Non va in porto la forzatura della Lega: il calendario della crisi votato dal Senato, dopo che la conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama non ha ottenuto l’unanimità sulle tempistiche di convocazione dell’Aula, prevede che l’intervento in Parlamento del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che Matteo Salvini sollecitava entro Ferragosto, avverrà invece dopo il ponte festivo.
L’assemblea di Palazzo Madama ha bocciato la richiesta del Carroccio di votare la sfiducia a Giuseppe Conte già oggi e ha deciso che il premier riferirà in Aula martedì 20 agosto. Il calendario è stato approvato con i voti di una maggioranza inedita: M5S, Pd, Leu e Autonomie.
La Lega non ha trovato i numeri in aula per accelerare i tempi e ufficializzare velocemente la crisi, con conseguente scioglimento delle Camere (sempre nelle intenzioni del Carroccio) e ritorno alle urne. A Salvini non è bastato il sostegno FI e FdI. Il fronte opposto ha inveceraccolto la maggioranza: sono 107 i senatori 5S, 51 quelli Pd e una decina quelli del Misto, fra cui i 4 senatori di LeU, per un totale di 168 voti. Restano da attribuire i 6 voti del gruppo delle Autonomie, che però in questo caso non faranno la differenza.
“La convocazione dell’Assemblea – ha commentato Elisabetta Casellati -, nell’ipotesi in cui il calendario dei lavori non venga approvato in capigruppo all’unanimità, non costituisce forzatura alcuna, ma esclusivamente l’applicazione del regolamento. L’art. 55, comma 3, prevede infatti che sulle proposte di modifica del calendario decida esclusivamente l’Assemblea, che è sovrana. Non il presidente, dunque”. Conte si presenterà dunque in Parlamento tra una settimana, quando si discuterà della mozione di sfiducia presentata dalla Lega nei suoi confronti.
Gli scenari possibili sono ancora tutti aperti: nelle ultime ore però, dopo la voci di un possibile “accordo” tra Movimento 5 Stelle e Partito Democratico per un governo di responsabilità, allo scopo di votare la manovra evitando la clausola dell’Iva, l’intesa sembra non più così sicura. Il Pd infatti è spaccato, col fronte renziano che vorrebbe evitare il voto per neutralizzare Salvini, e il segretario Zingaretti che invece accetterebbe più volentieri la sfida delle urne.