Eurobond o euro-bill, qualcosa nel Vecchio continente si muove. Noti i primi, meno i secondi, si tratta allo stesso modo di strumenti che permetterebbero agli Stati di poter godere di titoli obbligazionari garantiti dalla Comunità europea, o meglio, garantiti in ultima istanza dai paesi economicamente più forti, cioè la Germania e in misura minore la Francia. Ma ora che la crasi Mercozy si è sciolta, il cancelliere tedesco Angela Merkel è rimasta la sola, per ora, a non indietreggiare di un millimetro sull’ipotesi eurobond. Oggi l’ennesima conferma: “Gli eurobond sono una soluzione insostenibile”, ha detto al Bundestag, il Parlamento tedesco.
Irremovibile lei, meno chi le sta intorno. Per parafrasare Olli Rhen, commissario Ue per gli affari economici, “la musica degli eurobond” sta comunque cominciando a prendere forma. Almeno a livello teorico, note su spartito. E anche il premier Monti parla oramai di “tempi che si avvicinano” a chi gli chiede dei titoli obbligazionari europei. E di tempo se n’è atteso un po’. Perché di eurobond se ne parla dagli anni Novanta. Ne parlò per la prima volta il presidente della Commissione europea Jacques Delors, pensati come ipotesi per facilitare gli investimenti infrastrutturali in Europa. Tempi in cui la crisi dei debiti sovrani non era preventivabile. Oggi sono l’unico antidoto possibile alla sussistenza della moneta unica e alla soluzione dei problemi relativi all’indebitamento degli Stati. Una situazione aggravata dalla crisi spagnola, quella italiana e dalla tempesta politica che attraversa l’Olanda.
Ma per venire incontro alle esigenze tedesche si vagliano altre soluzioni. L’ipotesi euro-bill è la new entry nel dibattito tra gli economisti. L’idea è venuta ad un gruppo di studiosi di area franco-tedesca, tra cui Thomas Philippon, in odore di incarico nel governo Hollande, che in campagna elettorale ha chiesto a più riprese l’introduzione degli eurobond. Si tratta di titoli a breve termine (scadenza inferiore ad un anno), emessi da un Debt Management Office europeo, qualcosa che, per semplificare, potrebbe essere paragonabile ad una segreteria del Tesoro targata Ue. Un mercato da 800 miliardi di euro, obbligazioni che godrebbero di un’alta liquidità e di tassi di interesse bassi. In più con il marchio Ue sugli scudi risulterebbe facilitata la difesa da fenomeni speculativi. Ogni paese potrebbe finanziarsi con questi strumenti per un massimo del 10% del Pil. Un po’ come succede negli Usa con i Treasury Bill, da cui i nostri hanno mutuato idea e nome. E non a caso. Perché oltre che la Germania, gli euro-bill devono piacere anche agli investitori, specie a quelli americani.
Per la Germania l’amara pillola della garanzia sui debiti dei Piigs verrebbe addolcita da un lato dalla condizione tassativa di rispettare i vincoli di bilancio sanciti dal fiscal compact per chi volesse finanziarsi con gli euro-bill, dall’altro che le emissioni a lungo termine saranno comunque appannaggio dei singoli Stati. Spagna, Italia o Portogallo ad esempio, da un lato godrebbero di un rating sul loro debito a breve termine modellato sulla garanzia tedesca, dall’altro resterebbero soggetti al giudizio dei mercati per quanto riguarda i bond a lungo termine.
Un compromesso che ha già ottenuto il placet dai vertici del Fondo monetario interanzionale Christine Lagarde (direttrice generale) e Olivier Blanchard (chief economist). A Lagarde poi toccherebbe il compito di convincere Angela Merkel della bontà della proposta. L’assenso potrebbe essere lenire le ferite del fu Merkozy e aprire un nuovo corso europeo con un dialogo più diretto con Hollande e Monti. E magari stuzzicare qualcuno più fantasioso a coniare un nuovo neologismo.