L’avvocato Peter Gauweiler ha 69 anni. E’ luterano, è sposato e ha quattro figli. Nel 1992 ha definito il Trattato di Maastricht un sogno totalitario. Nel 1999 ha paragonato l’euro all’esperanto. Nel 2005 ha fatto ricorso alla Corte Costituzionale tedesca contro il progetto di costituzione europea (poi abortito) e nel 2008 contro il Trattato di Lisbona. La corte di Karlsruhe non ha considerato i due ricorsi, ma Gauweiler, uomo tenace, ci ha riprovato nel 2011 contro il salvataggio della Grecia e l’istituzione dell’Efsf. I giudici, questa volta, gli hanno dato retta, ma hanno respinto il ricorso. Nel 2012 Gauweiler ha fatto ricorso contro l’Omt di Draghi e molti giudici gli avrebbero anche dato ragione ma, per considerazioni di prudenza politica, hanno deferito il caso alla Corte di Giustizia europea, che ha detto in sostanza che l’Omt va benissimo.
Ora Gauweiler ha già pronto il ricorso contro il Quantitative easing e conta sul fatto che la corte di Karlsruhe, offesa da quella del Lussemburgo, prenda di nuovo in seria considerazione le sue argomentazioni.
Gauweiler non è un eccentrico e non va in cerca di pubblicità. Non appartiene ad Alternative für Deutschland, il nuovo partito antieuro, e milita dal 1968 nella Csu bavarese. Dal 1972 i cittadini di Monaco lo eleggono regolarmente alle più alte cariche della città e del Land. Da tre legislature Gauweiler rappresenta al Bundestag la circoscrizione di Monaco Sud, una delle zone più ricche e operose della Germania e dell’Europa intera. Il suo partito, la Csu, è al governo.
La Merkel e Schauble, entrambi vicini alla fine della loro stagione politica, si muovono su un’altra lunghezza d’onda. Schauble, a modo suo, è un europeista sincero. La Merkel, dal canto suo, è troppo figlia della guerra fredda per volere passare alla storia come la donna che ha fatto saltare l’Europa. Detto questo, il fiuto politico consiglia alla Merkel di non ignorare il crescente malessere che si leva alla sua destra dalla società politica (il Circolo di Berlino, Alternative für Deutschland, parti crescenti della Csu) e dalla società civile (si veda l’imponente movimento Pegida). La Merkel non può ignorare nemmeno la riluttanza crescente con cui la Bundesbank e la Corte Costituzionale accettano gli strappi all’ortodossia giuridica e monetaria inflitti alla Germania da un’Europa in cui, numericamente, il fronte del nord è in minoranza.
E d’altra parte, oltre alle considerazioni di politica interna, alla Merkel non sfugge il fatto che l’Europa indisciplinata, quella mediterranea, tende sistematicamente ad aggrapparsi a qualsiasi salvagente pur di non fare la cosa che le servirebbe di più, ovvero le riforme strutturali. Concedere un Qe senza condizioni, dal punto di vista tedesco, equivarrebbe a privarsi di un potente strumento di pressione nei confronti di Francia e Italia.
Va poi considerata l’influenza che la decisione svizzera di abbandonare l’euro e rivalutare il franco sta già avendo nell’opinione pubblica tedesca. Se nei prossimi mesi l’economia svizzera riuscirà a reggere l’impatto, le voci di quanti sostengono che la Germania deve prepararsi a fare lo stesso risulteranno più autorevoli. A quel punto, venuta meno la ragione economica, rimarrà soltanto, a favore della permanenza dell’euro, una considerazione politica.
Per questo, pur essendo favorevole al Qe (come nel 2012 lo fu all’Omt), il mainstream politico tedesco ha dato mandato ai suoi rappresentanti in Bce di mettere due paletti invalicabili al programma.
Il primo è la definizione ex ante delle quantità. La psiche tedesca ha orrore del piè di lista e la costituzione del 1949, su questo punto, le dà man forte. Per questo Draghi ha dovuto accettare un importo chiuso, un trilione circa. In cambio l’importo deciso risulta superiore alle più rosee previsioni. Nel comunicato è poi inserita una piccola clausola che rende possibile prolungare il Qe fino a quando non saranno stati raggiunti gli obiettivi di inflazione.
Il secondo è la corresponsabilizzazione all’80 per cento delle banche centrali nazionali rispetto alla possibilità di default sul debito da parte degli emittenti sovrani dell’Eurozona. Il mainstream politico tedesco sa benissimo che in questo modo si incentiva pericolosamente l’uscita dall’euro dell’eventuale paese insolvente, ma fare altrimenti (mutualizzare le perdite) avrebbe significato regalare al partito antieuro un argomento prezioso.
Per il resto non c’è che da celebrare. Il Qe è arrivato e pure grosso. Certo, la Fed, dopo il crash di Lehman, ci mise due mesi per varare il Qe1, la Bce ce ne ha messi 63. C’è stata, è vero, la versione teologicamente corretta del Ltro, ma proprio perché corretta (denaro prestato e non stampato per sempre) la manovra si è dimostrata poco efficace nel momento in cui il denaro prestato alle banche è stato da queste restituito.