La stagione estiva è alle porte, il turismo prova a ripartire dopo un anno e mezzo drammatico, eppure gli alberghi e i ristoranti sostengono di far fatica a trovare cuochi, camerieri, baristi. Ma è davvero così? Intanto, il lavoro stagionale fa rima con precarietà, per definizione: si lavora per pochi mesi, spesso con poche tutele e talvolta anche con retribuzioni non così gratificanti. Quest’anno poi si aggiungono altri fattori: l’esistenza del reddito di cittadinanza, del reddito di emergenza e anche dei vai bonus ai lavoratori fermi causa Covid, compresi appunto gli stagionali e gli addetti del turismo, che stando al Sostegni Bis riceveranno da metà giugno un bonus da complessivi 2.400 euro netti per ristorare i mesi di inattività invernale causa zone rosse. Con questi paracadute, è anche fisiologico che a qualcuno venga in mente di non rischiare.
Secondo il sito LavoroTurismo.it, la maggiore piattaforma italiana di intermediazione fra ristoranti o hotel che cercano addetti e disoccupati che cercano un contratto, sembrerebbe andare proprio così: sono registrate circa seimila aziende in Italia che offrono posti, ma il numero di candidati per soddisfarle è attualmente insufficiente. “Sembra assurdo, ma la mancanza di personale si è molto acuita”, spiega il direttore di LavoroTurismo Oscar Galeazzi, che stima una carenza di personale di circa il 20%, rispetto alle richieste, o fino al 30% in mestieri da 2.500 o tremila euro al mese come i vicecuochi o i capisala. La difficoltà nel reclutare questi profili è così sentita che alcune aziende hanno iniziato a offrire di più, pur di assicurarsi gli addetti dall’inizio dell’estate. Eppure si vede che qualche problema nell’incontro tra domanda e offerta di lavoro ancora c’è, visto che secondo JobTech, la prima agenzia per il lavoro italiana completamente digitale, le cose starebbero un po’ diversamente.
JobTech, che ha come clienti ad esempio Telepass, Prima Assicurazioni e la Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa, raccoglie le candidature nel settore Ho.Re.Ca (alberghi e ristorazione) attraverso il portaleverticale Camerieri.it, che consente anche alle stesse imprese di cercare i profili di cui hanno bisogno, per provincia e per ruolo (camerieri ma anche addetti alle pulizie, lavapiatti, hostess, chef, bartender etc). Nel momento in cui scriviamo, solo questa piattaforma conta quasi 5.000 candidature. Da gennaio a maggio, le richieste per lavori nelle attività commerciali e di ristorazione, stando ai dati rilevati da JobTech, sono più che raddoppiate: un riscontro non del tutto sorprendente, visto che in inverno molte attività erano ferme, ma comunque significativo di una voglia di cogliere le opportunità delle riaperture.
“Seppur vero che l’incertezza delle riaperture a intermittenza, avvenute negli scorsi mesi, ha spinto molti lavoratori a cercare lavoro in un altro settore, riducendo il numero di professionisti solitamente occupati nel comparto – sintetizza Angelo Sergio Zamboni, cofondatore di JobTech -, le proteste dei datori di lavoro che registriamo in queste ore devono essere bilanciate dalla consapevolezza che esistono numerosi professionisti che vorrebbero essere impiegati, con le giuste tutele e i dovuti diritti, nel settore”. Il tema è dunque esattamente quello del mismatch tra domanda e offerta di lavoro, in questo caso nel settore Ho.Re.Ca.: “Sì, e rappresenta secondo le nostre analisi uno dei principali freni alla ripresa delle attività in uno dei business più importanti e strategici per l’Italia, la cui vocazione turistica deve poter contare su dipendenti affidabili, tutelati e produttivi”.
JobTech è riuscita anche a disegnare un identikit nel cercatore di lavoro nel settore turistico. Si tratta soprattutto di uomini over 30, di solito con una buona esperienza nel campo Ho.Re.Ca (il 15,3% ha almeno 5 anni di esperienza nella ristorazione) ma anche con un più che discreto livello di istruzione, visto che tre su quattro hanno il diploma, che c’è anche un 11% di laureati e che in molti sostengono di padroneggiare almeno la lingua inglese, e a seguire il francese e lo spagnolo. Soprattutto, il quadro che emerge è di ragazzi tutt’altro che choosy, come si arrivò a definirli: almeno sulla carta il campione analizzato è disponibile nel 96% dei casi a lavorare nei fine settimana, il 39% di notte, l’84% valuta anche un part-time e il 57% si dice disposto ad accettare persino un contratto a chiamata.
Chiudessero pure la baracca questi pseudoimprenditori. Con la scusa che “creano” “posti di lavoro” non fanno altro che alimentare un sistema di lavoro sottopagato, stressante e svalutato, in cui le persone non hanno giustamente voglia di investire tempo e risorse per formarsi e specializzarsi. Non sta scritto da nessuna parte che debbano esistere questo tipo di lavori o questo tipo di attività se queste sono le condizioni