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D’Amico, cresce il business: ora è una big cap del mare

Colloquio con Giovanni Barberis, direttore finanziario di d’Amico International Shipping, che oggi controlla la nona flotta al mondo per i carichi secchi (metalli e cereali) e liquidi (prodotti raffinati), ed è al quinto posto fra le società quotate nel settore – “Non siamo più una small cap” – “Ripresa? Procede ma a rilento. Ci salviamo grazie al petrolio”.

D’Amico, cresce il business: ora è una big cap del mare

D’AMICO, DOPO IL COLLOCAMENTO CRESCONO I FONDI. ORA LA MULTINAZIONALE E’ UNA BIG CAP DEL MARE 

La ripresa mondiale? ”Procede, ma a rilento, dati i segnali di frenata in Asia. Ma l’America è in pieno boom, nonostante le conseguenze del grande freddo. A gennaio, però, il mercato ha ripreso anche al traino dello shale oil. Gli Stati Uniti stanno diventando un grande esportatore di prodotti raffinati. Lo shale oil è più pulito e di miglior qualità rispetto al greggio del Medio Oriente. E gli Usa stanno rimpatriando le raffinerie.” Le conseguenze? “Per noi buone, dati i rapporti con le Sorelle del petrolio”. Riflessi dalla crisi dell’Ucraina? “Per ora non ci sono conseguenze sulle materie prime. Ma siamo pronti, nel caso crescessero le richieste di commerci via mare in caso di complicazioni via terra”.

Un colloquio con Giovanni Barberis, direttore finanziario di d’Amico Inteernational Shipping, è un’ottima occasione per avere in tempo reale il polso della situazione dell’economia e della geopolitica mondiale. Questo perché, senza troppi clamori ma con una marcia sicura, la società ha ormai scalato le classifiche, sia in termini finanziari che di  business. Oggi d’Amico controlla la nona flotta al mondo per i carichi secchi (metalli e cereali) e liquidi (prodotti raffinati), ma occupa il quinto posto mondiale nella graduatoria tra le società quotate. Ed è la prima per redditività, con un profitto 2013 di 18,9 milioni su un fatturato di 191,2 milioni.

Niente male per quella che è sempre stata considerata una mutinazionale tascabile. “Ma oggi non siamo più una small cap – aggiunge Barberis, orgoglioso per la performance finanziaria degli ultimi 18 mesi – Abbiamo numeri da medium cap”. Vediamoli: il valore di Borsa è salito (anche grazie l’aumento di capitale all’origine della svolta) dai 30 milioni del giugno 2012 ai 310 milioni circa di oggi; il titolino sottile che registrava transazioni per 30 mila pezzi oggi è scambiato con volumi medi attorno a 1,5 milioni al giorno, garantendo la necessaria liquidità per i grossi investitori. Anche per questo il  collocamento del 10% del capitale effettuato lo scorso 7 marzo ha avuto un notevole successo: richieste per 6 volte l’offerta. “E successivo rialzo in Borsa – sottolinea Barberis – a conferma che la domanda, reale e non fittizia, non era stata soddisfatta per intero. I grandi fondi hanno apprezzato il fatto che abbiamo sempre rispettato gli obiettivi, sia in termini di strategie che di risultato”. Oggi, dietro alla famiglia d’Amico (scesa al 60%) figura il fondo inglese Tufton Oceanic (al 5%) seguito da una decina di fondi italiani ed internazionali con quote attorno al 2%.

La flotta, insomma, avanza con il vento in poppa. Prosegue il programma di ammodernamento (13 nuove navi di qui al 2015, 4 già consegnate e noleggiate a Total e Chevron contro 6 in vendita); la situazione finanziaria (più di un miliardo di assets contro 150 milioni di debiti) è il vero atout. “Altre società hanno avuto grosse traversie culminate nel sequestro della nave e del carico a bordo, con grossi problemi per i clienti. La nostra forza finanziaria ci mette al riparo da questi pericoli, così come la capacità di programmare a tempi lunghi”. Non a caso, in un momento in cui i noli tirano alla grande, D’Amico non disdegna di siglare contratti a lungo termine. “E’ una politica che ci ha messo al riparo in passato dalle oscillazioni dei mercato”. Insomma, l’importante è saper agire in maniera anticiclica, riducendo il rischio volatilità. Come deve fare una multinazionale dei mari che ha l’avvertenza di utilizzare equipaggi omogenei (“una sola etnia, una sola religione e una lingua comune”) ma valorizza il know italiano: “i nostri capitani studiano all’università del mare, l’istituto Caboto di Gaeta. E sono quasi tutti italiani”. 

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