“Costi 2.0” è la proposta di Morningstar per una innovativa rappresentazione delle spese ai clienti. Le commissioni rimangono un’area opaca e allo stesso tempo cruciale per gli investitori in fondi per diverse ragioni. Innanzitutto, è difficile districarsi nella giungla di classi, che sono proliferate negli ultimi anni senza uno standard che le identificasse (ad esempio, sono usate differenti lettere o combinazioni di lettere). In secondo luogo, il successo dei prodotti passivi, rende sempre più difficile per i gestori attivi giustificare fee elevate e i bassi tassi di interesse fanno sì che sia arduo generare buone performance nel reddito fisso. Infine, la ricerca Morningstar mostra che le soluzioni più economiche tendono a sovra-performare quelle più esose nel tempo.
Obiettivo della proposta è rendere i profili commissionali facili da comprendere, confrontare e rilevanti per gli investitori. I promotori, John Rekenthaler e Paul Ellenbogen, rispettivamente vice president della ricerca di Morningstar e director board consulting services di Morningstar Investment Management, suggeriscono tre passaggi.
1. Dire all’investitore per quale servizio paga la commissione
Ai risparmiatori andrebbe specificato il tipo di servizio che la fee va a remunerare. Morningstar ha individuato cinque categorie.
– Portfolio Management: questa voce comprende la gestione e la ricerca sui titoli
– Costi amministrativi: si tratta dei costi della società di gestione esclusi quelli di gestione e distribuzione.
– Costi operativi: comprendono quelli di custodia, transfer agent, servizi ai clienti, reportistica e più in generale le spese direttamente collegate al servizio ai sottoscrittori del fondo.
– Costi di distribuzione: sono le spese sostenute per far crescere il business, eccetto i compensi ai promotori finanziari. Ne sono un esempio i costi dei commerciali, della pubblicità e del marketing.
– Costi per la consulenza: è la remunerazione degli intermediari per il servizio ai clienti nella selezione o monitoraggio del portafoglio o nella fornitura di informazioni.
I costi dovrebbero essere affiancati dalla media dell’industria per la specifica tipologia di investimento, in modo da rendere agevole il confronto.
2. Rendere le classi di fondi comparabili
La proposta consiste in una griglia che distingua in macro categorie (individui, intermediari e fondi pensione) e in tipologie di classi al loro interno per le quali è chiaro se ci sono o meno costi operativi, distributivi e di consulenza. Questa griglia aumenta la comparabilità tra classi dello stesso tipo e permette di capire quali componenti della commissione complessiva sono più alte o più basse.
3. Presentare in modo chiaro le spese
Generalmente, le commissioni sono indicate in termini percentuali, per cui gli investitori hanno difficoltà a capire quanto pagano in termini assoluti. John Rekenthaler e Paul Ellenbogen propongono di rendere più esplicita tale voce. Ad esempio, si potrebbe dire: “Se si investe 10 mila euro e si guadagna il 5% annuo, il costo che ho sostenuto per il mio investimento, dalla sottoscrizione al riscatto totale è di n euro”. Certo, una frase di questo tipo è troppo generica e dovrebbe essere personalizzata. L’esperienza di alcuni paesi, come il Canada, l’Australia, il Regno Unito e i Paesi Bassi, mostra che è possibile fare una reportistica ad hoc. In questi mercati, infatti, la regolamentazione impone che venga esplicitato quanto il risparmiatore paga in termini assoluti per le diverse attività (gestione, operatività, ecc.). Un ulteriore passo in avanti è quello di mostrare quanto le spese influenzano la performance dell’investitore.
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