A ben vedere non sta succedendo niente di clamoroso, niente che giustifichi il guastarsi di quel clima così favorevole alle borse e ai bond europei che abbiamo vissuto fino a poche ore fa in questo 2015. C’è la crisi yemenita, si dice, ma lo Yemen è in crisi da quando esiste, ha finito il petrolio, sta finendo l’acqua e si dilania in guerre civili ad apparente sfondo politico e religioso, ma in realtà tribali. Per di più, con il riavvicinamento dell’amministrazione Obama all’Iran, non si sa più nemmeno in Yemen (come ormai in tutto il Medio Oriente) chi sono i buoni e chi sono i cattivi. Quanto al petrolio che sale nel timore di un conflitto tra Iran e Arabia Saudita, si mette evidentemente tra parentesi il fatto che i sauditi estraggono più che possono per fare dispetto all’Iran e che gli iraniani si apprestano ad aumentare la produzione di un milione di barili al giorno per effetto dell’imminente ritiro delle sanzioni occidentali.
A ben vedere, d’altra parte, non stava succedendo niente di clamoroso neanche prima, quando tutto saliva spensieratamente, quando i listini europei volavano nei cinque minuti a cavallo della chiusura per effetto degli acquisti all’ingrosso provenienti dall’America (l’Europa in crisi sta diventando borsisticamente dipendente, come i paesi emergenti, dai soldi che vanno e vengono da fuori).
Quello che stava succedendo (e che continuerà a succedere) erano due formidabili promesse. In America si prometteva una forte accelerazione della crescita e in Europa, con l’austerità fiscale messa in frigorifero e il Quantitative easing che porta i tassi sotto zero, si dava per certa l’uscita a vele spiegate dal pantano degli ultimi sei anni.
Le promesse, intendiamoci, sono parte del paesaggio della realtà, non sono puro flatus vocis, soprattutto quando sono supportate, come in Europa e in Giappone, da un paio di trilioni di dollari di nuova base monetaria. C’è però anche un livello sottostante di realtà, quello dell’economia reale, che fino al 2008 stava lì sulla scena, ben visibile ai mercati, e che dopo la crisi è scivolato dietro le quinte, dove solo gli economisti (e non più gli investitori) si avventurano a portare omaggi e fiori ad attrici e attori.
Ebbene, quello che succede dietro le quinte non è (ancora) così bello come quello che viene proposto sulla scena. Il Pil americano crescerà in questo primo trimestre dell’uno e qualcosa per cento, la metà, probabilmente, di quel tre per cento che da molti anni si prevede per il futuro prossimo e che però non si realizza mai in modo continuativo. Gli utili per azione delle 500 società che compongono l’indice Standard and Poor’s scenderanno del 5-6 per cento per effetto delle difficoltà del settore energetico e per la forza del dollaro, che erode gli utili conseguiti all’estero dalle multinazionali americane. Gli utili inizieranno a essere pubblicati fra una decina di giorni e quindi è questo il momento per riavvicinare le quotazioni alla realtà.
In Europa la situazione dietro le quinte è migliore, ma non nel senso che è buona bensì in quello che è un po’ meno pesante di prima. La Germania va piuttosto bene da sei mesi, ma il Qe non ha ancora portato a un’accelerazione ulteriore. In Francia, come al solito, non sta succedendo niente, mentre nel resto dell’Eurozona si notano cenni di risveglio, per ora soprattutto nelle aspettative (che comunque contano), ma più modesti di quello che i mercati si figurano.
In un angolo buio e polveroso del deposito del trovarobe, sempre dietro le quinte, si svolge la vicenda greca, quella che nelle stagioni 2011 e 2012 aveva monopolizzato la scena, restando in cartellone per molti mesi di seguito. I mercati questa volta non hanno dato nessun peso alla vicenda, che per molti aspetti è più preoccupante di allora, e non hanno usato nemmeno quel minimo di prudenza generica che si usa di solito per problemi anche meno gravi. Anche l’imminente default ucraino, nel suo piccolo (ma neanche tanto, visto il pozzo senza fondo che sta diventando quel paese), è passato completamente inosservato.
Detto questo, ammesso quindi che nel rialzo delle borse c’è stata una componente di schiuma destinata presto o tardi a ritirarsi, non vediamo per il momento motivi per cambiare l’impostazione di fondo dei portafogli.
Certo, il grido di dolore della Yellen sul dollaro ha interrotto il circolo virtuoso che si stava creando in Europa tra svalutazione dell’euro e bull market azionario. Ora tutto andrà più piano e, in una prima fase, anche all’indietro. Il grande schema è però sempre lo stesso. L’America non adora il dollaro forte, ma se ne fa una ragione. Da una parte la forza del cambio aiuta a rinviare il rialzo dei tassi, dall’altra aiuta a rimettersi in piedi il resto del mondo. Da parte americana non c’è generosità, ma un calcolo razionale sui benefici di lungo termine di un mondo meno squilibrato. I tassi negli Stati Uniti saliranno, certo, ma solo se e quando risalirà l’inflazione, in modo da mantenere rigorosamente a zero i tassi reali, una condizione eccezionalmente espansiva con il ciclo di crescita entrato ormai nel suo settimo anno di vita.
Un calcolo razionale cerca di farlo anche l’Europa nei confronti della Grecia. Alla fine l’Europa presterà alla Grecia tutti i soldi che la Grecia dovrà restituire all’Europa e concederà anche qualche soldo in più, nascosto nelle pieghe dei bilanci della Bce e dell’Esm. Questi soldi in più, che non saranno pochissimi, verranno però somministrati con il contagocce, in modo da mantenere Tsipras sotto costante pressione e togliergli quell’immagine di eroe popolare che stava cominciando a creare parecchi tentativi di imitazione in altri paesi. La Grecia verrà dunque mantenuta in vita (e con la Grecia anche la finzione che il suo debito sia ancora onorabile) ma non potrà ergersi a modello alternativo e non riuscirà a risollevarsi seriamente se continuerà ad atteggiarsi solamente come vittima. Tsipras è un politico astuto e intelligente, ma la Merkel lo è ancora di più.
Quanto alla crescita europea, che per ora è più nelle parole e nelle attese che nei fatti, ci vuole un po’ di pazienza ma qualcosa arriverà. Gli utili degli esportatori, come continua a mostrare l’esperienza giapponese, saliranno, anche se non così presto come si aspettano a volte i mercati. Il petrolio dimezzato lascerà soldi nelle tasche dei consumatori e non tutto verrà risparmiato o usato solo per ripagare i debiti. La pressione fiscale rimarrà stabile e qua e là scenderà leggermente.
Insomma, scopriamo o riscopriamo in queste ore che non ci sono solo luci ma anche ombre e che la realtà e le quotazioni si sono allontanate un po’ troppo tra loro. La correzione è quindi salutare e chi era rimasto ai margini può approfittare delle prossime settimane per entrare. Strutturalmente rimaniamo freddi ma non particolarmente negativi sui bond, neutrali sull’azionario americano, moderatamente positivi sul dollaro e positivi sull’azionario europeo e giapponese.