La Sirena, il Libertino, l’Amante Ideale, il Dandy, il Naturale, la Coquette, il Fascinatore, il Carismatico, la Stella, l’Antiseduttore. Senza avere particolari titoli né come storico, né come antropologo né come psicologo, Robert Greene è stato in America un piccolo caso letterario per la facilità con cui ha venduto più di mezzo milione di copie del suo libro di 500 pagine, The Art of Seduction. Il suo segreto è stato quello di andare oltre i classici manuali settecenteschi e ottocenteschi per giovani ragazze in cerca di marito, basati sul semplice ma efficace principio di concedere poco e molto fare sospirare. Ecco allora non una sola figura della seduzione (la Fuggitiva) ma le nove che abbiamo elencato, che vanno a confrontarsi con le diciotto figure di vittime individuate da Greene. Una tassonomia completa, almeno nelle intenzioni.
La decima figura di seduttore, non inclusa nel libro pubblicato nel 2004, è il Banchiere Centrale Europeo. Come nelle Liaisons Dangereuses, dove il libertino de Valmont si sceglie come obiettivo la sfida più difficile, l’integerrima e angelica madame de Tourvel, la decima figura ha l’ambizione smisurata di mantenere in costante stato di eccitazione i mercati finanziari disvelando a poco a poco, alludendo, concedendo a parole e poi ritrattando, vendendo la stessa cosa molte volte di seguito senza mai consegnarla. Vorrei ma non posso, posso ma non voglio, vorrei ma non posso ancora, potrò se lo vorrò, vorrò se sarà il caso e tutte le infinite variazioni sul tema. Il tutto sotto gli occhi severi dei guardiani tedeschi.
Su queste infinite variazioni il mercato si contorce nel monologo amoroso dei Fragments di Roland Barthes. Che cosa vuol dirmi il mio oggetto d’amore? Perché mi dice così poco? Che cosa significa il suo silenzio? L’altra volta mi ha fatto una mezza promessa e questa volta non l’ha fatta, ma ne ha fatta un’altra. Ecco dunque il Draghi del Qe raggiungere le vette virtuosistiche del Draghi dell’Omt, quello che salvò l’Italia con il solo potere della parola. Eccolo promettere un trilione la prima volta, un trilione ma forse no la seconda, un trilione come aspirazione la terza. Eccolo vendere il trilione (che a ben vedere è una restituzione di quanto è stato tolto dal bilancio della Bce nell’ultimo anno e mezzo) prima come un intero, poi un pezzo alla volta, poi non escludendo la possibilità di concedere il Qe più pregiato, quello sovrano, poi dandolo come probabile, poi dicendo che ci sta lavorando sopra.
Sempre dello stesso trilione alla fine stiamo parlando, ma ogni volta in forme nuove. Non è chiaro perché il mercato si sia fissato con il Qe sovrano.
Certo, ha funzionato in America, ma come hanno detto più volte Friedman e Bernanke, conta molto di più la quantità di quello che si compra che non il tipo di asset. Per il principio dei vasi comunicanti, che Greenspan citava ogni volta che poteva, la liquidità versata in un vaso si distribuisce subito a tutti gli altri. Che la Bce spenda il suo trilione in azioni, case, obbligazioni di questo o quel tipo, titoli esteri o titoli di stato non è importante come si pensa. Quello che conta, alla fine, è fare scendere il cambio, gonfiare il prezzo di tutti gli asset e fare sentire meglio tutti quanti. E, come ha detto più volte Draghi in conferenza stampa, mandare un segnale.
In ogni caso, ben consapevole della fissazione sul Qe sovrano, Draghi (con dietro la Merkel che tutto sorveglia e tutto preventivamente approva) la alimenta abilmente presentandola come il frutto proibito del giardino dell’Eden, custodito con la spada fiammeggiante dai cavalieri del Bundestag e della corte costituzionale tedesca.
Economisti e analisti si spaccano la testa sui numeri sempre più invisibili dell’inflazione europea e riempiono infinite pagine per spiegare che il Qe va fatto subito e che semmai andava già fatto settimane o mesi o anni fa. Ma perché la Bce dovrebbe spendere la sua arma strategica proprio adesso, in un momento in cui il cambio dell’euro scende di suo e in cui la borsa tedesca è tornata vicinissima ai massimi storici? Mangiare un biscotto e tenerselo, dicono gli inglesi. Ottenere qualcosa dando in cambio solo una promessa permetterà di spendere il Qe sovrano quando ce ne sarà davvero bisogno, quando e se l’Ucraina tornerà a infiammarsi, quando e se la Grecia andrà a elezioni anticipate, quando e se uno shock esogeno ci sorprenderà. Certo, non si potrà rimandare all’infinito, pena la perdita di credibilità. Probabilmente si agirà il 22 gennaio, ma si potrà anche aspettare fino a marzo.
La fonte della speranza, dicono ancora gli inglesi, zampilla eterna. La delusione per una riunione della Bce andata a vuoto dura poche ore e subito comincia l’attesa febbrile per la riunione successiva. Nessuno osa mettersi seriamente al ribasso con un Qe sovrano alle porte e così il mercato continua inerzialmente a salire.
La caduta del petrolio rafforza le attese. Una volta, fino alla prima metà degli anni Ottanta, le banche centrali si comportavano in modo prociclico. Quando il greggio saliva alzavano i tassi per combattere l’inflazione e quando scendeva li tagliavano.
Poi si è fatta strada l’idea che una banca centrale deve essere indifferente al corso erratico di alimentari ed energia. Oggi si torna all’approccio prociclico.
Il petrolio debole è già espansivo di suo, ma poiché fa scendere l’inflazione (considerata bene scarso e prezioso) è bene che la politica monetaria si faccia ancora più espansiva.
Abbiamo accarezzato per qualche tempo l’idea di iniziare a ridurre lentamente, e solo approfittando di nuovi massimi, la sovraesposizione azionaria. Con il petrolio che ha finalmente rivelato la sua strutturale debolezza e con la Bce che si prodiga per indebolire l’euro e ridurre il premio per il rischio questa riduzione può essere realizzata ancora più lentamente.
Su eventuale e temporanea debolezza degli asset europei si può anzi comprare.