Tra i tanti effetti della crisi, in Italia, c’è il ritorno della centralità del ruolo della famiglia, dopo decenni in cui era andato progressivamente sfumando. A testimoniarlo è un rapporto Coldiretti/Censis “Crisi: vivere insieme, vivere meglio”, che rivela come il 31% degli italiani viva con la propria madre, e che il 42,3% abita ad un massimo di trenta minuti da essa. Molto alta anche la percentuale, 54%, di chi risiede a poca distanza dai propri parenti stretti.
Scomponendo il dato per fasce d’età, emerge che i giovani tra i 18 e i 29 anni vivono in famiglia nel 60,7% dei casi, alzando così la media, ma coabitano anche persone tra i 30 e i 45 anni (il 25,3%) e tra i 45 e i 64 anni (11,8%).
Si conferma, dunque, il mito dell’italiano mammone, ma ovviamente c’è di più, in questo prepotente ritorno del ruolo della famiglia, che diventa, così, un “soggetto di welfare” in un momento di crisi, aiutando, tramite la ricompattazione, i membri più bisognosi. Sempre di più la famiglia diventa una rete di sicurezza, fondamentale, secondo Sergio Marini (presidente di Coldiretti), “per non far sprofondare nelle difficoltà della crisi moltissimi cittadini”.
Un ritorno alla tradizione, questo, che si arricchisce di altri elementi tipici identità nazionale, come la riscoperta del piacere della cucina in casa, che vede un numero crescente di italiani, sia uomini che donne, passare un tempo sempre maggiore davanti ai fornelli per preparare pietanze di ogni genere, tra cui anche alimenti come yogurt, pane, gelato e conserve, preparati regolarmente, secondo il rapporto da 11,2 milioni di persone.
Cresce, come diretta conseguenza di questo processo, anche il numero di acquisti di prodotti locali presso gli agricoltori, e il numero degli italiani, 7,7 milioni, che si portano al lavoro cibo fatto in casa, per risparmiare, sì, ma anche per essere sicuri della qualità del proprio pasto.
Il boom degli acquisti di prodotti a chilometri zero non cancella un’abitudine consolidata dei cittadini del Belpaese: la spesa alimentare sotto casa, a non più di 15-20 minuti a piedi dalla propria abitazione, praticata dall’85% degli italiani. Aldilà della relativa convenienza di questi shop di quartiere (spesso e volentieri del tutto antieconomici), ad essere importante è il momento aggregativo, tanto che il momento della spesa è ritenuto quello più importante per stringere rapporti, più ancora delle attività spirituali.
Lo stesso bisogno, quello di un rituale di aggregato, anima anche un’altra abitudine sempre più importante per gli italiani, quella dell’aperitivo. Abitudine che coinvolge 16,5 milioni di cittadini, di cui 2,5 milioni in maniera regolare, e che si arricchisce, soprattutto nei momenti festivi, del contributo, culturalmente ed economicamente rilevante, delle sagre paesane.
Ma il bisogno di aggregazione non si esaurisce nei soli luoghi fisici, allargandosi anche al web, dove, sempre più, cresce il numero di italiani membri di community di vario genere, specialmente quelle che hanno per tema il cibo. La sintesi del rapporto, e il filo rosso che tiene unite tutte le tendenze in atto, è la ricerca di sicurezza del cittadino italiano, che, smarrito di fronte alle difficoltà della crisi, forse, e non a torto, si sente abbandonato da uno Stato sempre meno sociale.