche per colpa nostra”

Dazi auto, Trump valuta lo stop temporaneo: perché i mercati festeggiano ma l’incertezza resta alta

Nuova retromarcia di Donald Trump. Il presidente americano ha, infatti, lasciato intendere che potrebbe sospendere temporaneamente i dazi del 25% imposti sulle importazioni di auto e componenti. L’obiettivo, ha spiegato il presidente, è quello di offrire “un po’ di tempo” alle case automobilistiche per riorganizzare le proprie catene di approvvigionamento e trasferire la produzione “da Canada, Messico e altri Paesi negli Stati Uniti”.

“Sto valutando una soluzione che possa aiutare alcune case automobilistiche in questo senso”, ha dichiarato Trump, parlando dalla Casa Bianca. “Hanno bisogno di un po’ di tempo perché produrranno i loro prodotti qui, ma hanno bisogno di un po’ di tempo”. Parole che segnano un ulteriore passo indietro rispetto a quella che solo poche settimane fa era stata definita una misura “permanente”. Ma del resto, la coerenza non è mai stata il punto forte della dottrina Trump, che questa volta si è superato: “Io non cambio idea, ma sono flessibile“.

La possibile tregua sui dazi dà fiato ai titoli dell’automotive

L’annuncio ha avuto riflessi immediati sui mercati, dove gli investitori sembrano aver accolto la “flessibilità” presidenziale come una boccata d’ossigeno. A Piazza Affari, il comparto auto è tra i migliori: il Ftse Italia All Share Auto guadagna l’1,44%, mentre lo Euro Stoxx 600 Auto cresce del 2,42%. A brillare è soprattutto Stellantis, in rialzo del 4,16%. Positiva anche Pirelli e Iveco Group, più timida Ferrari, considerata meno esposta al rischio dei dazi. A Parigi sono in luce Michelin e Renault, mentre a Francoforte Continental avanza del 2,95%, BMW del 3,58% e Volkswagen del 3,62%. Anche a Wall Street il sentiment è positivo: dopo le parole di Trump Ford ha chiuso in rialzo del 4,07% e General Motors del 3,46%.

Intanto, le strategie dei gruppi si stanno rapidamente adattando: Nissan, per esempio, ha annunciato un taglio alla produzione del Suv Rogue in Giappone per il periodo maggio-luglio, pari a oltre un quinto dei volumi destinati agli Stati Uniti nel primo trimestre.

Il gruppo giapponese, che vende più di un quarto dei propri veicoli sul mercato americano, ha spiegato che la decisione è legata all’incertezza sulle tariffe. “Stiamo rivedendo le nostre operazioni di produzione e supply chain per garantire efficienza e sostenibilità. Il nostro approccio sarà ponderato e deliberato mentre affrontiamo gli effetti sia immediati che a lungo termine”, ha fatto sapere Nissan.

I costi della guerra commerciale

Secondo una stima di Boston Consulting Group, l’impatto potenziale della politica tariffaria di Trump sull’industria automobilistica globale potrebbe arrivare a 140 miliardi di dollari, quasi un quarto del valore complessivo delle vendite di veicoli negli Stati Uniti. I rincari stimati non sono marginali: un motore potrebbe costare tra il +27,5% e il +72,5% in più a seconda del Paese d’origine; una portiera tra il +7,5% e il +52,5%; un sistema audio tra il +14,9% e l’+83,9%. A queste condizioni, nemmeno gli optional restano opzionali.

“L’incertezza è totale”, spiega Davide Di Domenico, senior partner di BCG. “Tutte le case automobilistiche hanno attivato ‘war room’ per studiare scenari e contromisure, ma prima di muoversi attendono di capire se i dazi verranno davvero modificati o solo rinviati”. Tradotto: nessuno si fida.

Produzione interna? Sì, ma con chi?

La volatilità normativa non incentiva certo gli investimenti. Anzi, li congela. Le case automobilistiche, spiega ancora BCG, non riescono nemmeno a pianificare un’espansione produttiva negli Usa: non tanto per mancanza di volontà, quanto per mancanza di manodopera. La disoccupazione americana è ai minimi storici, e le competenze richieste non sono facilmente reperibili.

Il rischio? Un ulteriore aumento dei prezzi delle auto e una contrazione stimata di un milione di unità vendute ogni anno. A farne le spese saranno soprattutto i gruppi europei e asiatici, costretti ad assorbire maggiori costi o a riversarli sui consumatori. Margini compressi, vendite in calo: il classico scenario lose-lose.

Auto: il vantaggio (parziale) case americane

Ford, GM e Stellantisle “tre sorelle” di Detroit – sono in una posizione leggermente più favorevole: il loro livello di produzione sul suolo nordamericano è già elevato (80% per Ford, 58% per GM, 43% per Stellantis). Ma non basta. Il 30-45% dei loro componenti arriva comunque da Canada e Messico. E quei flussi, se tassati, rischiano di inceppare anche le catene “domestiche”.

Matt Blunt, presidente dell’American Automotive Policy Council, ha confermato la delicatezza del momento: “C’è una crescente consapevolezza che dazi estesi sui componenti potrebbero minare il nostro obiettivo comune di costruire un’industria automobilistica americana fiorente e in crescita, e che molte di queste transizioni della catena di approvvigionamento richiederanno tempo”.

Verso un’industria frammentata

Gli effetti della guerra commerciale vanno però ben oltre i confini statunitensi. Secondo Giuseppe Collino, managing director di Bcg, il conflitto Usa-Cina si riverserà anche sul mercato europeo: “Le case automobilistiche cinesi cercheranno di penetrare l’Europa con prezzi ultra-competitivi. Hanno costi bassi e capacità produttiva in eccesso: anche con dazi Ue, possono permettersi di spingere”.

Il vero rischio, sottolineano gli analisti, è una frammentazione duratura della filiera globale, con la formazione di blocchi regionali distinti: uno a trazione statunitense, uno europeo e uno asiatico. Una geografia industriale spezzata che renderebbe più rigide – e costose – le strategie produttive dei grandi gruppi.

In questo contesto, la tanto sbandierata “flessibilità” di Trump somiglia più a una toppa che a una soluzione. L’annuncio di una sospensione dei dazi può anche aver calmato i mercati nell’immediato, ma non basta per riattivare investimenti, assunzioni e piani industriali. L’incertezza resta il vero dazio da pagare.

Assemblea Stellantis: Elkann lancia l’allarme su dazi e normative “industria auto a rischio”

In giornata si è tenuta ad Amsterdam anche l’assemblea degli azionisti di Stellantis. Il presidente John Elkann ha colto l’occasione per mettere a fuoco le tensioni che gravano sull’industria, tra normative europee “irrealistiche” e dazi americani “dolorosi”. Un mix che rischia di mettere in seria difficoltà sia l’Europa che gli Stati Uniti: “con l’attuale percorso di tariffe e regolamenti troppo rigidi, l’industria automobilistica americana ed europea è a rischio“, ha dichiarato Elkann; “sarebbe una tragedia, perché parliamo di un settore che crea occupazione, innovazione e coesione sociale. Ma non è troppo tardi per cambiare rotta”. Secondo il presidente, una transizione ordinata è ancora possibile, purché le due sponde dell’Atlantico agiscano in modo tempestivo. E in questo senso, ha accolto con favore le aperture di Donald Trump su un possibile allentamento dei dazi.

Non sono mancate le note dolenti sul fronte interno di Stellantis: “il 2024 non è stato un buon anno per il gruppo” ha ammesso John Elkann; “alcune delle cause erano sotto il nostro controllo, ed è questo che rende il risultato ancora più deludente”. Dopo l’uscita dell’amministratore delegato Carlos Tavares, avvenuta lo scorso dicembre, il gruppo è ancora in cerca di un successore, la cui nomina, secondo Elkann, è prevista entro la prima metà del 2025.

L’assemblea degli azionisti ha approvato con oltre il 99% dei voti il bilancio 2024 e, con il 66,92% dei consensi (e il 33,08% contrari), anche la nuova politica di remunerazione. Il dividendo previsto è di 0,68 euro per azione, in netto calo rispetto agli 1,55 euro distribuiti lo scorso anno. Il Remuneration Report 2024 include anche i compensi e la buonuscita dell’ex Ceo Tavares: riceverà complessivamente 23,1 milioni di euro per il 2024, in calo del 37% rispetto ai 36,5 milioni dell’anno precedente, e una buonuscita da 12 milioni, che sarà erogata nel 2025. Alcuni investitori, tra cui Allianz Global Investors, e advisor come Proxinvest, hanno criticato l’entità del pacchetto in un anno segnato dal calo di utili e vendite.

Novità anche nel board: entra Claudia Parzani, presidente di Borsa Italiana, mentre vengono confermati membri chiave come Fiona Clare Cicconi e Nicolas Dufourcq. L’assemblea ha inoltre dato il via libera all’autorizzazione per l’acquisto di azioni proprie e all’emissione di nuovi titoli.

Ultimo aggiornamento ore 16,17

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