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Dalla controcultura alla cybercultura: hippy o nerd?

Un libro dello storico dell cultura Theodore Roszak, presto disponibile anche in italiano, mette in correlazione il ’68 con la Silicon Valley: “Il mantra che echeggia nella valle non è molto diverso da quella di allora”.

Dalla controcultura alla cybercultura: hippy o nerd?

Gli hippy

Che la moderna rivoluzione tecnologica — quella dei personal computer, di Internet, dei device intelligenti — sia stata nutrita dalla visione e dal seme della controcultura californiana degli anni 60 è qualcosa di fuori discussione. La cultura degli hippy è percolata nelle menti dei protagonisti di questa rivoluzione e nelle organizzazioni a cui hanno dato vita. L’epicentro di questo terremoto è stato ed è la Silicon Valley, l’area compresa tra San Francisco e San José. Come sia avvenuto lo spiega molto bene in un libro, From Satori to Silicon Valley, lo storico della cultura Theodore Roszak. È stato proprio Roszak a coniare il termine “controcultura”. Il libro sarà presto disponibile anche in italiano.

La controcultura è stato un fenomeno vasto ed epocale e non viene immediatamente da associarlo ai computer e alla tecnologia di cui la Silicon Valley è il nucleo. Eppure negli anni settanta e ottanta un legame si è stabilito. Forse sono stati proprio i prodotti della tecnologia a diventare il veicolo attraverso il quale un movimento alternativo come quello della controcultura è entrato prepotentemente nel mainstream degli stili di vita globali.

È stato soprattutto l’ideale comunitario dei figli dei fiori, la loro indole libertaria, la voglia di allargare gli orizzonti e il disprezzo per l’autorità centralizzata a issare saldamente i fondamenti filosofici ed etici di Internet e dell’intera rivoluzione del personal computer. Quest’ultima si è avviata proprio verso il crepuscolo di quell’esperienza. Il mantra che tutt’oggi echeggia nella Valle non è molto diverso da quella di allora. Solo lì per cambiare il mondo. Lo cambieranno con i loro prodotti, perché i loro prodotti amplieranno la mente delle persone e il loro modo di vivere. Non voleva la stessa cosa la controcultura degli hippy?

I nerd

Se una grande corrente della cybercultura deve molto agli hippy e al loro stile di vita e di pensiero, l’altra grande corrente, più fredda, ha il suo ceppo identitario in una differente forma di disadattamento e di disagio, quella dei nerd. Il suo epicentro potrebbe essere Seattle dove ha sede la Microsoft, fondata da Bill Gates. E dove ha sede anche Amazon. 25 anni fa, Jeff Bezos la scelse per il suo basso profilo fiscale.

Qui non c’è tanta controcultura, ma la convinzione della centralità della tecnologia. Non solo per il futuro delle nostre società e il benessere delle persone, ma anche per la sua forza di essere un veicolo diretto all’affermazione personale e al potere.

Entrambe queste correnti trovarono una confluenza nel voler costruire un’alternativa alle installazioni istituzionali e imprenditoriali della Costa orientale che dominavano il panorama della tecnologia alla fine degli anni 60. Organizzazioni conservative e gerarchiche, assertive e dominanti, espressione un po’ brutale della Corporate America di quegli anni.

Secondo queste organizzazioni, la computazione e la potenza di calcolo dovevano restare appannaggio dei grandi gruppi industriali e del governo e non c’era bisogno di condividerla con le masse. Questa era la visione della vecchia guardia della Costa orientale, dei Watson dell’IBM o, anche di un tecnologo brillante, come Ken Olsen della Digital Equipment.

Avviare un’impresa e cambiare il mondo

Per questo gli hippy odiavano i computer. I nerd, al contrario, li amavano, ma combattevano per qualcosa di diverso, ma alla fine convergente. Volevano che l’accesso a questi strumenti fosse illimitato e totale. Non doveva essere controllato e regimentato da un potere istituzionale o da una corporation conservatrice e pervasiva. L’accesso e la diffusione delle risorse, delle competenze e delle conoscenze computazionali avrebbe portato i nerd a dominare il mondo.

Nei suoi fini ultimi non era una grande visione di liberazione sociale, ma su molti punti intermedi del progetto collimava con quella di un gruppo di hippy. C’era, infatti, un nutrito plotone di loro che pensava che i computer potessero davvero trasformarsi in uno strumento di liberazione delle energie personali, di creatività e di emancipazione. Uno strumento, al pari dell’LSD, per alimentare le loro menti assetate di nuove esperienze. Da accaniti lettori di fantascienza, cosa in comune con i nerd, immaginavano quella enorme potenzialità delle macchine intelligenti, nel bene e, aggiungerei, nel male.

Ma quale poteva essere il mezzo più efficace per trasferire dalle loro menti alla realtà quel progetto di liberazione? La politica, l’istruzione, i media, la letteratura? No, lo strumento principale era fare impresa. Avviare cioè un’impresa tecnologica e farla crescere fino a togliere di mano lo scettro al complesso economico industriale dominante.

Il trionfo dei nerd

Nel 1996 Channel 4 e PBS (il servizio pubblico televisivo americano) distribuirono un documentario dal titolo The Triumph of the Nerds girato da un giornalista di “InfoWorld”, esperto di tecnologia, Robert X. Cringely. In effetti, seguendo il nostro schema, nel 1996 i nerd avevano trionfato. Microsoft sotto la guida del principe dei nerd, Bill Gates, dominava l’intera industria.

Tutti i suoi rivali erano in una situazione critica. La Apple era sull’orlo del fallimento, la NeXT di Steve Jobs si stava spegnendo, l’IBM, dopo il buco nell’acqua di OS2, stava per lasciare il comparto dell’informatica di massa. Microsoft stava espandendosi dal mercato consumer a quello corporate con soluzioni e idee che iniziavano a fare paura ai grandi incumbent che lo controllavano da decenni. Inoltre la generazione dei nerd si stava installando nei grandi centri di calcolo delle multinazionali e delle grandi imprese americane. Qui portavano una visione del tutto nuova rispetto manager della vecchia guardia che si erano formati sui mainframe.

L’unica vera minaccia al dominio di Microsoft, il web, era ancora nella sua infanzia. La corrente fredda dei nerd sembrava avere prevalso su quella calda degli hippy. E sarà proprio il web il luogo dove sarebbe risorta dalle ceneri la cultura anarchica e libertaria degli hippy e dove si sarebbe infranta la volontà di potenza di Microsoft.

Per il suo documentario Cringely realizzò una cospicua quantità di interviste con i protagonisti più noti e meno noti della rivoluzione del computer. Una di queste fu con Steve Jobs. Jobs era ancora impegnato nell’incerta esperienza di NeXT, ma già in forte rimonta grazie alla straordinaria affermazione di Pixar che lo aveva reso di nuovo miliardario. Jobs parlò per 70 minuti, ma Cringely utilizzò solo un quarto d’ora del girato. Il nastro originale andò perduto per poi essere fortunosamente ritrovato nel 2012 e divenire un film.

In chiusura della conversazione Cringely chiese a Jobs se si sentiva più un hippie o un nerd. Già ci si può immaginare la risposta.

Sei hippy o nerd?

Se proprio devo scegliere tra i due scelgo chiaramente hippy. Tutte le persone con cui ho lavorato erano in questa categoria. Se mi chiedi cosa sia un hippy, ti dico che questa è una parola che può avere molte connotazioni, ma non per me che sono cresciuto in quel clima. È proprio successo nel cortile di casa mia. Per me significava che c’era qualcosa di più di quello che ci si aspettava dalla vita. C’era qualcosa di più del lavoro, della famiglia, di due auto nel garage e della propria carriera.

C’era un’altra faccia della medaglia di cui non si parlava, c’era qualcosa che andava oltre il consueto. E il movimento hippy ha iniziato a sperimentare che cosa questo di più fosse. Voleva scoprire qualcosa di differente da quello che gli mostravano i loro genitori o si attendevano da loro nella vita. C’era un germe di cambiamento, quel germe ha fatto sì che le persone volessero diventare poeti piuttosto che banchieri.

Lo spirito dei prodotti

Si tratta di una cosa meravigliosa ed è lo stesso spirito che può essere trasferito ai prodotti. Le persone che li usano possono percepire quello spirito. Parlo, per esempio, delle persone che usano il Mac e lo adorano. Sentono che dentro c’è qualcosa di davvero meraviglioso, di magico. Non succede spesso che le persone nutrano sentimenti verso i prodotti. Quando succede significa che in quelli c’è qualcosa di particolare, di vivo.

La maggior parte delle persone con cui ho lavorato, credo che abbia scelto di lavorare con i computer per il semplice piacere di lavorare con i computer. Hanno deciso di lavorare con i computer perché sono il mezzo per collegarsi con le persone e trasmettere loro la propria visione. Ha, prima di tutto, un senso per loro. Se non ci fossero stati i computer queste persone avrebbero fatto altre cose, ma quando i computer sono stati inventati, vi hanno visto il mezzo per poter dire qualcosa al mondo.

Computer: la bicicletta della mente

Quando ero giovane ho letto un articolo su “Scientific American” che mi ha colpito. Parlava dell’efficienza motoria nelle differenti specie sulla base delle chilocalorie spese per percorrere un chilometro. In cima alla scala c’era il Condor. Il genere umano, il sovrano della creazione, figurava nella parte bassa della classifica. Ma se l’uomo prendeva una bicicletta spodestava il Condor dalla posizione suprema e la prendeva per sé.

Questa constatazione ebbe un impatto importante su di me. Mi fece capire che il genere umano può costruire degli strumenti che ampliano drammaticamente le proprie innate capacità. Il personal computer è la bicicletta della mente. Penso con totale convinzione che, di tutte le invenzioni dell’umanità, il computer vada a collocarsi al vertice. Man mano che il tempo passa ci rendiamo conto che il computer è lo strumento più straordinario che abbiamo mai inventato. E mi sento fortunato di trovarmi nel posto in cui tutto questo è successo e succede, la Silicon Valley, proprio nel preciso momento storico in cui succede.

Penso che quando la gente ripenserà a questo periodo fra cento anni lo vedrà come un periodo molto importante della storia e soprattutto in questo campo, che ci crediate o no. Se pensiamo all’innovazione che è nata da questo posto, la Silicon Valley e l’intera Bay Area di San Francisco, abbiamo un sacco di cose. Abbiamo l’invenzione del circuito integrato, del microprocessore, del semiconduttore. Abbiamo l’invenzione del moderno disco rigido e delle altre memorie di massa. Soprattutto c’è stata l’invenzione del personal computer, dell’ingegneria genetica, della tecnologia orientata agli oggetti, le interfacce grafiche utente inventate dal PARC, poi sviluppate anche da Apple. Infine c’è stata la connessione di rete. Tutto questo è successo nella Bay Area. È incredibile.

Perché la Silicon Valley

Questi sono luoghi particolari. Per due o tre motivi. Bisogna andare un po’ indietro nella storia. San Francisco è stata la culla della beat generation, è una cosa piuttosto interessante, c’erano gli hippy. È stato l’unico posto in America dove il Rock ‘n Roll ha davvero preso piede, dico bene? La maggior parte dei gruppi americani venivano tutti da qui. Penso a Joan Baez, i Jefferson Airplane, i Grateful Dead. Venivano tutti da qui, Janis Joplin, Jimi Hendrix, tutti.

Com’è successo? Ci sono Stanford e Berkeley, due università fantastiche che attirano persone intelligenti da tutto il mondo e le depositano in questo bel posto pulito e soleggiato dove ci sono tante altre persone intelligenti e si mangia molto bene.

Gira anche molta droga e ci sono molte altre cose divertenti. Per questo sono rimasti, c’è un immenso capitale umano che continua a riversarsi qui. Ci sono persone davvero intelligenti. Qui la gente sembra molto più sveglia e di mentalità aperta che nel resto del Paese. Penso che sia un posto davvero unico e che la sua storia lo abbia dimostrato. Per questo continua ad attirare le persone.

L’arte del computer è un’arte liberale

Qui si è forgiato anche un gusto, una filosofia che consiste nel voler fare le cose migliori che si possono fare, nel competere con quelle che sono già state fatte e nel replicarle nel proprio lavoro. Picasso diceva che i buoni artisti copiano, ma i grandi artisti rubano. E non c’è nessuna vergogna nel rubare le grandi idee.

Penso che ciò che ha reso grande Il Macintosh è che le persone che vi hanno lavorato erano musicisti, poeti, artisti, zoologi e storici. Si dà il caso che fossero anche i migliori scienziati del computer del mondo. Se non avessero potuto esprimere il loro talento in questo campo, avrebbero fatto cose straordinarie in altri campi della vita e del lavoro. Tutti abbiamo visto il computer come un’arte liberale e, magari sbagliando, abbiamo voluto portare in questo campo cosa di meglio c’era nelle arti liberali. Non penso che tu possa fare questa cosa se sei chiuso di mente.

Cioè, se non sei un hippy.

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