Dopo aver affrontato l’importanza di rafforzare a tavola le nostre difese immunitarie con alimenti che apportino zinco e selenio al nostro organismo, ora è il caso di vedere anche come assicurargli, con una corretta alimentazione, disponibilità di vitamina A e D che costituiscono un ulteriore contributo per l’attivazione della risposta immunitaria contro le aggressioni batteriche e virali. Cosa di cui abbiamo particolarmente bisogno di questi tempi e, a quel che pare, anche per i tempi a venire. È opportuno però analizzare separatamente l’azione di entrambi i nutrienti di cui gli alimenti presenti nella dieta mediterranea sono ricchi.
Scoperta solo nel 1928, da sempre la vitamina D è ritenuta responsabile solo della corretta formaziondelle ossa, attraverso la regolazione del ciclo del fosforo e del calcio; essa in realtà si presente chimicamente sotto due forme definite più semplicemente D 3 e D 2 . La forma D 2 (detta anche ergocalciferolo) è maggiormente diffusa nei funghi e nel lievito, mentre la forma D 3 (detta anche colecalciferolo) è più diffusa negli alimenti di origine animale, tuttavia la maggiore fonte di questa vitamina è la pelle umana che sotto l’azione diretta dei raggi solari è in grado di sintetizzarne le quantità necessarie per il metabolismo umano. In figura 1 è ben evidente come la forma D 3 proveniente dalla pelle si aggiunge a quella proveniente dall’apparato digerente a seguito della digestione di alcuni alimenti ed attraverso il circolo sanguigno viene trasportata nel fegato e successivamente nei reni ove assume la sua struttura chimica definitiva (carcitriolo). In questa modalità la vitamina è in grado di entrare nel nucleo delle cellule attraverso dei recettori specifici interagendo con il DNA, condizionandone l’espressione.
Fu sorprendente scoprire che tutte le cellule del nostro sistema immunitario posseggono dei recettori per la forma metabolicamente attiva della vitamina D e che fungono da veri e propri sensori. Il ruolo della vitamina è schematizzato in figura n. 2. Essa stimola innanzitutto l’attività di fagocitosi dei macrofagi incrementando la produzione della catelocidina, una proteina con funzione antimicrobica e della beta-defensina 4. La sua azione è poi diretta verso i linfociti (CD4 in figura) verso una maggiore differenziazione dei linfociti T helper di tipo 2, a tutto discapito di quelli di tipo 1. A loro volta anche i linfociti Treg aumentano selettivamente il proprio numero con un contestuale aumento della produzione delle interleuchine 4 e 10 (IL 4 e IL10) dotate di un forte potere antinfiammatorio.
Fonte: elaborazione a cura dell’autore tratta da Baeke F., Takiishi T., Korf H., Gysemans C., Mathieu C., Vitamin D: modulator of the immune system in Current Opinion in Pharmacology 2010.
La sintesi della vitamina D esclude supplementazioni soprattutto se frutto del faidate; una dieta variata nella quale non manchino latte, formaggio e pesce azzurro è più che sufficiente per assicurare i minimi apporti richiesti. Diverso è il caso di problemi connessi con il malassorbimento o con la mancata esposizione alla luce solare; va tuttavia precisato che la vitamina D di origine alimentare è solubile nei grassi, come vedremo anche per la vitamina A e pertanto è sempre corretto non eliminare dalla dieta quotidiana l’assunzione di grassi alimentari soprattutto se di origine vegetale (olio extravergine di oliva).
Negli alimenti di origine vegetale la vitamina A è presente in una forma chimica che necessita di una preliminare conversione durante il processo digestivo, prima di poter svolgere efficacemente la sua funzione; solitamente nelle tabelle nutrizionali viene riportato il contenuto della vitamina già nella sua forma attiva (acido retinoico) nel corpo umano. Negli ultimi anni è stato accertato il ruolo di questa vitamina nello sviluppo dei linfociti T reg arrestando la differenziazione dei linfociti Th 17, con un meccanismo molto simile a quello indotto dalla vitamina D. I linfociti Th17 pur esercitando un ruolo di difesa contro le aggressioni esterne al corpo umano determinano un eccesso di risposta infiammatoria la quale deve essere necessariamente attenuata attraverso lo sviluppo dei linfociti T reg. Un adeguato apporto vitaminico è dunque in grado di privilegiare lo sviluppo di alcuni tipi di linfociti rispetto ad altri; oltretutto la vitamina A conserva l’integrità del tessuto intestinale ed il suo rivestimento di muco. Alcune ricerche hanno dimostrato che una carenza di vitamina A induce nella parete dell’intestino sia una scarsa presenza di linfociti CD4 che la loro capacità di migrare, pertanto la vitamina A è in grado di potenziare la prima linea di difesa del nostro organismo.
Contenuto in vitamina A (μg/100 g) di alcuni alimenti.
Fegato di pollo 36.600
Fegato (ovino, bovino, suino) 15.000-16.500
Anguilla di mare 980
Albicocche disidratate 1410
Carote crude 1148
Burro 930
Rucola 743
Uovo di gallina tuorlo 640
Zucca gialla 599
Fonte: dati CREA 2019.
Benché la vitamina A sia molto diffusa nel mondo vegetale i maggiori contenuti sono tuttavia riscontrabili nel fegato degli animali e nell’anguilla; anch’essa è solubile nei grassi pertanto i vegetali di colore giallo arancio vanno sempre consumati in abbinamento con una base grassa e se questo è più semplice con la zucca, meno verosimile è il suo abbinamento con l’albicocca. Il consumo di frutta fresca in abbinamento con della panna fresca di latte è senza dubbio da preferire.
Un’assunzione adeguata di vitamina A è pari a 600-700 μg/die che possono essere agevolmente soddisfatti con 100 g di rucola o 50 g di carote o, paradossalmente, con circa 60 g di anguilla. È sufficiente un tuorlo d’uovo per assicurare un giusto apporto. Supplementazioni con integratori sono sempre da assumere su prescrizione medica ed in ogni caso al di sopra di 3000 μg/die non si rileva alcun beneficio.
Il sole dell’estate ed un consumo abituale di frutta fresca sono un valido contributo per un armonico sviluppo delle nostre difese; sarà opportuno adottare questo stile di vita anche nell’autunno che è alle porte. Certamente i nostri antenati nell’antica Roma assumevano notevoli quantità di vitamina A grazie al consumo del fegato “ficato”, cioè del fegato degli animali nutriti con i fichi come ci testimonia Galeno (“τὸ συκωτὸν ὀνομαζόμενόν ἐστι, τῆς προσηγορίας ταύτης τυχὸν, ἐπειδὴ πολλῶν σύκων ξηρῶν ἐδωδῇ τοῦ μέλλοντος σϕάττεσϑαι ζώου τοιοῦτον παρασκευάζουσιν αὐτό”, “è quello denominato “ficato” che assume questa denominazione poiché lo preparano alimentando con molti fichi secchi l’animale che è destinato allamattazione” cfr. De Alim. Fac. VI, 679) ed è opportuno osservare le condizioni di salute di quelle popolazioni del delta del Po che per secoli hanno consumato anguille. D’altronde nella composizione del garum, la celebre salsa di pesce consumata dai romani, era prevista anche la presenza dell’anguilla (“Capiuntur pisces natura pingues, ut sunt salmones et anguillae”[…], […]” si prelevino pesci per natura grassi come lo sono i salmoni e le anguille”[…]), pertanto in questo ricercato condimento non mancava la vitamina A oltre che la D. I contenuti nutrizionali del fegato animale sono certamente lusinghieri, soprattutto per il fegato di pollo, anche se è opportuno preferire questo ingrediente proveniente da animali allevati con metodo biologico.