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Crisi, l’analisi del CER: Monti, non “lacrime e sangue” ma crescita

Al nuovo governo presieduto da Mario Monti viene chiesto di uscire, e se possible in tempi rapidi, dalla crisi. Ma come ci siamo arrivati a questa situazione? E soprattutto come sarà possibile risolverla adesso?

Ad analizzarlo è il CER, Centro europeo ricerche, che innanzitutto sottolinea la pesante eredità lasciata dal governo di centrodestra. Nel giugno del 2008 Tremonti annunciava orgogliosamente di aver messo a posto i conti pubblici. E tre anni e mezzo dopo, invece?

Nel 2009 la produzione industriale e di conseguenza il Pil sono letteralmente crollati a picco: la produzione industriale addirittura al -25% rispetto al valore base del 2007, il Pil in decremento del 4-5%. Il 2010 è stato l’anno della ripresa, soprattutto del manifatturiero, trainato dalle esportazioni, mentre il Pil è rimasto sempre sostanzialmente stazionario.

Le previsioni per il 2011 sono nuovamente negative: il prodotto interno lordo vede ricomparire il segno “meno” (-0,5% secondo il Cer), mentre l’industria nell’ultimo trimestre torna a soffrire. E le previsioni del Cer per gli anni sucessivi non sono incoraggianti, soprattutto il 2012, che sarà l’anno nero: Pil, consumi, investimenti e scorte in calo. Si salveranno solo le solite esportazioni, ma ben al di sotto del loro potenziale.

Ma non solo: il governo lascia con uno spread tra i titoli di stato italiani e tedeschi di oltre 500 punti base, nonostante nel corso della legislatura siano state adottate misure correttive per oltre 117 miliardi. Il problema dunque sta nella fiducia dei mercati, che non guardano solo i numeri ma anche la credibilità: gli operatori non credono agli annunci e impongono uno sforzo supplementare per il loro effettivo raggiungimento. Non si accontentato della “ragionieristica” dell’equilibrio di bilancio, ma necessitano di coniugare rigore fiscale con strategie di rilancio della crescita, del tutto assenti nel panorama politico e legislativo italiano.

Cosa deve fare dunque Monti? Prendiamo ad esempio la crisi del 1992, con il governo tecnico di Giuliano Amato. Allora fu necessaria una manovra correttiva da “lacrime e sangue”, perchè la finanza pubblica era allo sfascio.

La situazione adesso è diversa, per una serie di motivi:

– innanzitutto ci sono già quasi 118 miliardi di misure correttive esistenti, alle quali va soltanto data attuazione, senza perdite di tempo e giochi di potere;

va ristabilita la credibilità istituzionale e internazionale del Paese, condizione necessaria per ridurre il differenziale tra i nostro Btp e i Bund tedeschi. Solo così è possibile dare efficacia alle misure già prese, che altrimenti verrebbero vanificate dalla maggiore spesa per gli interessi;

– assumere un atteggiamento in sede europea di solidarietà e protezione reciproca, perchè le punizioni inflitte ai “colpevoli” hanno risultati controproducenti su tutta l’eurozona. Basti pensare che la stessa Germania, prima economia dell’area euro, è accreditata di una crescita 2012 del solo +0,8%, contro il 3% del 2011 e il 3,7 del 2010.

Dunque, innanzitutto rigore, credibilità, e riduzione dello spread. Ma poi, anche crescita. Le misure fin qui adottate sono state solo di tipo restrittivo, con questi effetti depressivi: aumento della pressione fiscale (che raggiunge il 44,9% nel 2013, +2,3 punti sul 2010), riduzione del reddito disponibile reale delle famiglie (-2,2%), contrazione degli investimenti pubblici (-37% nel 2014).

Ecco invece quali sarebbero, secondo il Cer, le ricette per la crescita:

ridurre la sottoccupazione delle donne, dei giovani e degli anziani;

ridurre il carico fiscale sul lavoro, restituendo competitività alle imprese;

– incentivare fiscalmente l’attività di investimento delle imprese;

– fluidificare la riconversione dei sistemi produttivi (ovvero: ammortizzatori sociali);

– recuperare la funzione della domanda pubblica come volano di nuove attività imprenditoriali.

La strategia è complessa, il compito di Mario Monti e dei suoi Ministri arduo, ma ciò dovrà consentire al nostro Paese di riprendere il posto che merita in Europa, come Paese fondatore e terza economia dell’area.

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