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Cultura: crollano anche nel 2013 consumi e investimenti

Di fronte alla crisi ancora in atto occorre uscire dalla retorica della bellezza e mettere in campo interventi organici e di lungo respiro per rilanciare la crescita del settore culturale e del Paese.

Il governo con i recenti decreti sulla cultura si è finalmente avviato su questa strada ma è necessario fare di più. Questo il monito che Federculture, nell’annuale assemblea delle aziende culturali italiane, lancia ai ministri Franceschini e Giannini, avanzando proposte concrete e linee di azione per i prossimi anni.

Reale complementarietà tra pubblico e privato; estensione dell’art-bonus al mecenatismo a favore di soggetti di natura privata, attualmente esclusi; sostegno ai consumi delle famiglie attraverso la detraibilità delle spese culturali; tavolo di coordinamento MiBACT-MIUR per integrare politiche formative, dell’offerta culturale e del lavoro; sostegno alla produzione e all’autonomia gestionale delle aziende della cultura.

Dal Rapporto Annuale Federculture 2014, presentato nel corso dell’assemblea, emerge un quadro ampio e dettagliato della situazione. Alcuni dati:

Per il secondo anno consecutivo, nel 2013 diminuisce la spesa culturale delle famiglie italiane: -3%.
Un calo che interrompe un lungo periodo nel quale, passando dai 55 miliardi di euro del 2000 ai 71,5 del 2011, la spesa in cultura aveva registrato un incremento del 30%.
La contrazione consecutiva degli ultimi due anni, 2012 e 2013, comporta un crollo del 7%.

La stessa inversione di tendenza investe anche la fruizione culturale. Tra il 2002 e il 2011 in tutti i settori si registravano valori in crescita che, nel biennio 2012-2013 si trasformano in un vistoso crollo:
teatro -15,5%, mostre -12,8%, concerti -14,4%.

Male anche i finanziamenti. Complessivamente l’intervento pubblico nella cultura (Stato e amministrazioni locali) negli ultimi dieci anni è diminuito di oltre 1,6 miliardi.

Gli investimenti dei privati (sponsorizzazioni, erogazioni liberali, investimenti delle fondazioni bancarie) nel settore culturale dall’inizio della crisi, 2008, ad oggi sono calati di circa 350 milioni di euro,
vale a dire il 40% in meno.

Siamo comunque sempre il 5° paese esportatore di beni creativi al mondo e leader nelle esportazioni di prodotti di design per i quali siamo al 1° posto tra le economie del G8 e al 2° tra quelle del G20.

E’ ancora un anno di difficoltà per la cultura quello che Federculture registra nel Rapporto Annuale 2014 “Cultura l’alternativa alla crisi per una nuova idea di progresso”, presentato questa mattina a Roma durante l’assemblea generale della federazione delle aziende culturali italiane.

Uno scenario a tinte fosche che, però, non deve far indulgere al pessimismo e alla rinuncia. Anzi, proprio a pochi giorni dall’inizio del semestre di Presidenza italiana dell’Unione europea, è necessario ritrovare lo slancio per attuare profondi cambiamenti e ritornare ad affermare il ruolo cruciale della cultura come collante dell’Europa e generatore di progresso per tutto il Continente.

Per questo da Federculture, ancora una volta, arriva una forte richiesta di riforme e trasformazioni cominciando dall’Italia, affinché il nostro Paese possa recuperare la leadership culturale, e quindi politica ed economica, che storicamente ha avuto in Occidente. Servono politiche incisive, dunque, a partire dalla riscoperta del valore della cultura come bene comune e servizio pubblico nel quale sia al centro il cittadino, destinatario finale di ogni intervento.

  • Ampliare l’accesso alla cultura e la partecipazione, con interventi fiscali a sostegno dei consumi, in particolare introducendo la detraibilità delle spese per attività culturali e formazione. Non è possibile che proprio in Italia non esistano facilitazioni fiscali per le spese in beni e servizi culturali, mentre, ad esempio, non si contano i provvedimenti a favore dell’acquisto di mobili o elettrodomestici.

E’ questa una delle prime proposte avanzate al Governo per riavvicinare gli italiani a teatro, cinema, musica e alla conoscenza del patrimonio e per arginare la caduta dei consumi culturali certificata dai dati più recenti: nel 2013 la spesa in cultura e ricreazione degli italiani si ferma a 66,5 miliardi di euro, 5 miliardi in meno spesi nel settore se si considera il biennio 2012-2013. Di pari passo continua a diminuire anche la partecipazione culturale in tutti i settori: teatro8%; musei e mostre 7,5%, cinema -5,6%, concerti -6,3%. Anche in questo caso il 2013 è il secondo anno di contrazione e tra 2012 e 2013 il crollo della partecipazione diventa anche a due cifre.

Dati che ci posizionano in fondo alle classifiche europee. Siamo tra gli ultimi 8 paesi per spesa culturale delle famiglie nella classifica dell’Europa a 27 e al di sotto dei valori medi europei sia nella spesa in cultura che nella pratica culturale generale: il nostro indice di ‘alta partecipazione culturale’ è 5% mentre la media UE è 13%.

Un dato positivo si registra per i musei statali che recuperano parzialmente la diminuzione del 10% dei visitatori del 2012, con un aumento del 2,9% nel 2013- Ma se si guarda alle strutture civiche in molte città si incontrano delle flessioni: a Roma i musei comunali segnano un 5,7% in meno di visitatori, a Palermo -5,3%, Milano -4,2%, Bologna -4,2%.

Il pesante calo dei consumi evidenziato dai dati più recenti è certamente influenzato dalla crisi generale, ma anche da una riduzione dell’offerta conseguente alla continua contrazione degli investimenti pubblici e privati nel settore culturale e alla mancanza di politiche e provvedimenti organici di modernizzazione nella gestione.

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  • Serve ripristinare i livelli di investimenti pubblici e dare certezza, nel quadro di una programmazione pluriennale, all’erogazione delle risorse, ma anche attuare coraggiose iniziative che vadano nella direzione della semplificazione normativa e sburocratizzazione delle procedure.

Il quadro della risorse destinate a vario titolo al settore non è confortante.

A livello statale la leggera risalita dello stanziamento MiBACT per il 2014, 1.595 milioni di euro contro i 1.547 programmati nel 2013, frena solo parzialmente l’emorragia che in dieci anni ha visto il Ministero perdere il 27,4% del proprio budget.

Ma sono soprattutto le amministrazioni locali ad essere in difficoltà: dai Comuni nel 2012 sono stati destinati al settore 1,9 miliardi di euro, il 9,4% in meno sul 2011 e ben il 26% in meno rispetto al 2005 quando le risorse investite nella cultura erano pari a 2,6 miliardi di euro. Significativo è pure il calo degli investimenti effettuati negli ultimi anni dalle Province pari nel 2012 a 160 milioni di euro, -25% sul 2011 e -42% rispetto al 2006.

Stessa tendenza si rileva per gli investimenti dei privati: -9% alla cultura dalle fondazioni bancarie; -18% dalle erogazioni liberali, mentre segnano una leggera ripresa le sponsorizzazioni che nel 2013 crescono di 9 milioni di euro, +6%.

  • In questo quadro le nuove norme fiscali per il mecenatismo, l’art bonus, sono iniziative sicuramente positive ma non sufficienti. Federculture auspica una stabilizzazione nel tempo e nell’entità degli importi deducibili per il mecenatismo culturale e sollecita l’estensione dell’art bonus anche a chi effettua erogazioni liberali a favore di soggetti con personalità giuridica di diritto privato (es. fondazioni costituite da enti pubblici) e a istituti e luoghi aperti al pubblico ma appartenenti a soggetti privati e infine a quel privato non–profit che sia impegnato in attività culturali. Se così non fosse si creerà una disparità di trattamento tra soggetti diversi ma che esercitano una funzione si servizio pubblico.
  • Ma, oltre alle risorse, è necessario migliorare il sistema dell’offerta e agire sull’efficienza amministrativa, anche abbandonando la gestione diretta di Stato ed Enti locali di beni e attività culturali favorendo forme gestionali autonome e privatistiche.

In uno scenario negativo come quello descritto, infatti, c’è una parte del Paese che funziona. Le molte aziende culturali pubblico-private che gestiscono beni e attività culturali dimostrano come sia possibile ottenere risultati di efficacia ed efficienza anche in una situazione di crisi.

La ricerca Federculture condotta per il terzo anno su un campione di realta tra le quali Fond. Musei Civici Venezia, Triennale di Milano, Fond. Torino Musei, Madre Napoli, Az. Speciale Palaexpo, Fond. MAXXI, ecc., presenta indicatori molto chiari: nel periodo 2008-2013 nonostante una riduzione media dei contributi pubblici del 32,4% e di quelli privati del 48%, le aziende sono riuscite ad incrementare le entrate proprie +36%, le presenze +16%, l’occupazione +7,4% e l’autofinanziamento che raggiunge una media del 54%.

Risultati ancor più rilevanti se si considera che nel 2013 il 15% degli istituti culturali statali non ha avuto visitatori, né generato introiti, che solo il 9% dei musei italiani ha un servizio di biglietteria on line o che appena il 5% offre applicazioni per smartphone o tablet.

Le aziende autonome di gestione sono un modello virtuoso di cui la politica deve finalmente tenere conto, anche perché si dimentica spesso che solo il 9% dei 4.588 siti culturali italiani fanno capo allo Stato, mentre il resto fa parte di quella fitta rete di realtà piccole e grandi diffuse nel paese gestite prevalentemente da organismi di natura privatistica e che accolgono oltre il 60% dei visitatori dei nostri musei e beni culturali.

  • Rilanciare il sistema educativo e formativo per ampliare l’accesso alla conoscenza e all’espressione artistica delle giovani generazioni. Va portata avanti l’impegno assunto dal governo per ripristinare l’insegnamento della storia dell’arte, della geografia e della musica nelle scuole superiori. Contemporaneamente si rende necessaria una riforma dell’Alta Formazione Artistica e Musicale (AFAM) che punti al riconoscimento del titolo universitario e ad un più stretto raccordo con il mondo della produzione. In questa direzione è fondamentale l’azione congiunta di Mibact e Miur per avvicinare formazione e offerta, dando ai giovani un ruolo attivo nel lavoro e nell’economia.

Siamo tra gli ultimi Paesi in Europa per spesa pubblica nell’istruzione, 4,2% del pil a fronte di una media Ue del 5,3%. Il nostro tasso di giovani che abbandonano prematuramente gli studi, 17,6%, è, invece, tra i più alti d’Europa in cui il tasso medio è del 12,8%. Siamo ancora deboli anche nell’istruzione superiore: il 21,7% dei 30-34enni ha conseguito un titolo di studio universitario (o equivalente). Nonostante un incremento di 6 punti percentuali nel periodo 2004-2012, la quota è ancora molto contenuta rispetto all’obiettivo del 40% fissato da Europa 2020. D’altronde continuano a diminuire le immatricolazioni: 68.000 iscritti in meno nell’anno accademico 2013-2014 rispetto a dieci anni fa.

«Viviamo un tempo di transizione e incertezza – commenta Roberto Grossi, Presidente di Federculture –, ma l’Italia ha potenzialità enormi e risorse sulle quali fare perno per rilanciarsi. Dobbiamo smettere di rincorrere le emergenze e ripartire da un’idea di Paese in cui la cultura torni ad essere una guida fondamentale del progresso. Abbiamo bisogno di tornare all’economia reale. La cultura ha un ruolo determinante anche per la ricchezza economica e l’occupazione. Sul lavoro in particolare ben vengano i provvedimenti del governo per l’occupazione giovanile nella cultura, ma occorre fare molto di più e voglio lanciare una sfida: sono convinto che se affidassimo a imprese e associazioni giovanili, con obiettivi e regole chiare, i tanti musei e luoghi della cultura dello Stato e degli Enti locali praticamente chiusi e incentivassimo start up nel campo dell’industria culturale e creativa in due anni potremmo abbattere del 5% l’altissimo livello di disoccupazione giovanile.

Il vero dramma – conclude Grossi –  il problema principale per il futuro è l’assenza di una visione nella quale costruire un orizzonte nuovo. Su questo, invece, occorre concentrare ogni sforzo anche a livello europeo per ridare un senso e un nuovo vigore al grande progetto unitario. Il periodo di crisi che ha stravolto molti settori può aprire una fase nuova di “distruzione creatrice”. Cioè avviare un processo di rinnovamento profondo in grado di aprire un nuovo ciclo di sviluppo, che solo grazie alla cultura può portare benefici duraturi in tutti i campi della società. Economia e occupazione insieme a democrazia, diritti umani, benessere. Questa è la strada del progresso che la storia, di là di ogni studio, ci dimostra».

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