Da tre giorni nei palazzi della politica e tra chi segue il mondo ambientalista risuona “green new deal”. Espressione magica e vuota al tempo stesso. Dipende dal contesto. Il capo politico del M5S, Luigi Di Maio l’ha inserita al terzo dei dieci punti per avviare la trattativa per risolvere la crisi di governo. Ha detto di un “cambio di paradigma sull’ambiente per un’Italia al 100% rinnovabile”. Un punto prioritario pronunciato in un contesto che vede i grillini decisamente in difficoltà.
Che il movimento, sin dal suo nascere, abbia cavalcato i temi ambientali per portare l’Italia sulla strada di una profonda revisione dell’uso delle fonti di energia e della qualità della vita nelle città, è un dato di fatto. Che una volta assunto responsabilità di governo non abbia saputo dare corpo e sostanza a quei nobili proclami, è sotto gli occhi di tutti. Soprattutto di quell’universo ambientalista che ha dato forza elettorale e fiducia ai seguaci di Grillo.
Nel decalogo post crisi del governo Conte si dice anche “basta inceneritori, no alle trivelle, sì all’economia circolare… una legge sui rifiuti zero e sugli investimenti alla mobilità sostenibile”. Una miscela contraddittoria per i guai che ha l’Italia. Non è certo se tutto ciò che è scritto sia farina del sacco di Di Maio e del suo gruppo di comando o se il punto sia stato “ispirato” direttamente da Grillo e Casaleggio.
Magari per rilanciare un tema identitario del M5S. Si può sospettare che durante i quattordici mesi di governo con la Lega i due padri fondatori siano rimasti delusi dalle decisioni prese. Come si può sospettare ancora che il “green new deal” annunciato da Di Maio abbia inteso scavalcare a sinistra il Pd che nei suoi cinque punti di trattativa ha parlato di investimenti per una diversa stagione della crescita, fondata sulla sostenibilità ambientale e su un nuovo modello di sviluppo.
Si capisce, quindi, perché in un tale contesto l’espressione ci appaia magica e vuota, ancorché priva di credibilità per chi si è azzardato a scriverla e pronunciarla. In più di un anno di governo, il M5S ha avuto tutta la possibilità di far cambiare passo all’Italia sui temi ambientali. Il contratto di governo firmato con la Lega, al di là di ogni buona pratica da mettere in campo e con la nomina di un Ministro di area, esperto, diceva sostanzialmente le stesse cose di oggi.
”Sostenere la “green-economy”, la ricerca, l’innovazione e la formazione per lo sviluppo del lavoro ecologico e per la rinascita della competitività del nostro sistema industriale, con l’obiettivo di “decarbonizzare” e “defossilizzare” produzione e finanza e promuovendo l’economia circolare”. Cosa hanno portato a casa? Delusione, certamente (non da soli) e tanti progetti rimasti sulla carta che oggi richiedono una seria autocritica e la possibilità per altri di provarci. In un contesto ovviamente diverso.
Tralasciamo il tema degli inceneritori, a proposito dei quali Renzi (per dire chi ha aperto al dialogo con il M5S) ne aveva messo in cantiere altri, poche settimane fa Legambiente ha denunciato l’esistenza di 18,8 miliardi di euro di sussidi vigenti per le fonti fossili. Gli ambientalisti hanno chiesto di aggiornare il catalogo del ministero dell’Ambiente sui sussidi per poi toccare obiettivi concreti di sostenibilità entro il 2025.
Se li aspettavano, dopo aver elencato puntualmente cosa tagliare e come rimodulare la spesa pubblica a favore delle rinnovabili e della tutela dell’ambiente. Un paradosso, insomma, tra proclami e pratica governativa in piedi dal 2017 e che il “governo del cambiamento“ poteva e doveva risolvere. Gli ambientalisti ci sperano ancora e non tutto deve dirsi perduto.
Se la trattativa tra Pd e M5S porterà alla formazione di nuovo governo , quelle proposte vanno riprese e discusse anche con la parti sociali. Non serve andare nei convegni a far promesse se non si è capaci di incidere sul serio. I grillini ne hanno dette di cose in questi mesi senza costrutto. E l’ambiente, i rifiuti, l’acqua, le estrazioni di gas e petrolio sono temi complessi, di portata mondiale.
Richiedono competenza, preparazione, molto spesso anche buon senso. La vera green economy vuole consenso sociale, condivisione e investimenti. In Italia, per come sono andate le cose nell’ultimo anno, reclama anche un passo indietro da parte di chi ha fatto solo promesse.