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Da Biden a Trump e non solo: la senescenza colpisce anche i grandi leader ma occhio ai superager cognitivi

Il caso Biden fa riflettere, così come il caso Trump, improvvisamente invecchiato dopo il ritiro del Presidente in carica degli Usa: con il passare degli anni anche i leader più energici perdono il controllo ma uno studio dell’Università di Chicago scoprì le incredibili virtù fisiche e cerebrali dei superager

Da Biden a Trump e non solo: la senescenza colpisce anche i grandi leader ma occhio ai superager cognitivi

«Un vecchio è sempre un re Lear.», J. W. Goethe, Zahme Xenien

«La vecchiaia comincia con una prima caduta senza importanza.», Gabriel Garcia Marquez, L’amore ai tempi del colera.

Churchill

La storia, la scienza e pure il buon senso ci insegnano che anche i grandi leader mondiali non sono immuni al tempo che passa.

Nel 1953, durante il suo secondo mandato da Primo ministro, Winston Churchill fu colpito da un ictus durante una cena. Come riporta lo storico Andrew Roberts, “nessuno sembrava preoccupato dal suo parlare confuso e dalla sua instabilità: era notorio il suo amore per l’alcol.”

Per diverse settimane, mentre Churchill era impossibilitato a governare, il paese fu di fatto guidato dal genero e dal segretario privato. Non si riprese mai completamente, ma rifiutò di dimettersi fino al 1955, all’età di 80 anni.

Harold Macmillan, futuro Primo ministro conservatore, nel 1954 descrisse così lo stato di Churchill: “Sempre più spesso non interviene durante le riunioni del Consiglio dei ministri, oppure divaga su argomenti irrilevanti.”

Hindenburg

Il declino cognitivo quando colpisce i leader politici, ha delle conseguenze che possono portare anche a sviluppi catastrofici.

Paul von Hindenburg, Presidente della Repubblica di Weimar nel 1933, non era un sostenitore di Adolf Hitler, anzi lo detestava. Tuttavia, gli permise di diventare Cancelliere per risolvere uno stallo politico. Alcuni storici attribuiscono questo errore fatale all’età avanzata (aveva 85 anni) e alle sue precarie condizioni di salute, tra cui un possibile morbo di Alzheimer.

I superager cognitivi

La scalata verso il vertice del potere richiede delle qualità fuori dal comune. Non a caso, molti tra i politici di maggior successo rientrano nella categoria dei “superager”: individui che, in età avanzata, conservano una forma fisica e mentale ben superiore alla media.

Uno studio condotto dai ricercatori del Mesulam Center della Northwestern University di Chicago ha svelato che il cervello dei “superager cognitivi” (soggetti di 80 anni o più che hanno prestazioni nei test di memoria paragonabili a quelle di persone di 2030 anni più giovani) subisce un declino più lento rispetto ai loro coetanei, diciamo, “normali”: appena l’1,1% all’anno contro il 2,2%.

In particolare, la corteccia cingolata, un’area cerebrale cruciale per memoria, attenzione, controllo cognitivo e motivazione, mantiene nei superager uno spessore simile a quello di una persona di mezza età.

Inoltre, i neuroni di von Economo, cellule della corteccia cingolata associate all’intelligenza sociale e alla consapevolezza, presentano una densità maggiore rispetto alla norma nella stessa fascia d’età.

Infine, i cervelli dei superager mostrano un minor numero di “grovigli” di proteine, i cosiddetti “tangles” associati al morbo di Alzheimer, rispetto ai loro coetanei.

Il potere consuma

Tuttavia, il prezzo da pagare per una posizione apicale in una istituzione è molto alto e anche i superager non sono sfuggono al declino. Il problema risiede spesso nella loro difficoltà ad accettare questa realtà. Allo stesso modo, chi li circonda, il cui lavoro e benessere potrebbero dipendere dal mantenimento del potere da parte del leader, tendono a negare o nascondere l’evidenza.

Il pubblico britannico fu tenuto all’oscuro del declino cognitivo di Churchill. Gli elettori americani, quando rielessero Franklin Roosevelt nel 1944, ignoravano che il suo medico dubitava della sua capacità di completare un altro mandato.

I collaboratori di Jacques Chirac, presidente della Francia dal 1995 al 2007, hanno cercato di minimizzare le conseguenze di un ictus da lui subito nel 2005.

La trappola del leader senile

Nelle dittature

Le dittature sono terreno fertile per la negazione e l’inganno. Quando il capo, pur imprevedibile, rimane al comando, i suoi collaboratori (un despota è quasi sempre un maschio alfa) temono a consigliarlo sulle conseguenze del declino delle sue facoltà mentali.

Se invece il leader perde il controllo, i suoi sottoposti fiutano l’opportunità di surrogarlo di fatto nel potere, controllando anche il ricambio nelle leve del comando. Leonid Brezhnev, leader dell’Unione Sovietica dal 1964 al 1982, a metà degli anni ‘70 era ormai quasi inabile a causa di una serie di ictus. Eppure, i suoi fedeli collaboratori lo tennero in carica fino alla morte. Come sottolinea lo storico Stephen Kotkin, “anche quando [lui] iniziò a balbettare durante le apparizioni televisive alla TV sovietica, il suo entourage non prese alcuna iniziativa, se non quella di conferirgli ulteriori medaglie”.

I loro motivi erano egoistici: senza un supervisore, ogni ministro poteva fare il proprio comodo nel suo feudo personale.

In questo modo, la visione strategica svanì, l’intervento in Afghanistan si rivelò un disastro e l’Unione Sovietica infine si disintegrò.

Nelle autocrazie

Anche nelle autocrazie moderne è frequente che leader malati rimangano in carica. L’Arabia Saudita è ufficialmente guidata dall’88enne re Salman, ma il potere reale risiede nelle mani del figlio, il principe ereditario Mohammed Bin Salman.

In Camerun, si pensa che i fili del potere siano mossi dalla moglie del 91enne leader Paul Biya, che a malapena riesce a leggere un discorso.

In Algeria, fino al 2019, i vertici militari tenevano in piedi, letteralmente, il presidente Abdelaziz Bouteflika, spartendosi il potere tra di loro.

Questi stratagemmi sono intrinsecamente fragili, perché un leader in precaria senilità è destinato a morire prima o poi.

Il presidente dello Zimbabwe, Emmerson Mnangagwa, ha anticipato questo scenario rovesciando nel 2017 il suo anziano predecessore e mentore, Robert Mugabe.

In Malawi, nel 2012, il partito al governo ha inscenato la farsa di un presidente ancora in vita, mentre le fazioni lottavano per il potere.

Alcuni ipotizzano che un simile inganno sia stato perpetrato anche in Nigeria: nei sei mesi precedenti alla sua morte nel 2010, il presidente Umaru Yar’Adua non si è mai visto in pubblico.

Nelle democrazie

Nelle democrazie con una stampa libera e inquisitiva, così come nei sistemi parlamentari dove il Primo ministro è sottoposto a regolari interrogazioni, è più difficile nascondere il declino senile di un leader. Tuttavia, in alcuni sistemi presidenziali i collaboratori possono tenere più facilmente il capo lontano da eventi non programmati e controllarne le improvvisazioni.

La storia, da George Washington a Nelson Mandela, insegna che i leader che si ritirano con dignità prima di essere costretti a farlo godono di maggiore stima e rispetto.

Adattato da: Senility in high office, “The Economist”, 3 luglio 2024.

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