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Dal gas ai chip, l’industria alle prese con la carestia

Pixabay

Prima la Cina, adesso la Germania. Il copione della ripresa post-Covid continua a regalare sorprese. Si dava per scontato che a ripartire dopo il Covid-19 sarebbero state le officine del mondo, a partire dal colosso asiatico e dal potente motore manifatturiero d’Europa. Al contrario, gli indici Pmi segnalano che la Cina sta sotto quota 50, il confine tra espansione e recessione. Stamane, invece, le statistiche confermano che la produzione industriale tedesca è caduta ben oltre le attese ad agosto a causa dei problemi alle forniture: -4,0% da +1,3% di luglio. Le stime erano per un calo dello 0,4%.

Intanto, altra sorpresa, la punta dell’iceberg della crisi è l’industria dell’auto, che viaggia su numeri di un buon terzo inferiori ai valori precedenti la crisi. I famosi “colli di bottiglia”, cioè le forniture a singhiozzo di materie prime e di semilavorati hanno, insomma, sconvolto le classifiche della ripresa. E se i problemi della Cina sono legati in buona parte alla crisi delle infrastrutture, l’industria tedesca, terminale di un sistema produttivo sofisticato, patisce le difficoltà del “just in time”, più degli altri. Con effetti evastanti per un Paese la cui economia vive per la metà di import/export di auto, macchine utensili ed altri beni industriali. Con effetti paradossali: alla Traton, la controllata di Volkswagen dei camion, si è deciso di smontare le macchine già prodotte ma non ancora vendute per ricavare i componenti da destinare ai mezzi già assegnati ai clienti. E nel pianeta Stellantis, che pure soffre di problemi di scarsità che investono gli impianti in Italia, Francia e Stati Uniti, il punto più dolente riguarda la fabbrica ex Opel di Eisenach: il lavoro riprenderà solo a fine anno.  

Non a caso nelle classifiche della ripresa al primo posto figura l’industria polacca, fornitrice di semilavorati, meno toccata degli altri dalla fame di chips che sta frenando le produzioni più sofisticate. Al contrario, patisce la Francia: l’industria aeronautica, probabilmente la più dipendente dalle forniture elettroniche, rappresenta del resto il 12% della produzione industriale transalpina. 

In questo quadro l’Italia si colloca a metà del guado.  A sostenere la ripresa, finora più brillante rispetto ai cugini, è stato l’andamento dell’export, grazie soprattutto al contributo del boom dell’agroalimentare (+23% ad agosto), ma anche al risveglio del mercato interno, che ha favorito una forte ripresa (+11,4%) della produzione industriale.  Certo, gli effetti della crisi, specie sul fronte dell’energia, minacciano ormai da vicino anche la manifattura di casa nostra. 

L’allarme sulle sorti del gas naturale, in parte rientrate dopo le rassicurazioni di Vladimir Putin, tocca da vicino le sorti dei comparti più energivori: chimica, cementi, fonderie e tutte le capitali delle produzioni di punta del made in Italy: le fabbriche di ceramica, vetro e carta. Settori di peso per tutta l’economia italiana, con l’export che pesa fino al 65% del loro giro d’affari. Insomma, non è solo questione di scarsità, bensì di costi come ha rilevato il presidente di Federacciai Alessandro Banzato all’assemblea annuale degli imprenditori: “Se la crescita delle quotazioni continuerà come in questo ultimo periodo, è una questione di giorni valutare se e come fermare gli impianti per il livello eccessivo dei costi di produzione”. Oppure se procedere alla creazione di blocchi a scacchiera per i forni elettrici che comprino elettricità evitando gli orari di punta. 

L’aumento dei costi di produzione e l’effetto scarsità mettono le banche centrali di fronte ad una situazione quasi inedita, negli ultimi cinquant’anni: l’inflazione in crescita non è frutto dell’aumento della domanda, come si temeva, bensì di uno shock dell’offerta. Ovvero l’aumento dei tassi, medicina efficace di fronte ad un boom di salari e consumi, rischia di danneggiare ancor di più la macchina produttiva oltre a danneggiare i consumi. Non a caso in Usa si sta correndo ai ripari sul fronte dell’energia aprendo i forzieri delle riserve strategiche mentre la Spagna ha fatto rapido dietrofront sulle tasse imposte ai “sovraprofitti” delle imprese elettriche. La terapia ha già dato i suoi frutti: sono scattate le prese di profitto su petrolio e gas. Il future sul gas naturale perde il 3%, estendendo il -10% di mercoledì. Purtroppo, però, sarà assai più difficile nel breve termine procurare i chips che mancano alle industrie europee.

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