Il primo episodio (le riduzioni mancate), purtroppo, è in perfetta continuità con la storia più o meno recente dei costi della politica nel nostro Paese. Il terzo (quello del senatore Conti) dovrà essere oggetto di successive verifiche. Ma il secondo, vale a dire quello del senatore Luigi Lusi, è davvero un caso a parte. Il protagonista, già boy scout, era stato scelto, a suo tempo, come tesoriere della Margherita, da Francesco Rutelli, che ora indignato e furioso, reclama il recupero del maltolto. Per ora possiamo comunque osservare che siamo dinanzi ad un precedente assoluto. Se confermato Lusi sarebbe il primo tesoriere, che invece di “rubare” (il termine è forte e forse improprio tecnicamente, ma rende bene l’idea) per il partito, si appropria di beni del partito (anzi di un ex partito, visto che dopo la nascita del Pd la Margherita non può pià avvalersi di quella definizione, pur avendo continuato ad avere una propria amministrazione). Insomma c’è da guardare con simpatia ai poveri Severino Citaristi e Vincenzo Balzamo (amministratori della Dc e del Psi ai tempi di mani pulite) che hanno collezionato record di avvisi di garanzia per finaziamento illecito dei partiti. Per non dire di Primo Greganti, che si fece anche un po’ di galera, pur di non coinvolgere l’ex Pci, in disinvolte e illegali operazioni finanziarie.
Colpisce poi che i tre episodi siano venuti a galla proprio all’indomani di un ineccepibile intervento pubblico del presidente della Repubblica, che, in occasione del conferimento della laurea onoris causa da parte dell’Università di Bologna, aveva richiamato la politica ad un indispensabile percorso riformatore, che partendo dalla riforma elettorale doveva coinvolgere soprattutto i partiti. “Solo con le riforme – aveva detto Napolitano – si può uscire dalla crisi”, aggiungendo: “Il Parlamento si impegni sulla riforma delle istituzioni e delle regole elettorali per restituire ai cittadini la voce che ad essi spetta nella scelta dei rappresentanti”. Altra considerazione del Capo dello Stato era stata in quell’occasione quella per la quale “tra il rifiutare i partiti e il rifiutare la politica, l’estraniarsi con disgusto dalla politica il passo non è lungo ed è fatale, conduce alla fine della democrazia e quindi della libertà”.