Dalla prossima settimana parte la sperimentazione del Tfr in busta paga. Potranno farne richiesta solo i lavoratori dipendenti del settore privato (purché abbiano un contratto da almeno sei mesi), che dovranno presentare alla propria azienda il modulo Qu.I.R., acronimo per “Quota maturanda del Trattamento di fine rapporto come parte Integrativa della Retribuzione”, e avere l’autorizzazione dell’Inps.
I lavoratori otterranno così la liquidazione mensile maturata dal primo marzo 2015 al 30 giugno 2018. Il pagamento inizierà dal mese successivo a quello della richiesta nelle aziende con più di 50 dipendenti e tre mesi dopo in quelle con meno di 50 dipendenti (queste ultime possono accedere a un finanziamento bancario garantito presso un solo istituto di credito).
La scelta è libera e può avvenire in qualsiasi momento nell’arco di tempo previsto per la sperimentazione della misura. I ripensamenti, invece, sono proibiti: chi inizia è obbligato a proseguire fino alla fine, fra tre anni e tre mesi. Le quote di Tfr che arriveranno in busta paga, naturalmente, non saranno più accantonate ai fini cui erano destinate in precedenza (la liquidazione o il finanziamento di un fondo pensione).
Quanto alla tassazione, avverrà con le aliquote ordinarie Irpef, più alte rispetto al regime fiscale agevolato previsto oggi per il Tfr. Tuttavia, come emerge dai calcoli della Fondazione studi dei Consulenti del Lavoro, in termini fiscali non cambierà nulla per i lavoratori con un reddito annuo fino a 15mila euro lordi, perché nel loro caso l’aliquota Irpef e quella del Tfr coincidono (23%).
Superata la soglia dei 15mila euro, invece, anticipare il Tfr comporta dei rincari, anche se per il secondo scaglione Irpef l’aggravio è minimo. Ecco lo schema:
– Da 15mila a 28.650 euro di reddito (aliquota Irpef al 27%) le tasse aumentano di circa 50 euro.
– Da 28.650 a 55mila euro di reddito (aliquota Irpef al 38%) l’incremento è di circa 300 euro.
– Da 55mila a 75mila euro di reddito (aliquota Irpef al 41%) l’aumento previsto è di circa 500 euro.
– Oltre i 75mila euro di reddito (aliquota Irpef al 43%) anticipare il Tfr comporterà un aggravio fiscale di poco inferiore a 600 euro.
Inoltre, la liquidazione in busta paga inciderà sulle detrazioni per lavoro dipendente o familiari a carico, ma non sul computo del reddito per la concessione del bonus da 80 euro, né ai fini dell’imponibile previdenziale.
Le categorie che non possono richiedere il Tfr in busta paga sono le seguenti:
– dipendenti del settore agricolo;
– dipendenti domestici;
– i dipendenti in servizio in unità produttive sotto cassa integrazione straordinaria;
– dipendenti di aziende sotto procedure concorsuali e fallimentari o di ristrutturazione dei debiti;
– lavoratori che hanno utilizzato il Tfr maturato a garanzia di un finanziamento bancario.
Il Consiglio di Stato ha dato il via libera al decreto sul Tfr in busta paga, esprimendo però alcune perplessità sulla tenuta del sistema previdenziale (poiché la nuova misura pesa su uno degli elementi che dovrebbe garantire il sostentamento dei futuri pensionati nell’era del sistema contributivo), sulla possibilità di costi aggiuntivi per le imprese e sulle categorie escluse (per possibili disparità di trattamento).