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DAL BLOG DI ALESSANDRO FUGNOLI (Kairos) – Niente panico, a fine anno la Borsa migliorerà

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In un prezioso libro di ricordi, il grande studioso di filosofia antica Mario Untersteiner (1899- 1981) rievoca la figura del suo maestro elementare della regia imperiale scuola della Rovereto asburgica. Sotto il ritratto di Francesco Giuseppe, il maestro si rivolgeva agli allievi usando il lei e il loro. Per domani studino questo e preparino quest’altro, perché verranno interrogati.

La scuola è cambiata e oggi sono spesso gli studenti a dare del tu ai professori. Quella che non è cambiata, nel corso delle generazioni, è la stagionalità dell’anno scolastico, che era in origine calendarizzato, nell’Europa ancora in larga misura contadina, in modo da permettere ai giovani di partecipare al raccolto. Di qui l’origine delle lunghe vacanze estive.

La stagionalità che ci interessa qui è però quella per cui la prima parte dell’anno scolastico è caratterizzata da una particolare severità da parte degli insegnanti, che non esitano ad assegnare voti sadicamente bassi, accompagnati da giudizi al limite del politicamente scorretto. Questo impuntarsi sull’errore o sullo strafalcione si trasforma però, nella parte finale dell’anno scolastico, in un giudizio complessivo sulla personalità dell’allievo. I grotteschi due meno meno diventano stiracchiate sufficienze e il sarcasmo dei giudizi autunnali diventa all’inizio dell’estate una magnanima espressione di fiducia nella possibilità di continuare gli studi da parte dello studente. Solo ai casi particolarmente delicati e difficili viene riservata la bocciatura.

Qualcosa di simile accade all’anno azionario. Si inizia con i libri puliti, con il contatore di performance azzerato e con narrazioni positive che proiettano su un mitico secondo semestre miglioramenti ulteriori. Con l’arrivare dell’estate i soldi sono stati già spesi, le riserve di liquidità sono basse e la realtà, anche negli anni buoni, non manca mai di riservare qualche delusione o sorpresa negativa. Ecco così che, tra fine agosto e fine novembre, il mercato diventa insensibile alle notizie positive, già scontate, ed esaspera gli elementi negativi. I portafogli psicologicamente o finanziariamente fragili vendono, il mercato scende ancora di più e le narrazioni si fanno cupe e distruttive.

A dicembre, tuttavia, chi doveva comprare ha comprato e chi doveva vendere ha venduto. È l’unico momento, dicembre, in cui non si corre troppo dietro ai sogni e ci si libera dagli incubi e dalle nevrosi. Lo sguardo si distacca dall’ultimo dato appena uscito e si sforza di esprimere un giudizio complessivo sull’anno trascorso, esattamente come fanno i professori nel consiglio di classe di fine anno scolastico.

Oggi, a settembre appena iniziato e con l’SP 500 in flessione del 6,5 per cento rispetto all’inizio dell’anno, ha senso vendere solo se si pensa che a dicembre, a consuntivo, il 2015 verrà giudicato un anno da meno 10 o da meno 15. Ha senso invece comprare o, più prudentemente, tenere, se si pensa che l’anno terminerà invariato o con un (modesto) risultato positivo. 

Il 2015, in America, si chiuderà senza eccessi di scorte, con vendite d’auto ai massimi del dopo crisi e vicine ai massimi storici e con un mercato delle costruzioni che dà segni sempre più chiari di risveglio. Certo, l’industria petrolifera avrà licenziato 100mila persone, ma l’occupazione sarà aumentata di quasi tre milioni di unità. La crescita del secondo semestre, Cina o non Cina, sarà stata superiore a quella del primo. I tassi d’interesse saranno allo 0,25, contro lo zero attuale, ma questo fatto, ampiamente scontato, non avrà causato un bear market obbligazionario.

Gli utili per azione risulteranno dell’uno o due per cento più alti rispetto al 2014. Certo, un risultato non spettacolare nel suo complesso, ma molto interessante se si considera che gli utili dell’energia si saranno più che dimezzati. Quanto alle valutazioni, nell’ipotesi che si arrivi a inizio dicembre sui livelli attuali, il multiplo sarà di 16 su 2015 e di 15 sugli utili ragionevolmente prevedibili per il 2016. Con queste premesse, chiudere il 2015 con un arretramento di borsa più ampio del 6.5 per cento attuale sarebbe davvero ingeneroso.

Per l’Europa, con l’Euro Stoxx che ha perso per strada tutti i guadagni da inizio anno, il consuntivo sarà ancora più facile. L’Euro Stoxx di oggi è agli stessi livelli del novembre 2014, quando il dollaro stava a 1.26, il petrolio sopra gli 80 dollari, l’inflazione era a zero, mezzo continente era in recessione e il Quantitative easing appariva una promessa incerta.

Come ha detto Stanley Fisher a Jackson Hole, gli effetti di un riallineamento valutario si vedono soprattutto nel secondo anno. Anche per questo la crescita europea sarà più alta nel 2016 che nel 2015 (il contrario, naturalmente, avverrà per la crescita americana).

Quanto alla Cina, la percezione del mercato in questo momento è così negativa che è difficile pensare che a dicembre possa esserlo ancora di più. Tale è l’accanimento anticinese che questa settimana ci è capitato di leggere uno studio che sostiene che la disoccupazione in Cina è almeno il doppio di quel 4,9 indicato dalle statistiche ufficiali, mentre da un’altra parte abbiamo letto che la carenza di manodopera e il conseguente aumento del costo del lavoro stanno minando la competitività del paese. Come poi si possa conciliare il forte aumento delle retribuzioni e il calo del risparmio con una possibile crisi dei consumi e delle importazioni cinesi resta tutto da spiegare.

A dicembre i dati cinesi saranno migliori. Nessun governo al mondo dedica tanta energia all’attività di window dressing di fine anno. Non si tratta solo di massaggiare le statistiche, ma di incentivare in tutti i modi possibili, in particolare attraverso il credito, il raggiungimento degli obiettivi annuali di piano. Non ci spingiamo, come fa invece Timothy Moe di Goldman Sachs, a raccomandare l’acquisto delle azioni H quotate a Hong Kong (multiplo sotto 9), ma pensiamo che l’atteggiamento del mercato, a fine anno, sarà meno isterico e più equilibrato di oggi.

Un mondo con poca crescita è certamente un mondo fragile, ma è anche un mondo che non si surriscalda. La ferita del 2008 è però ancora aperta e il mercato è portato istintivamente a temere, al primo intoppo, che una nuova crisi devastante sia alle porte. Nel 1937, ai primi segni di debolezza ciclica, le imprese smisero di produrre e la borsa si dimezzò perché era ancora fresco il ricordo dei drammatici anni tra il 1930 e il 1932. Poi, passata la paura, la produzione e la borsa si ripresero velocemente.

Oggi la sola ipotesi che la fine del ciclo sia vicina può mandare il mercato nel panico. Come però esistono le false partenze, così esistono i falsi arrivi. Quello che stiamo vivendo è il primo falso arrivo. I prossimi porteranno a una volatilità ancora maggiore. Dire questo significa che, per non mettere troppo a rischio le coronarie, le posizioni di rischio nei prossimi due-tre anni andranno progressivamente ridotte. Non significa però, attenzione, che non potremo rivedere i massimi dei mesi scorsi. Su quei massimi sarà però bene alleggerire aggressivamente.

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