A sessant’anni dalla sua realizzazione, il Gattopardo, grandioso affresco di un’Italia sospesa fra passato e futuro firmato da Luchino Visconti, dal romanzo di Gioacchino Lanza Tomasi di Lampedusa, mantiene inalterato il suo fascino. Fra lo studio psicologico dei suoi protagonisti, le straordinarie certosine ambientazioni di una Sicilia che fu, le sensuali atmosfere dei giovani amanti Angelica e Tancredi impersonati da Claudia Cardinale- Alain Delon, dietro le quali si coglievano in trasparenza come andavano mutando i rapporti fra nobiltà e borghesia emergente, un posto di rilievo nel film è riservato alla cucina che diventa elemento di interpretazione delle atmosfere che si registrano nelle varie fasi del film. Celeberrimo e più volte imitato il Timballo per il quale Visconti si ispira a una ricetta siciliana del 1860 e minuziose le descrizioni dei vari momenti, come per la cena a Villa Salina descritta in questi termini da Tomasi di Lampedusa: “servita con il fasto sbrecciato che allora era lo stile del Regno delle due Sicilie, il numero dei commensali, 14 erano fa fra padroni di casa figli governanti e precettori, bastava da solo a conferire imponenza alla tavola ricoperta da una rattoppata tovaglia finissima. Essa splendeva sotto la luce di una potente carsella precariamente appesa sotto la ninfa sotto il lampadario di Murano, massiccia l’argenteria e splendidi i bicchieri recanti sul medaglione liscio, tra i bugnati di Boemia, le cifre FD: Ferdinando Dedit in ricordo di una munificenza regale”.
Il mitico timballo per il quale Visconti si ispirò a una ricetta siciliana del 1860
E più oltre quando Padre Pirrone interpretato da uno stupefacente Paolo Stoppa, esce dal colloquio con il Principe di Salina, nel romanzo si legge che “pur apprezzando le prelibatezze di casa Salina si rianima tornando a casa in quanto dalla cucina esalava il secolare aroma del ragù che sobbolliva con estratto di pomodoro, cipolle e carne di castrato”. Come non ricordare più oltre la descrizione del dolce preferito dai principi che “si presentava minaccioso con quella sua forma di torrione appoggiato su bastioni e scarpate dalle parti lisce e scivolose, impossibili da scalare, presidiato da una guarnigione rossa e verde di pistacchi che era però trasparente e tremolante e il cucchiaio vi si affondava con stupefacente agio”.
E’ stata una brillante idea quella del Premio letterario Giuseppe Tomasi di Lampedusa svoltosi nella suggestiva cornice del palazzo del Museo del Gattopardo a Santa Margherita di Belice, austero edificio del XVIII secolo, di invitare diversi chef Maestri del gusto, a prestare la loro professionalità in onore al Gattopardo, reinterpretando piatti tradizionali descritti nel romanzo, come spigole in soffici salse, consommé, profumo di cannella, coralline aragoste, prosciutto, tartufo ed estratto di carne e piselli.
In particolare lo chef Francesco Bonomo, classe 1979, chef di Marsala in provincia di Trapani, cultore e sostenitore della cucina tradizionale che porta avanti e promuove elaborata con nuove tecniche di preparazione e cottura, campione regionale del “Cous Cous World Championship e successivamente vincitore con la squadra italiana , del premio Giuria Popolare per il “Miglior cous cous al mondiale di San Vito lo Capo, ha proposto un piatto ispirato al celebre ballo del Gattopardo che omaggia sia il film che Santa Margherita del Belice.
La scena è lo stupefacente Salone giallo di palazzo Valguarnera Gangi, edificio costruito nella prima metà del diciottesimo secolo e terminato intorno al 1007 dal principe Pietro di Valguarnera dominato dall’affresco de “Il trionfo della fede tra le virtù teologali e cardinali” dipinto da Gaspare Serenario nel 1754.
Un piatto in forma ovale con decorazioni circolari come il movimento rotatorio e armonioso del ballo di Angelica e Tancredi
Lo chef Francesco Bonomo si è ispirato al ballo dell‘affascinante e sensuale Angelica con il giovane Tancredi che “danzano volteggiando in un grande e lussuoso salone aristocratico, inebriati da profumi di agrumi ed essenze, emanando fascino, bellezza, amore e passione” per rievocare in un cous cous quel percorso, l’atmosfera del ballo, ma anche il connubio di sapori, profumi e sensazioni che emanano da quella scena che ha fatto epoca. “Ripensando alla storia, dove l ‘autore descrive una lunghissima e stretta tavola, illuminata da 12 candelabri, ho ideato il mio piatto in forma ovale con decorazioni circolari come il movimento rotatorio e armonioso del ballo di Angelica e Tancredi”. Ha scelto il cous cous, spiega, come simbolo di aggregazione, di pace e di uguaglianza, utilizzando molte delle materie prime narrate nel Gattopardo! Bonomo ha insaporito il suo cous cous con un brodo di aragosta, ha adagiato a fianco una purea di piselli, l’ha impreziosito con dei petali di spigola marinata, con olio al prosciutto, con bottarga di uova di gallina e con gelée di Moscato, esaltandone il profumo con una essenza di sua creazione, una dolce, sensuale e inebriante cannella. “Ho cercato di rievocare i sapori non di una semplice cena, ma di un grande evento in cui si fondano cultura, storia, musica e gastronomia. In tutto ciò ho puntato a realizzare una creazione emozionale che riportasse al Palazzo Salina di Donnafugata”.