Nella competizione globale sempre più accesa, le imprese italiane hanno dimostrato di saper tenere il passo di quelle tedesche sui mercati esteri: negli ultimi quattro anni il loro export è cresciuto del 3,0% annuo, contro il 3,5%.
Per reggere il confronto hanno saputo orientare le vendite verso i paesi più dinamici, tanto che la domanda potenziale italiana è salita del 4,1% medio annuo tra il 2000 e il 2014, contro il +4,2% di quella tedesca.
Hanno aumentato la qualità dei prodotti: +25,0% l’incremento nello stesso periodo dell’indicatore elaborato dal CSC, contro +13,3%. Hanno contenuto l’aumento dei listini: +2,0% annuo, contro +1,8%. E hanno sempre più presidiato le posizioni a monte lungo le catene globali del valore, mentre la Germania, al contrario, si è specializzata a valle. Insieme, queste forze hanno offerto un contributo positivo di 4,9 punti percentuali all’anno alla dinamica delle esportazioni italiane.
Allo stesso tempo, hanno spinto in direzione contraria alcuni fattori. In particolare, l’aumento del CLUP (costo del lavoro per unità di prodotto): +3,0 punti percentuali all’anno, rispetto al -0,1 tedesco (per la Germania i dati sono fermi al 2013).
Una serie di elementi offre, oggi, un’occasione di recupero: svalutazione dell’euro e crollo delle quotazioni oil, che aumentano la competitività italiana di prezzo e di costo e rimpolpano i margini delle imprese; e tassi a lunga ai minimi, che riducono i costi di finanziamento. Maggiori margini e minore costo del denaro alimenteranno nuovi investimenti e, quindi, futuri guadagni di produttività.
Occorre capitalizzare i vantaggi che derivano da questi fattori proseguendo lungo la strada delle riforme strutturali, con il completamento di quelle del mercato del lavoro e della pubblica amministrazione.
Allegati: Nota CSC n.6-2015_Competitivit�.pdf