Primo: i rendimenti del Btp decennale, su cui si misura lo spread in rapporto al Bund e dunque lo stato di salute del Paese per come viene percepito dai mercati finanziari, sono ormai minimi storici dal 2005.
Secondo: la Borsa italiana è invece ai massimi dal giugno del 2011, da prima cioè che si scatenasse la tempesta finanziaria che spinse Silvio Berlusconi a prendere atto del rovinoso fallimento del suo terzo Governo e Giorgio Napolitano a sostituirlo con Mario Monti che ci salvò dalla bancarotta.
Terzo: la Banca centrale cinese ha rivelato giovedì di aver acquistato il 2% di Eni e di Enel mentre BlackRock, la più grande compagnia finanziaria del mondo, continua il suo shopping italiano e sale al 5% di Mps dove essere già entrata in Intesa, in Unicredit, in Ubi, in Generali, in Fiat, in Mediaset, in Telecom, in Atlantia e in un bel po’ di altre nostre società.
E’ il segno che l’Italia in questo momento vive un momento magico sui mercati internazionali ed è in grado di attirare capitali esteri che arrivano da tutte le parti, da Est come da Ovest. Del resto, solo la settimana prima i russi di Rosneft avevano annunciato il loro ingresso in forze in Pirelli, sanzioni permettendo.
E’ presto per cantare vittoria e per festeggiare la svolta, ma non c’è dubbio che in tutto questo la rivoluzione di Renzi, promossa a pieni voti dal presidente Obama, abbia il suo peso e stia incuriosendo tutto il mondo per il suo evidente furore riformista. Nel nuovo appeal italiano la novità del governo Renzi e soprattutto il fatto che l’arrugginita macchina parlamentare si sia finalmente messa in moto e prometta di fare le riforme istituzionali che non ha mai fatto in vent’anni contano. Eccome se contano.
Tutto questo è vero, ma pensare che la novità italiana sia tutta in capo al Governo sarebbe sicuramente riduttivo. Ieri una novità clamorosa e impensabile in altri tempi è stata ad esempio l’inequivocabile sferzata che un uomo di solito prudente come il governatore della Banca d’Italia, abituato a muoversi a passi felpati nella vellutate stanze di Via Nazionale ha riservato a imprenditori e sindacati. La loro rigidità – ha sostenuto il Governatore – è un forte ostacolo alla crescita: “lacci e lacciuoli, intesi come rigidità legislative, burocratiche, corporative, imprenditoriali e sindacali sono la remora principale allo sviluppo del nostro Paese”.
L’immediata e furiosa reazione di imprenditori e sindacati, non per caso spesso uniti nella conservazione dello status quo, è la miglior dimostrazione che Ignazio Visco ha fatto centro. Del resto, se da vent’anni l’Italia non cresce o cresce meno dei suoi partner europei o molto meno di quanto non fosse cresciuta non solo nel Dopoguerra ma perfino negli ultimi decenni del secolo scorso, non si può sempre dire che la colpa è degli altri.
Se negli anni Settanta il leader della Cgil, Luciano Lama, guidava gli scioperi per le riforme e ai tempi nostri Susanna Camusso si oppone a qualunque riforma arrivando a minacciare (prima di un tardivo ripensamento) uno sciopero generale perfino contro un Governo che per la prima volta riduce le tasse ai lavoratori meno abbienti qualcosa vorrà pur dire.
La Confindustria parla tanto di competitività ma poi il suo presidente non ha nulla di meglio da offrire che minacciare di portare le sue fabbriche in Svizzera. Quanto ai sindacati provate a parlare loro di meritocrazia o di produttività e vi diranno che sono bestemmie o giù di lì. Per fortuna oggi c’è un premier che non si lascia intimidire dalla sorda opposizione dei sindacati e della Confindustria e tirando dritto per la sua strada ne svela tutta l’irrilevanza politica e sociale.
Le parole del Governatore sono sulla stessa lunghezza d’onda del nuovo governo. Rottamare la vecchia classe politica era sacrosanto, ma c’è molto altro da rottamare in questo Paese. Finalmente assistiamo anche ai primi colpi di piccone alle corporazioni e ai vecchi gruppi dirigenti imprenditoriali e sindacali. La partita sarà lunga e dura e non è ancora vinta ma finalmente nel Paese si comincia a respirare un’aria diversa. E il cambiamento sembra trasformarsi ogni giorno di più da chimera in speranza.