In Italia il business della cultura genera da solo 96 miliardi di fatturato annuo, ma considerando anche l’indotto si arriva a 265,4 miliardi, pari al 16,9% del valore aggiunto nazionale (il dato comprende sia le filiere del settore sia il settore del turismo). In termini di occupazione, nel 2018 la cultura dava lavoro a 1,55 milioni di persone, il 6,1% del totale degli occupati in Italia e l’1,5% in più rispetto al 2017. Sempre l’anno scorso, il comparto ha prodotto un valore aggiunto del 2,9% (a prezzi correnti) superiore all’anno precedente. I numeri sono contenuti nella nona edizione del Rapporto “Io sono cultura – l’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi”, elaborato da Fondazione Symbola e da Unioncamere in collaborazione con la Regione Marche.
Nel dettaglio, le industrie culturali producono da sole 35,1 miliardi di euro di valore aggiunto (il 2,2% del complessivo nazionale), dando lavoro a 500 mila persone (il 2,0% degli addetti totali). Un contributo importante arriva anche dalle industrie creative, capaci di produrre 13,8 miliardi di valore aggiunto, grazie all’impiego di quasi 267 mila addetti. Le Performing arts generano 8,2 miliardi di euro di ricchezza e 145 mila posti di lavoro, mentre alla conservazione e valorizzazione del patrimonio storico-artistico si devono 2,9 miliardi di euro di valore aggiunto e 51mila addetti.
“Cultura, creatività e bellezza sono la chiave di volta di molti settori produttivi di un’Italia che fa l’Italia – commenta Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola, che giovedì ha presentato il Rapporto al Mibac – Un’infrastruttura necessaria anche per affrontare le sfide che abbiamo davanti a cominciare dalla crisi climatica. Se l’Italia produce valore e lavoro puntando sulla cultura e sulla bellezza, aiuta il futuro e favorisce un’economia più a misura d’uomo e, anche per questo, più competitiva”.
Le performance più rilevanti, all’interno delle industrie creative, appartengono al sottosettore del design (che produce 8,9 miliardi di euro di valore aggiunto insieme all’architettura; lo 0,6% del valore complessivo) e della comunicazione (4,9 miliardi di euro, lo 0,3%). Ad alimentare la ricchezza prodotta dalle industrie culturali, invece, sono il comparto dell’editoria e stampa (da cui deriva lo 0,9% del valore aggiunto nazionale, corrispondente a 13,7 miliardi di euro) e quello dei videogiochi e software (0,9%, pari a 13,6 miliardi di euro).
“L’Italia vanta la quota più elevata di imprese dei settori culturali in Europa, precedendo Francia, Germania, Spagna e Regno Unito – sottolinea il segretario generale di Unioncamere, Giuseppe Tripoli – Questo primato si deve a un rapporto molto fecondo nel nostro Paese tra cultura e attività di impresa: la cultura si fa impresa e l’impresa fa cultura. Basti pensare a quanto i settori del made in Italy, che sono leader nel mondo, traggano alimento dal nostro grande patrimonio culturale. Inoltre, proprio le imprese del sistema produttivo culturale e creativo hanno performance migliori rispetto alle altre in termini di occupazione e valore aggiunto. Questi risultati si devono anche all’adozione delle tecnologie 4.0, che riguarda circa il 70% delle industrie creative, quota più elevata rispetto agli altri settori”.