Gli esami di fine ottobre sono più difficili del previsto. Entro il 31 ottobre, almeno sulla carta, è necessario trovare una soluzione a diversi casi spinosi, da Seat Pagine Gialle ai cantieri Ferretti. Società diverse ma con un punto in comune: entrambe pagano, come è successo in passato ad altre aziende con una buona struttura industriale (vedi Saeco) le incursioni degli investitori finanziari, in primis private equity, alla ricerca di “creazione di valore”.
Lunedì prossimo Seat Pg dovrebbe pagare la rata, 52 milioni, di interessi a fronte dei bond in mano al fondo lussemburghese Lighthouse (1,3 miliardi) e ad altri obbligazionisti. Ma la società ha già comunicato che, in assenza di un accordo con tutti gli attori della vicenda (bonholders, azionisti, banche creditrici), non pagherà il dovuto per evitare il rischio in incorrere nei rigori della legge in caso di default. La prospettiva è tutt’altro che teorica perché l’azienda, costretta ad indebitarsi per distribuire il dividendo straordinario distribuito nel 2006 (3,6 miliardi) non è oggi in grado di sostenere gli oneri finanziari assieme agli investimenti necessari, nonostante un ragguardevole margine operativo lordo (tra i 4 e i 500 milioni). Di qui la frenetica caccia ad una soluzione che ha coinvolto advisors (Rothschild e Lazarad), legioni di avvocati e di consulenti. Senza grossi risultati, per ora.
Oggi, dopo un intenso lavorio diplomatico che ha sollevato le fiere proteste dei private equity azionisti (Cvc, Investitori Associati e Permira) esclusi da questo round di colloqui, doveva tenersi l’incontro plenario tra società, banche creditrici e bondholders per la ristrutturazione del debito (in tutto 2,7 miliardi di euro). Ma la riunione è stata rinviata perché non si è ancora trovata la soluzione per garantire le banche, esposte per quasi 700 milioni, senza negare a Lighthouse (partecipata da diversi hedge funds) la piena disponibilità dei titoli per fare trading con le azioni scaturite dalla conversione dei bond in azioni, come previsto dal piano. Eppure l’intesa sembrava cosa fatta, sulla base di diversi possibili percorsi: la creazione di una società operativa non quotata di cui avere il pegno, la nascita di una holding a monte di Seat Pagine Gialle, oppure l’emissione da parte di Seat Pagine Gialle di warrant “dormienti”. Per le banche, infine, era previsto che gli utili della società fossero al servizio degli interessi sul debito fino al raggiungimento della soglia dei 450 milioni per poi ricominciare a pagare le cedole ai soci. Ma qualcosa non ha funzionato. Facile perciò che si debba far ricorso all’extra time (il mese di novembre) per districare la matassa.
Anche perché resta il nodo più spinoso: il valore di conversione del bond Lighthouse. I private azionisti, una volta tanto costretti a presentarsi nelle vesti di rappresentanti anche delle minoranze (compresi gli oltre 200 mila soci che hanno comprato azioni fino a 7 euro per trovarsi titoli dal valore di un prefisso telefonico a doppio zero) offrono a Lighthouse il 75% ma chiedono anche l’emissione di warrant da far scattare in base alle performances della società. Lighthouse esige il 95% , senza preclusione per i warrant purché a pagamento. E così si riparte. Il rischio è che una società sana, ma spremuta più volte come un limone dalla privatizzazione del 1996 in poi, non ce la faccia a tirare avanti, nonostante il brillante andamento industriale.
Ma tra le partite da definire entro la fine d’ottobre, cioè lunedì prossimo, non c’è solo Seat Pagine Gialle. E’ in bilico anche la sorte dei cantieri Ferretti, altra storia di un’azienda made in Italy , stavolta d’eccellenza mondiale, passata sotto il torchio di private equity, da Permira a Candover, banche prodighe di business plan e proposte di Ipo negli anni buoni (a fine 2007 Mediobanca Scurities calcolava i titili Ferretti in base ai multipli del lusso, tipo Hermès o Bulgari). Storia passata: sotto i cieli della crisi del settore, cantieri ormai solo nelle mani delle banche creditrici (640 milioni) cui fa capo sotto forma di garanzia il 53 % del capitale. A loro è arrivata una sola offerta, ridotta rispetto a pochi mesi fa per il deteriorarsi della situazione, quella dei cinesi della Shantui, che propongono 240 milioni per rilevare il debito più alti 100 sotto forma di liquidità. Un’offerta già respinta, anche per le clausole, estremamente rigide, previste dalla governance anticipata ai manager ed allo stesso Norberto Ferretti. In alternativa le banche, guidate da Rbs, stanno mettendo a punto un’offerta allo stesso Ferretti per rilevare il resto del capitale per poi procedere all’integrazione di Ferretti con altri cantieri europei finiti in default in questi tempi duri per la nautica da diporto. Qualcosa si saprà dopo il consiglio della società convocato per domani, stessa data del vertice di Seat Pg.
Intanto è arrivata al capolinea un’altra partita tribolata: quella di Arena spa. JP Morgan ha comunicato alla società che a seguito del verificarsi di alcuni eventi intende avvalersi delle clausole di risoluzione anticipata del bond 2009-2013. La banca Usa si è riservata il diritto di richiedere il rimborso anticipato di tutte le somme dovute in relazione al bond, pari a circa 17,08 milioni a fine settembre. E’ dunque risolto anche l’accordo di standstill sottoscritto tra Arena e JP Morgan il 12 maggio scorso, poi modificato il 21 giugno, che prevedeva che la banca Usa non esercitasse fino al 31 dicembre 2011 i diritti conferiti dal regolamento del bond salvo il verificarsi di determinati eventi che comportano la risoluzione anticipata ipso iure. In caso di richiesta di rimborso anticipato e nel caso in cui Arena non vi facesse fronte, JP Morgan potrebbe escutere i pegni concessi in garanzia sui marchi ‘Arena’, ‘Agrarena’ e ‘Tu in cucina’.