Le bolle immobiliari sono ormai quasi ovunque scoppiate e i prezzi delle case sono scesi e continuano a scendere rapidamente, soprattutto in termini reali. Solo negli Stati Uniti ci sono chiari segnali di stabilizzazione.
In Italia sono diminuiti, a partire dall’inizio del 2008 e fino al principio del 2012, di oltre il 10%, pari a un -2,7% annuo in termini nominali (-4,3% al netto dell’inflazione), rimanendo però del 9,2% sopra il livello medio di lungo periodo, in rapporto alla capacità di spesa delle famiglie (misurata dal reddito disponibile). Per completare l’aggiustamento entro la fine del 2013 sarebbe necessaria una diminuzione del 7,0% delle quotazioni. La discesa potrebbe però essere più prolungata e profonda: nel 1997 avevano toccato un minimo del 30% sotto la media di lungo termine (sempre in rapporto al reddito disponibile).
Uno scenario reso più probabile dalla persistenza della crisi che obbliga le famiglie a rivedere i piani di spesa e sta imprimendo un’accelerazione alla caduta dei prezzi, come si desume dal crollo del numero di compravendite (-19,6% tendenziale nel 1o trimestre 2012), dall’aumento della quota di agenzie immobiliari che segnalano variazione negativa dei prezzi (74,4% nel 2o trimestre 2012) e dallo sconto sulla richiesta iniziale (15,4% in media).
Le bolle immobiliari si erano gonfiate a partire dalla seconda metà degli anni 90 con straordinaria e non casuale sincronia nei principali paesi, avanzati e non. Con due grandi eccezioni: Germania e Giappone, dove altrettanto ampie bolle si erano avute negli anni 80 e nei primi 90, scoppiando prima e lasciando a lungo depresso il mercato delle abitazioni. Soprattutto lo sfasamento tedesco è cruciale nel determinare, anche nei prossimi anni, le divergenze di crescita nell’Eurozona, visto che il sistema economico germanico sarà l’unico a ricevere una spinta dall’edilizia. Altrove, invece, agirà da freno; in particolare in due fondamentali tasselli core dell’Area euro: i Paesi Bassi e la Francia. In entrambi i casi le quotazioni delle abitazioni sono tuttora molto elevate rispetto all’esperienza passata, qualunque sia il metro utilizzato.
L’implosione dei prezzi delle case, coniugata con famiglie molto indebitate, ha già dimostrato di essere una potente causa recessiva in Usa, Irlanda e Spagna, anche attraverso le ripercussioni sui conti delle banche e sulla dinamica del credito. Graverà sulle prospettive di crescita dell’area euro, tolta la Germania, perché indebolirà a lungo il settore delle costruzioni. Ciò è tanto più vero in Italia, dove il reddito disponibile e le possibilità di risparmio delle famiglie sono da tempo penalizzate dalla bassa crescita, che intacca occupazione e retribuzioni reali, e dall’aumento della pressione fiscale, giunta a livelli record (45,4% del Pil nel 2013; 54,6% l’incidenza effettiva, al netto cioè del sommerso).