Mostro o genio?
Hirst è davvero impossibile. Si vede che lo squalo in formaldeide, la mucca e il suo vitellino nello stesso liquido, il teschio diamantato, i mega-feti di Doha o le mosche incatramate della Fondazione Prada non erano ancora sufficienti a definire la sua poetica di artista brutalmente e sfacciatamente innovatore.
Per gli animalisti è un mostro, per i collezionisti d’arte un genio. Io propendo per il primo, anche se c’è veramente della genialità (magari satanica?), nel suo lavoro.
Quando nel novembre 2019 ho visitato, con i miei giovani nipoti, la galleria della Fondazione Prada, le stomachevoli mosche incatramante di Hirst sono la “roba” che mi è rimasta più addosso. Una futile strage specista da Tribunale dell’Aja.
La musica più adatta mi sembra questa, o questa per le povere mosche.
Mi meraviglio — non del Bertelli, ma di Miuccia, persona di gran classe. Penso che Miuccia possa sostenere Hirst per il sincero impegno dell’artista nelle cause umanitarie come l’ultima iniziativa per Save the Children.
Forse è la mia particolare sensibilità nei confronti degli animali; ai ragazzi, con me alla Fondazione Prada, il “signore delle mosche” ha smosso poco, hanno sentito molto di più il percorso labirintico e sensoriale di Carsten Höller, una scenografia che starebbe bene in Big Fish di Tim Burton.
L’istinto per gli affari
Come la sua connazionale J.K. Rowling, Hirst ha un istinto innato per gli affari. Inclinazione che non è certo un difetto e neanche da biasimare in un artista.
Che cosa si è inventato ora il guascone Damien Hirst?
Di fatto, ha deciso di battere moneta. A differenza, però, delle banche centrali che non riescono a farlo, Hirst da deciso di coniare banconote e allo stesso tempo criptovaluta, nella forma di un NFT (Non Fungible Token). Sì, ancora loro!
Il suo nuovo progetto si chiama, infatti, “The Currency”. Già circolano degli scatti dove lo si vede in compagnia di un sorridente Mark Carney, il banchiere canadese già governatore della Banca d’Inghilterra. Ambedue tengono in mano dei pezzi di carta colorata a pallini.
Lo strato teorico
“The Currency” è un progetto molto complicato, distribuito su più livelli, come un videogioco, e soprattutto è costruito intorno all’intreccio tra materiale e immateriale.
Non sono sicuro di essere riuscito a capirlo in tutte le sue articolazioni. In ogni caso provo a descrivervelo, naturalmente con l’aiuto del Financial Times (FT) che ha dedicato un ampio servizio a “The Currency”.
Prima, però, mi soffermo sullo strato di teoria estetica che mira a “palafittare” questo “esperimento” (secondo le parole dello stesso Hirst) per inscriverlo nel territorio dell’arte.
Come sottolinea il FT, l’artista inglese è affascinato dai modi con i quali l’arte diventa transazionale così da potere esplorare la cognizione esistenziale di valore, fiducia e fede.
Hirst non è nuovo a un certo “sperimentalismo esistenziale”: nella sua precedente produzione artistica ha esplorato le nozioni di “decomposizione, entropia, vanitas e morte”, come scrive la storica dell’arte Valentina Sonzogni. Ecco le povere bestiole in formaldeide e anche il progetto di Doha, The Miracolous Journey, sponsorizzato dalla sceicca Al Mayassa Bint Hamad Bin Khalifa Al Thani, una delle persone con più portafoglio nel mondo dell’arte.
Oggi Hirst sembra piuttosto intenzionato ad esplorare altro: per esempio, le possibilità di diffondere l’opera d’arte attraverso le nuove tecnologie. Riferisce il FT che, guardando Monna Lisa, Hirst dice di essere “interessato alle cartoline che la riproducono quanto alla cosa reale”.
Chi poteva dire una cosa simile, se non Hirst?
Fin qui niente di nuovo
Ora l’artista ha creato 10.000 dipinti a puntini colorati su un foglio di carta speciale, di formato A4. Sembrano le carte da gioco di Gulliver. Questi dipinti appaiono identici, ma sono in realtà unici. La carta non è solo firmata e numerata come avviene nelle riproduzioni d’autore, ma è trattata e filigranata con un ologramma incorporato e altre tecniche che rendono ogni foglio impossibile da copiare o contraffarre.
Proprio come una banconota. In effetti è una banconota. Il nomignolo che la bottega di Hirst ha coniato per questi pezzi unici è “tenner” (cioè il nome, in slang, di un biglietto da 10 sterline).
A ogni pezzo della collezione è associato un token non fungibile, che può essere acquistato, su richiesta, per 2.000 dollari al pezzo. Non certo per un tenner! Il valore dell’operazione è quindi di 20 milioni di dollari. Anche il progetto di Doha sembra essere costato 20 milioni. Per di meno Hirst non si muove.
Gli NFTdi The Currency sono immediatamente commerciabili nel modo che sappiamo. Fin qui, business as usual.
…et voilà, le coup de théâtre
A questo punto arriva la pensata degna di Hirst: due mesi dopo l’emissione The Currency va fuori corso. A questo punto i proprietari degli NFT devono effettuare una scelta. Dovranno decidere se tenere l’NFT oppure l’opera d’arte fisica: NON possono avere entrambi.
Se l’acquirente decide di tenere l’NFT, o non compie alcuna scelta, l’opera d’arte corrispondente sarà distrutta (dico distrutta, à la Banksy).
Se, invece, il compratore sceglie l’opera fisica, il corrispondente NFT sarà cancellato dalla blockchain.
Ma dico: si può cancellare un record registrato in una blockchain? Qui devono proprio dirci come fanno. Mica c’è un’autorità centrale nella blockchain! Inoltre il record è distribuito su milioni di computer.
Che ne sarà, alla fine?
Dopo qualche mese, quindi, il progetto “The Currency” potrebbe consistere di 10.000 NFT oppure di 10.000 dipinti, o, molto più probabilmente, di un mix di entrambi. Quale sarà la percentuale dei componenti di questo mix è del tutto imprevedibile. È proprio questo esito l’aspetto più interessante e più atteso dagli osservatori e dagli operatori del mercato dell’arte.
Come sottolinea il quotidiano finanziario di Londra si tratta di un sistema con molteplici provocazioni. La più ovvia, è la sfida rivolta all’acquirente, specialmente a quegli acquirenti che hanno in mente un investimento: sarà apprezzato maggiormente l’NFT o l’opera d’arte originale firmata da Hirst? Cosa si preferisce possedere? Come sarà accolta la scommessa e quanti vi aderiranno? Hirst non può fare a meno di sperare che la maggioranza delle persone opti per l’opera d’arte fisica. Ma poi ammette che sarebbe “elettrizzante” se non lo facessero. “È un esperimento”, dice l’artista.
L’arte è moneta
Se l’arte è stata tradizionalmente considerata prima di tutto come un bene rifugio con un valore intrinseco destinato a non erodersi e poi come una merce commerciabile, lo schema ibrido ideato da Hirst rimescola le carte.
Nella visione dell’artista, le opere d’arte fisiche così come gli NFT possono agire come un mezzo di scambio, cioè come una “moneta”.
L’arte è moneta — afferma Hirst —. Molte persone hanno un problema con questa dimensione che, invece, spiega l’alchimia per la quale poche sterline di materiali diventano un oggetto potenzialmente di immenso valore.
L’artista, dunque, di fatto conia moneta e la presenza di Mark Carney, nel video di presentazione del progetto, sembra proprio legittimare questa ipotesi.
Magari i suoi ex-colleghi governatori di banche centrali si sentiranno defraudati di una loro prerogativa. Ma devono capire che dove arriva l’arte non arriva nessun’altra attività umana, neppure la finanza degli stati e delle istituzioni internazionali.
… e la moneta è fiducia
Dice Mark Carney, nel video citato: Tutti i sistemi monetari sono basati sulla fiducia; nel caso dell’arte, c’è un elemento ulteriore di aspettativa. Tutte le società hanno dato credito al processo magico dell’arte fin dall’inizio della storia umana. E nel mondo di oggi il nome stesso dell’artista è una parte essenziale del processo di attribuzione del valore.
“Sì, sono un marchio”, ammette Hirst con falsa modestia. “Non so se mi piace, però”.
Sì, sei un brand, caro Hirst, e per questo devi dare il buon esempio con gli animali, così come fa The Joker, Joaquin Phoenix. La stessa considerazione vale anche per il Cattelan dei cavalli. Però l’ultimo lavoro di Maurizio Cattelan, che si chiama Blind, adesso alla Bicocca merita da solo il viaggio a Milano.
Mentre siete in viaggio su AV per Milano, già da Bologna, potete mettere in cuffia questo album della Colonna Durruti. Si ispira a Karlheinz Stockhausen (uno zinzino più melodico).
Prima di andare
Nel post del 13 maggio, Apple e la libertà di scelta, avevamo commentato la decisione di Apple di non consentire alle applicazioni di tracciare il comportamento degli utenti senza il loro previo esplicito consenso. Adesso, a due mesi di distanza, Bloomberg ci informa che il 75% degli utilizzatori dell’iPhone che hanno installato iOS 14.5 (la versione del sistema operativo che include questa funzione) hanno negato il tracciamento delle applicazioni.
Ora gli inserzionisti sono nel panico, scrive Bloomberg, e con loro lo è Facebook. È bello che la gente inizi a capire il valore del connubio dati-identità. Finora sembrava non interessare nessuno. Prossimo passo è farci pagare per i dati.
Adesso si apprende che anche Google, per le prossime release di Android (che hanno il nome di gelati), si appresta a fare la stessa cosa che ha fatto Apple. Quando si desterà la bella addormentata che riposa al Campidoglio e a Bruxelles.
Damien Hirst (a sinistra) con l’ex-governatore della Banca d’Inghilterra, Mark Carney, nel video di presentazione del progetto “The Currency”. La persona che smazza i fogli con le banconote da 10 sterline, appena stampate, l’ho aggiunta io (Mario Mancini).