“Ultimo tango a Parigi”, il travagliato e controverso film del 1972 di Bernardo Bertolucci, che compie 50 anni, segnò la carriera di Maria Schneider e forse anche quella di Marlon Brando, che interpretò solo due ruoli da protagonista dopo quella pellicola.
La Corte di Cassazione italiana, con una sentenza del 29 gennaio 1976, ordinò la distruzione di tutte le copie del film di Bertolucci, incluso il master, per oscenità e per “esasperato pansessualismo fine a se stesso”.
La sentenza prevedeva anche la revoca dei diritti civili a Bernardo Bertolucci per cinque anni e la condanna a due mesi di reclusione con la condizionale per il regista, per il produttore Alberto Grimaldi e per Marlon Brando.
La visione del film rimase vietata in Italia fino al 1987, anno in cui fu scagionato e tornò nelle sale cinematografiche. Con 15,5 milioni di spettatori, “Ultimo tango a Parigi” risulta essere il sesto film più visto di sempre in Italia.
È interessante riportare la motivazione con cui i tre esperti chiamati dal Tribunale di Roma infine assolsero la scena più discussa dell’opera, quella della noce di burro.
“La stessa scena di massima violenza, quella della sodomizzazione di Jeanne, non è drammatica per il fatto in sé, per il contatto sessuale, ma perché costituisce la cerimonia rituale di una violenza nuda che si contrappone alla violenza civile, alla repressione familiare, ai rapporti di proprietà”.
Una superba immaginazione quella dei giudici e degli esperti del tribunale che, però, non erano a conoscenza del fatto, perché non rivelato, che quella scena fosse non consensuale da parte di Maria Schneider.
Un caso estremo
Anche il mondo del cinema, con le sue complesse interazioni personali, la forte competitività e l’incessante pressione del mercato, presenta, come altri impieghi faticosi, le sue brave patologie professionali.
I soggetti più a rischio sono coloro che devono interpretare ruoli diversi e impersonare svariate identità distanti dalla propria, in molteplici contesti emotivi e psicologici estremamente variabili.
L’immedesimazione in personaggi lontani dalla propria natura, anche per periodi prolungati, può dare luogo a fenomeni di dissociazione, come il boundary blurring, ovvero l’assottigliamento del limite tra il proprio io e il ruolo lavorativo.
Abbiamo visto nella serie “Severance” che la dinamica tra “innie” (la coscienza del lavoro) e “outie” (la coscienza della vita privata) causa traumi tali che una scissione definitiva sembrerebbe quasi ricercabile.
Oggi analizzeremo un caso estremo, quasi “clinico”, della “malaise dell’interprete”, quello di Maria Schneider dopo essere stata Jeanne in “Ultimo tango a Parigi” di Bernardo Bertolucci.
Il film “Being Maria”, diretto da Jessica Plaud, presentato a Cannes nel 2024 e presto disponibile, rilegge il film tramite lo sguardo di Maria Schneider: quel ruolo ha rappresentato una svolta traumatica nella sua esistenza.
Maria Schneider
Nel marzo del 1972, quando iniziarono le riprese di “Ultimo Tango a Parigi”, Maria Schneider (da non confondere con Romy) aveva da poco compiuto vent’anni e vantava solo piccole partecipazioni in film francesi.
Invece Marlon Brando, reduce dall’impareggiabile interpretazione di Vito Corleone nel coevo “Il padrino” di Francis Ford Coppola, ne aveva 48, più del doppio della giovane attrice.
Bernardo Bertolucci era alla ricerca di un volto giovane, dall’aspetto semplice e genuino, per interpretare Jeanne, una figura che doveva contrastare con il personaggio tormentato e maturo di Marlon Brando.
Per la giovane attrice, l’opportunità di lavorare con due nomi di tale calibro si presentava come un’occasione estremamente allettante. La sua carriera poteva prendere un abbrivio e una notorietà definitiva. Come accadde.
Tuttavia, come lei stessa raccontò in seguito, non era pienamente consapevole di ciò a cui andava incontro. Non conosceva nel dettaglio la sceneggiatura né la tipologia di scene erotiche che le si chiedeva di interpretare.
Nel film, il corpo della ragazza è esibito in modo esplicito o con tagli particolari. Brando rimane sempre vestito ad eccezione di una sequenza molto “castigata” e in una posa artistica, insieme alla ragazza, che richiama le figure di Matisse.
Marlon Brando
Sebbene quasi cinquantenne, l’attore americano conserva ancora un fascino e un fisico notevoli. Pur essendo attraente ci appare riluttante a mostrarsi senza indumenti sul set.
Lo vediamo costantemente indossare, anche nelle scene erotiche, un maglione a collo alto, pantaloni e, sovente, un cappotto color cammello, probabilmente misto lana, molto di moda all’epoca.
In una conversazione, l’amante della moglie (Massimo Girotti) ricambia l’apprezzamento di Brando sul suo aspetto. Tuttavia, egli ne dubita: lo tormenta il confronto con il fisico asciutto di Girotti che si allena alla sbarra.
È plausibile che il timore di scoprire la pancetta abbia spinto Brando a chiedere a Bertolucci di girare le scene erotiche con lui vestito. Un modo che nega la naturalezza di quei momenti. Forse era proprio questo lo scopo del regista.
Un’esperienza distruttrice
“Being Maria” di Jessica Plaud, un’autrice che ha lavorato con Bertolucci, ha come protagonisti l’attrice rumena Anamaria Vartolomei come la Schneider, Matt Dillon come Brando e Giuseppe Maggio come Bertolucci.
Il film afferma con forza la tesi che “Ultimo tango a Parigi” abbia irrimediabilmente segnato non solo la carriera di Maria Schneider, ma la sua intera esistenza da quel momento in avanti.
In effetti, la conclusione del film di Bertolucci prefigurava già tale sviluppo. In quel finale si cela un indizio del trauma: “Voleva violentarmi… era un pazzo”, queste le parole che la ragazza si dice per giustificare il suo gesto.
Alla luce delle rivelazioni successive, quella battuta della sceneggiatura non rappresentava una semplice finzione cinematografica, bensì rifletteva una realtà dolorosamente vissuta, come poi detto dall’attrice.
Maria Schneider, scomparsa nel 2011 all’età di 58 anni per un cancro al seno, riguardo alla scena della noce di burro ha affermato: “Mi sono sentita umiliata e mi sono sentita un po’ violentata, sia da Marlon che da Bertolucci”.
L’intento primario della regista di “Being Maria”, nel riproporre quella sequenza, è stato precisamente quello di mostrare la prospettiva di Maria Schneider, il modo in cui ella visse quel momento. Ecco come Jessica Plaud lo motiva: “Non intendevo replicare la scena di Bertolucci, non è un remake. Ho cambiato prospettiva mostrando Maria mentre osserva la troupe. Il suo ‘no’ e le lacrime sono autentici, non recitati, mentre tutti attendono lo ‘stop’ del regista”.
Being Maria
Consultando la sceneggiatura originale negli archivi della Cinématheque Française la regista ha potuto verificare che la scena non era presente nel copione, confermando così la versione della Schneider.
Il film trae ispirazione da My Cousin Maria Schneider, il libro che ripercorre la tragica esistenza di Maria: l’infanzia con un padre che la riconobbe tardivamente, il trauma di “Ultimo tango”, la droga e la malattia.
“Il pubblico moralista la etichettò come donna facile che faceva pornografia – ha dichiarato l’autrice Vanessa Schneider, – ma lei era modesta, riservata e persino conservatrice – un contrasto brutale con l’immagine pubblica che le fu imposta”.
Dopo “Ultimo tango”, riferisce ancora Vanessa, Maria rifiutò quasi tutti i copioni con scene di nudo. “Questo le creò la reputazione di essere una persona difficile con cui lavorare e, con l’arrivo delle droghe, inaffidabile”.
La ricostruzione della scena delle noce di burro in “Being Maria”, riletta dal punto di vista di Maria Schneider. Non era nel copione di “Ultimo Tango” e colse di sorpresa l’attrice che la subì urlando e piangendo.
Professione reporter
“Professione reporter” (The Passenger, 1975) di Michelangelo Antonioni rappresenta il film prediletto da Maria Schneider tra quelli da lei interpretati durante la carriera.
Antonioni la chiamò per interpretare “la ragazza” nella quale si imbatte il protagonista, Jack Nicholson, che può essere considerato a tutti gli effetti l’erede artistico di Marlon Brando.
Eppure, nel film di Antonioni si sarebbero potute presentare varie opportunità per scene analoghe a quelle di “Ultimo tango”. Nicholson è come Marlon Brando più adulto della ragazza, affascinante e in fuga da se stesso.
Tra i due c’è molta attrazione come in “Ultimo Tango” e, come desiderava Paul/Brando, la ragazza non ha un nome e David/Nicholson ne possiede uno che non gli appartiene. Entrambi i film condividono un epilogo simile.
Tuttavia in “Professione reporter” compare una sola scena di nudo, peraltro molto pudica. La ragazza e l’uomo sono ripresi da lontano, distesi sul letto, con le loro figure che compongono una scultura à la Rodin. Poi niente.
Così come Brando aveva imposto a Bertolucci di essere ripreso vestito, così la Schneider aveva richiesto ad Antonioni, pur non essendo avverso a determinate scene, di eliminare qualsiasi traccia di sequenze di nudo.
Quelle di “Ultimo Tango a Parigi” erano state le ultime. Ultimo tango, ultimo nudo.
Altri casi
Potremmo proseguire con altri casi emblematici del disagio legato all’interpretazione, come quello dei giovani protagonisti di “Zabriskie Point” che diventarono il simbolo giovanilistico della controcultura.
Mark Frechette, che interpreta se stesso, rapinò una banca e morì in carcere in modo misterioso, mentre Daria Halprin, anch’ella nel ruolo di se stessa, lasciò il cinema per dedicarsi alla danzaterapia in una comune di Boston.
E potremmo dilungarci sul “caso clinico” clamoroso dell’attore svedese Björn Andrésen, “il ragazzo più bello del mondo” che interpretò il ruolo di Tadzio in “Morte a Venezia” di Luchino Visconti.
E si potrebbe vieppiù allungare la lista con altri nomi: Heath Ledger, Olivia Hussey, Shelley Duvall, Isabelle Adjani e così via. Non sempre gli interpreti luccicano di polvere di stelle. Sovente, scendono nell’oscurità.