Un Pil che cresce oltre il 4%, un basso costo del lavoro – anche qualificato – che attrae un massiccio afflusso di investimenti esteri, nuovi giacimenti di shale gas che potrebbero garantire a breve l’autosufficienza energetica – oltre ad abbattere ulteriormente i costi di produzione. Non siamo in un Paese emergente dell’America del Sud, né in uno dei dinamici Stati africani o asiatici in via di sviluppo, bensì nella vicina Polonia. La crisi economico-finanziaria, oltre che politica, che sta mettendo in difficoltà le nazioni più ricche e sviluppate dell’Unione europea e che sta portando i Paesi periferici, come Grecia e Portogallo, a rischiare il default sul debito pubblico – dopo anni vissuti al di sopra delle proprie possibilità – non ha colpito tutti. La Polonia infatti è riuscita a mantenere una performance positiva che unisce la crescita dell’economia a un sostanziale rispetto dei fondamentali macroeconomici: segno che è possibile rispettare i parametri di Maastricht senza dover per forza scivolare nella stagnazione.
La Polonia, governata dal premier di centrodestra Donald Tusk e presidente di turno uscente dell’Ue, ha chiuso il 2011 con un incremento del Pil del 4,3% e si presume che quest’anno la crescita sarà nell’ordine del 2,5%: una diminuzione consistente, ma da ritenere comunque positiva nel contesto europeo che prevede recessione – oppure, nei migliori casi, una crescita prossima allo zero – per i suoi Stati più importanti. Previsioni ancor più positive se si considera che la nazione dell’Europa centro-orientale è fortemente dipendente dalle economie vicine in termini di investimenti e di esportazioni. Il rapporto del debito pubblico sul Pil è sostanzialmente stabile sul livello di 56,7%, dunque perfettamente all’interno dei “precetti” stabiliti vent’anni fa dal Trattato sull’Unione Europea e da poche settimane “rispolverati” dalle norme del Fiscal Compact. Il costo del lavoro è tra i più bassi d’Europa (7,46 euro l’ora nel 2010 secondo Eurostat) ed è una delle ragioni che hanno permesso di attrarre flussi crescenti di investimenti esteri.
Come in molte fotografie, però, non manca il contrasto chiaro-scuro. La congiuntura internazionale, che ha visto nel Vecchio Continente una delle aree geo-economiche in maggior sofferenza, non ha lasciato Varsavia del tutto immune. L’inflazione è salita dal 2% a più del 4%, oltre gli obiettivi che si era posta la Banca centrale polacca. Insieme ad essa è aumentata anche la disoccupazione, che ha subito una nuova crescita fino a toccare nuovamente il 10% a novembre 2011. Il reddito pro capite rimane ancora uno dei più bassi in Europa (poco meno di diecimila euro, al quintultimo posto in UE). La corruzione, dopo la fine del Comunismo, si è ridotta sensibilmente: l’indice elaborato da Transparency International pone la Polonia al 41esimo posto mondiale, ben al di sopra dell’Italia. Eppure è ancora avvertita come un problema grave e proprio pochi giorni fa l’Institute of Public Affairs, uno dei principali think-tank del Paese, ha pubblicato uno studio dove si sottolinea l’assenza di politiche espressamente dirette a combattere la corruzione.
Certo è che la Polonia si trova in una posizione strategica nel cuore dell’Europa, il che ne fa un Paese ambito. Con i suoi oltre 38 milioni di abitanti costituisce un mercato interno di lavoratori e consumatori che offre prospettive di crescita molto appetibili per chi ha intenzione di investire.
Interessanti possibilità in questo senso potrebbero aprirsi a breve in un settore nuovo, ovvero quello energetico. Dipendente dalla Russia, che ne ha fatto un nuovo strumento di influenza geopolitica, per soddisfare il proprio fabbisogno di gas naturale, la Polonia ha cominciato a perseguire negli ultimi due anni una strategia di diversificazione delle fonti di approvvigionamento. Si stima infatti che la Polonia possegga fino a 1,5 trilioni di metri cubi di shale gas (metano contenuto in rocce scistose situate a circa un chilometro e mezzo di profondità nella crosta terrestre): nell’ultimo triennio sono già state conferite un centinaio di concessioni per esplorazioni a diverse compagnie petrolifere, come Exxon-Mobil e Chevron. Lo sfruttamento di tali risorse, se la loro disponibilità dovesse venire confermata, potrebbe aprire nel medio periodo prospettive molto interessanti a livello geopolitico, rendendo la Polonia un attore più forte nei confronti della Russia, e a livello economico per le riduzioni dei costi energetici e di produzione.
L’Italia non è rimasta a guardare e le relazioni economiche con Varsavia si sono intensificate con rapidità. La Polonia è il decimo “cliente” del nostro Paese in termini di esportazioni, con un aumento del 10,9% tra novembre 2010 e novembre 2011: i beni maggiormente acquistati sono macchinari e componentistica, prodotti chimici, siderurgici e, ovviamente, automobili. A questo proposito, non si può non citare la Fiat come principale azienda italiana in termini di investimenti: lo stabilimento di Tychy è strategico per la casa automobilistica torinese, che dal 1993 al 2007 ha consolidato un capitale investito di 1,2 miliardi di euro. Marcegaglia, Indesit, Brembo, Agusta Westland e Gruppo Astaldi sono le altre grandi aziende italiane ad investire in Polonia, ma non mancano anche diverse realtà imprenditoriali di dimensioni più ridotte. Per quanto riguarda il settore bancario UniCredit controlla dal 1999 Banca Pekao, il principale gruppo creditizio polacco con oltre cinque milioni di clienti e novemila filiali diffuse su tutto il territorio.
A giugno la Polonia, insieme alla confinante Ucraina, ospiterà gli Europei di calcio. Una ragione in più che ha consentito di attirare investimenti, soprattutto in termini infrastrutturali, e di dare “gas” al Pil (si stima un effetto dell’1,5%). La rassegna sportiva sarà anche un’occasione per fare “gol” davanti agli occhi di tutto il continente e per dimostrare di poter essere un esempio virtuoso di integrazione nel mercato dell’Unione. Un partner affidabile, capace di diventare sempre più strategico negli anni a venire anche per l’Italia.