Difficile non aver mai sentito parlare di Francis Fukuyama, il politologo americano di origine giapponese, autore di uno dei libri più discussi dell’ultimo mezzo secolo, La fine della storia. Nonostante le tesi di quel libro fossero, a dir poco, azzardate, Fukuyama resta uno degli studiosi più incisivi e preparati della politologia contemporanea.
È stato lui stesso a correggere le tesi della Fine della storia e ultimamente ha pubblicato un libro molto importante, che pur avendo irritato il critico liberal del “New Yorker”, studia con grande dispendio di disciplina e respiro storico un fenomeno che caratterizza trasversalmente tutte le società contemporanee e non solo quelle e ne spiega le tendenze profonde: l’identità. Il libro è The Demand for Dignity and the Politics of Resentment (trad. it. L’identità, Utet, 2019). Scrive Fukuyama nell’introduzione al libro: “La domanda di riconoscimento della propria identità è un concetto base che unifica grande parte di quello che sta succedendo nella politica mondiale”. Potrebbe essere forse una chiave per alcuni fenomeni che si sono manifestati durante la pandemia? Una riflessione senz’altro la merita.
Il contributo di Fukuyama, pubblicato da Foreign Affairs, che vi proponiamo di seguito e che riguarda il mondo post-pandemia è uno degli interventi più stimolanti e interessanti che si possono leggere in questi giorni molti confusi e nervosi. Ve lo proponiamo integralmente nella sua traduzione italiana.
Buona lettura!
Grandi crisi, grandi responsabilità
Le crisi nella storia
Le crisi gravi hanno conseguenze gravi e di solito impreviste. La Grande depressione ha stimolato l’isolazionismo, il nazionalismo, il fascismo e causato la Seconda guerra mondiale, ma ha anche portato il New Deal, l’ascesa degli Stati Uniti a superpotenza globale e la decolonizzazione.
Gli attacchi terroristici dell’11 settembre hanno prodotto due interventi militari americani, peraltro fallimentari, l’ascesa dell’Iran e stimolato nuove forme di radicalismo islamico.
La crisi finanziaria del 2008 ha generato un’impennata di populismo “antiestablishment” che ha messo in crisi le società liberaldemocratiche.
Gli storici del futuro ricostruiranno gli effetti di proporzioni paragonabili, se non superiori, dell’attuale pandemia di coronavirus. La sfida consiste nell’individuarli in anticipo.
Le ragioni della risposta riuscita alla crisi
È già chiaro il motivo per cui alcuni paesi hanno risposto meglio di altri alla crisi e ci sono tutte le ragioni per pensare che rimarranno distinzioni anche nella gestione postpandemica. Non è una questione di regime.
Alcune democrazie hanno fatto bene, ma altre no, e lo stesso vale per le autocrazie. I fattori responsabili del successo delle risposte alla pandemia sono stati la capacità di intervento dello Stato, la fiducia sociale e la leadership.
I paesi con apparati statali competenti e reattivi, con un governo che riceve la fiducia e che ascolta, e con leader efficaci, hanno ottenuto risultati impressionanti, limitando i danni.
I paesi con stati disfunzionali, società polarizzate o con una scarsa leadership hanno fatto male, lasciando i loro cittadini e le loro economie esposte e vulnerabili.
Conseguenze economiche
Dal punto di vista economico, una crisi prolungata significherà fallimenti e devastazione per settori come il commercio al dettaglio, i viaggi, il turismo. I livelli di concentrazione del mercato nelle economie sviluppate già in costante aumento da decenni, si impenneranno con la pandemia che spingerà questa tendenza ancora più in avanti.
Solo le grandi aziende con significative risorse saranno in grado di superare la tempesta, con in testa giganti della tecnologia che guadagneranno di più, dato che le interazioni digitali diventano sempre più importanti a tutti i livelli.
Conseguenze politiche interne ed esterne
Le conseguenze politiche potrebbero essere ancora più scioccanti. La popolazione può essere chiamata ad atti eroici di sacrificio collettivo per un po’ di tempo, ma non per sempre.
Un’epidemia persistente, combinata con una consistente perdita di posti di lavoro, con una recessione prolungata e con un debito senza precedenti creerà inevitabilmente tensioni che daranno luogo a un contraccolpo politico profondo, ma contro chi avverrà, non è ancora chiaro.
La distribuzione globale del potere continuerà a spostarsi verso est, poiché l’Asia orientale ha gestito la situazione meglio dell’Europa e degli Stati Uniti.
Anche se la pandemia ha avuto origine in Cina e Pechino l’ha inizialmente coperta favorendo così la sua diffusione, la Cina beneficerà della crisi, almeno in termini relativi.
È successo che anche altri governi, all’inizio, si sono comportati male e hanno cercato a loro volta di coprire la gravità della situazione, ma in modo più visibile per l’opinione pubblica e con conseguenze ancora più letali per i loro cittadini.
Almeno Pechino è riuscita a riprendere il controllo della situazione, rimettendosi in movimento in modo rapido e sostenibile per prepararsi alla prossima sfida.
Gli Stati Uniti
Gli Stati Uniti, al contrario, hanno sbagliato la propria risposta e hanno visto il loro prestigio declinare enormemente. Il Paese ha un grande potenziale pubblico e ha risposto meglio che alle precedenti crisi epidemiologiche, ma oggi la società americana è altamente polarizzata e il suo leader è incompetente.
Questa situazione ha impedito allo Stato di funzionare in modo efficace. Il presidente ha fomentato la divisione piuttosto che promuovere l’unità, ha politicizzato la distribuzione degli aiuti, ha spinto i governatori ad assumersi la responsabilità di prendere decisioni chiave, incoraggiando al contempo le proteste contro di loro e ha attaccato le istituzioni internazionali piuttosto che galvanizzarle.
Il mondo è rimasto a bocca aperta, con la Cina pronta a metter in luce il confronto tra i due paesi a scapito degli Stati Uniti.
Negli anni a venire, la pandemia potrebbe portare al relativo declino degli Stati Uniti come pure alla continua erosione dell’ordine internazionale liberale spronando la rinascita del fascismo in tutto il mondo.
Potrebbe, altresì, anche portare a una rinascita della democrazia liberale, un sistema che ha sbalordito gli scettici per la sua capacità di resistenza e di rinnovamento.
Elementi di entrambe le visioni si imporrano, in posti diversi. Purtroppo, a meno che le tendenze attuali non cambino radicalmente, le previsioni generali sono fosche.
Ascesa del fascismo?
Esiti pessimistici
Gli esiti pessimistici sono facili da immaginare. Il nazionalismo, l’isolazionismo, la xenofobia e gli attacchi all’ordine mondiale liberale sono in aumento già da anni. Questa tendenza sarà soltanto accelerata dalla pandemia.
I governi di Ungheria e delle Filippine hanno usato la crisi per conferirsi poteri d’emergenza, allontanando questi paesi ancora di più dalla democrazia. Molti altri Paesi, tra cui Cina, El Salvador e Uganda, hanno adottato misure simili.
Ostacoli al movimento delle persone sono comparsi ovunque, anche nel cuore dell’Europa. Invece di cooperare in modo costruttivo per il loro comune vantaggio, i Paesi si sono rivolti all’interno, bisticciando tra loro, e hanno fatto dei rivali i capri espiatori politici dei loro fallimenti.
L’ascesa del nazionalismo aumenterà la possibilità di un conflitto internazionale. In esso i leader possono vedervi un’utile distrazione politica interna, oppure possono essere tentati dalla debolezza o dalla preoccupazione dei loro avversari e approfittare della pandemia per destabilizzare i propri bersagli preferiti o creare nuovi equilibri sul campo.
Tuttavia, data la continua forza stabilizzatrice delle armi nucleari e le sfide comuni che tutti i principali attori devono affrontare, le turbolenze internazionali sono meno probabili delle turbolenze interne.
I paesi poveri
I paesi poveri con città sovrappopolate e sistemi sanitari pubblici deboli saranno colpiti duramente. Non solo il distanziamento sociale, ma anche la semplice igiene, come nettarsi le mani, è estremamente difficile in paesi dove molti cittadini non hanno accesso regolare all’acqua pulita.
I governi hanno spesso peggiorato le cose piuttosto che migliorarle, alle volte volutamente per acuire le tensioni tra gruppi o per minare la coesione sociale, oppure per semplice incompetenza.
L’India, per esempio, ha aumentato la sua vulnerabilità dichiarando un improvviso lockdown senza pensare alle conseguenze per le decine di milioni di lavoratori migranti che affollano ogni grande città.
Molti sono andati nelle loro case di campagna, diffondendo la malattia in tutto il paese; una volta che il governo ha cambiato la sua posizione e ha iniziato a limitare gli spostamenti, un gran numero di lavoratori si è ritrovato intrappolato nelle città senza lavoro, rifugio o assistenza.
La polveriera del Sud del mondo
Gli spostamenti causati dal cambiamento climatico erano già in atto nel Sud del mondo. La pandemia aggraverà i suoi effetti, portando le grandi popolazioni dei Paesi in via di sviluppo sempre più al limite della sussistenza.
E la crisi ha schiacciato le speranze di centinaia di milioni di persone nei Paesi poveri che hanno beneficiato di due decenni di crescita economica sostenuta. L’indignazione popolare crescerà e sappiamo che le aspettative deluse dei cittadini sono, in definitiva, la ricetta classica della rivoluzione.
I disperati cercheranno di emigrare, i leader demagogici sfrutteranno la situazione per prendere il potere, i politici corrotti coglieranno l’occasione per appropriarsi di tutto ciò che possono arraffare. Molti governi andranno in stallo o crolleranno.
Una nuova ondata di migrazione dal Sud del mondo verso il Nord, potrebbe essere accolta con ancora minore comprensione e incontrare più resistenza, poiché i migranti potrebbero essere accusati, in modo più credibile, di portare malattie e caos.
Nuovi cigni neri all’orizzonte
Infine, l’arrivo improvviso dei cosiddetti “cigni neri” è per definizione un qualcosa di imprevedibile, ma sempre più probabile più si guarda la situazione in prospettiva.
Le pandemie del passato hanno favorito visioni apocalittiche, culti e nuove religioni che sono cresciute intorno alle ansie estreme causate da situazioni prolungate di difficoltà.
Il fascismo, infatti, potrebbe essere visto come uno di questi culti. È stato, per esempio, un “culto” emerso dalla violenza e dalla destabilizzazione generate dalla Prima guerra mondiale e dalle sue conseguenze economiche e morali.
Le teorie cospirazioniste sono fiorite in luoghi come il Medio Oriente, dove la gente comune non aveva potere e non esisteva un’opinione pubblica a ribatterle. Oggi, si sono diffuse ampiamente anche nei paesi ricchi, grazie anche alla frattura nell’informazione causata da Internet e dai social media. La sofferenza prolungata può fornire un ricco materiale ai demagoghi populisti.
Fascismo o democrazia?
L’immediata esposizione delle capacità
Tuttavia, proprio come la Grande Ddepressione non solo ha prodotto il fascismo, ma ha anche rinvigorito la democrazia liberale, così la pandemia può produrre anche alcuni risultati politici diversi dal fascismo o dall’autoritarismo.
Spesso è bastato uno shock esterno, di grande portata, per far uscire i sistemi politici sclerotici dalla loro inerzia e creare le condizioni per quella riforma strutturale da tempo attesa. Questo modello di risposta è destinato a ripetersi, almeno in alcuni luoghi della Terra, anche con la crisi pandemica.
La gestione della pandemia favorisce l’emergere della professionalità e della competenza; la fallacia della demagogia e dell’incompetenza è immediatamente esposta.
Questo fatto dovrebbe in definitiva creare un benefico effetto di selezione, premiando i politici e i governi che fanno bene e penalizzando quelli che hanno sbagliato.
I casi di Bolsonaro e Putin
Il brasiliano Jair Bolsonaro, che negli ultimi anni ha costantemente svuotato le istituzioni democratiche del suo paese, ha cercato di aprirsi un varco attraverso la crisi con il bluff e ora sta affondando in qualità di presidente di un disastro sanitario.
Il russo Vladimir Putin ha cercato di minimizzare l’importanza della pandemia all’inizio, poi ha affermato che la Russia aveva tutto sotto controllo, e dovrà cambiare ancora una volta la sua posizione, visto che Covid-19 si diffonde rapidamente in tutto il paese. La legittimità di Putin si stava indebolendo già prima della crisi, e questo potrebbe avere accelerato il processo.
Ovunque la pandemia ha messo sotto stress le istituzioni esistenti, rivelando le loro inadeguatezze e debolezze. Il divario tra ricchi e poveri, sia di persone che di paesi, è stato approfondito dalla crisi e crescerà ulteriormente durante la prolungata stagnazione economica che ne seguirà.
Si torna a guardare all’intervento dello Stato
Ma insieme ai problemi, la crisi ha anche rivelato la capacità di alcuni governi di fornire soluzioni, attingendo a risorse collettive nel processo di contenimento e debellamento della pandemia. Un pervasivo senso di “soli, ma insieme” ha stimolato la solidarietà sociale e lo sviluppo di sistemi di ammortamento sociale più generosi.
Un po’ quello che è avvenuto nella Prima guerra mondiale e nella Depressione quando la sofferenza sociale collettiva ha stimolato la nascita delle prime forme di welfare negli anni Venti e Trenta del secolo scorso.
Questa tendenza potrebbe sopire l’ideologia estrema del neoliberismo, del libero mercato promossa dagli economisti dell’Università di Chicago come Gary Becker, Milton Friedman e George Stigler.
La religione del reganismo
Durante gli anni Ottanta, la scuola di Chicago ha fornito una giustificazione intellettuale alle politiche del presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan e del primo ministro britannico Margaret Thatcher, che consideravano l’intervento dello Stato nell’economia un ostacolo alla crescita economica e al progresso umano.
All’epoca, c’erano buone ragioni per ridurre molte forme di intervento e di regolamentazione dello Stato. Ma gli argomenti a favore di un maggiore laissez-faire si sono fossilizzati in una sorta di religione liberista.
Per di più l’avversione all’azione dello Stato si è trasformata in un’autentica fede per una generazione di intellettuali conservatori, in particolare negli Stati Uniti.
Data la necessità di una forte azione statale per rallentare la pandemia, sarà difficile dire, come ha fatto Reagan nel suo discorso inaugurale, che “il governo non è la soluzione al nostro problema; il governo è il problema”.
Iniziativa privata, filantropia vs intervento dello Stato
Né si può affermare in modo credibile che il settore privato e la filantropia possano sostituire efficacemente lo Stato in caso di un’emergenza nazionale.
In aprile, Jack Dorsey, l’amministratore delegato di Twitter, ha annunciato che avrebbe contribuito con un miliardo di dollari alla lotta al Covid-19. Un atto di straordinaria generosità.
Nello stesso mese, il Congresso degli Stati Uniti ha stanziato 2,3 trilioni di dollari per sostenere le imprese e le persone colpite dalla pandemia.
L’antistatalismo può scaldare il cuore dei manifestanti libertari che combattono il lockdown, ma i sondaggi suggeriscono che la grande maggioranza degli americani ha fiducia nel lavoro degli esperti del governo per affrontare la crisi. Questo potrebbe aumentare il sostegno popolare a interventi statali per fronteggiare anche altri importanti problemi sociali.
Una possibile rinascita del multilateralismo
E la crisi potrebbe, in ultima analisi, stimolare una rinnovata cooperazione internazionale. Mentre i leader nazionali giocano al ping-pong delle responsabilità, gli scienziati e i funzionari della sanità pubblica di tutto il mondo stanno rafforzando le loro reti relazionali.
Se il fallimento della cooperazione internazionale porta al disastro e questa caduta viene vista come un male, l’era che seguirà potrebbe essere segnata da un rinnovato impegno a lavorare a livello multilaterale per promuovere gli interessi comuni.
Nessuna illusione
Uno stress test tosto
La pandemia è stata una sorta di improvviso stress test politico a livello globale. I paesi con governi capaci e legittimi ne stanno uscendo relativamente bene e potranno varare delle riforme che li renderanno ancora più forti e popolari. Questo stato di cose potrà facilitare il loro lavoro futuro.
I paesi con capacità pubbliche deboli o con una scarsa leadership saranno in difficoltà, avviati, come sono, verso la stagnazione, se non l’impoverimento generale e l’instabilità. Il problema che abbiamo è che questo secondo gruppo supera di gran lunga il primo.
Purtroppo, lo stress test è stato così impegnativo che in pochi sono stati in grado di superarlo.
Per gestire con successo le fasi iniziali della crisi, i paesi avevano bisogno non solo di Stati capaci e di risorse adeguate, ma anche di un grande consenso sociale e di leader competenti in grado di meritare fiducia.
A questa necessità hanno risposto la Corea del Sud, che ha delegato la gestione dell’epidemia ai professionisti della sanità. Ha risposto bene anche la Germania di Angela Merkel. Hanno risposto bene la Nuova Zelanda del leader laburista Jacinda Ardern e l’Australia del premier conservatore Scott Morrison, che era stato molto discusso per le sue posizioni liquidazioniste sulle tematiche ambientali.
Molto più numerosi sono stati i governi che in un modo o nell’altro hanno fallito. E poiché anche il resto della crisi sarà difficile da gestire, è probabile che queste tendenze nazionali, sia positive che negative, continuino, rendendo difficile aderire a un più ampio ottimismo.
La ragione del pessimismo
Un motivo di pessimismo è che gli scenari positivi presupporrebbero una sorta di discorso pubblico razionale e di adesione sociale a quel discorso. Eppure il legame tra la tecnocratica e i pubblici poteri è oggi più debole rispetto a quando governavano le élite. Questo legame è essenziale.
La democratizzazione e lo smantellamento dell’autorità sono uno dei portati della rivoluzione digitale che ha appiattito le gerarchie cognitive insieme a molte altre gerarchie.
Il processo decisionale politico sembra oggi guidato non dalla razionalità, ma da un balbettio vociato e conflittuale. Non è certo l’ambiente ideale per un autoesame costruttivo e collettivo sulle prospettive di una comunità. Alcune politiche irrazionali possono durare più a lungo di quanto possano restare quelle che risolvono i problemi.
L’incognita Stati Uniti
La variabile più grande è rappresentata dagli Stati Uniti. Quando è scoppiata la crisi, l’America ha avuto la sfortuna di avere al timone il leader più incompetente e divisivo della sua storia moderna. Il suo modo di governare non è cambiato quando è stato posto sotto pressione dagli eventi.
Avendo trascorso il suo intero mandato in guerra con lo Stato che stava dirigendo, non è stato in grado di dispiegarlo efficacemente quando la situazione lo richiedeva. Ha giudicato che le sue fortune politiche sarebbero state meglio servite dal contraddittorio e dal rancore piuttosto che dall’unità nazionale. Ha usato la crisi per fomentare le divisioni sociali.
La cattiva gestione della pandemia ha diverse cause, ma la più significativa è stata quella di un leader nazionale che non è riuscito a guidare gli Stati Uniti nella crisi.
La polarizzazione del discorso politico
Se il presidente a novembre ottiene un secondo mandato, le possibilità di una più ampia rinascita della democrazia o dell’ordine internazionale liberale diminuiranno fortemente.
In ogni caso, qualunque sia il risultato delle elezioni è probabile che resti la profonda polarizzazione degli Stati Uniti.
Tenere un’elezione durante una pandemia sarà un’impresa difficile, e ci saranno spinte da parte degli sconfitti per sfidare la legittimità del risultato elettorale.
Anche se i democratici dovessero prendere la Casa Bianca ed entrambe le Camere del Congresso, erediterebbero un Paese in ginocchio.
L’azione del governo cozzerà con la montagna del debito e una resistenza durissima da parte di un’opposizione offesa.
Le istituzioni nazionali e internazionali saranno indebolite e traballanti dopo tanta incuria, e ci vorranno anni per ricostruirle, se sarà ancora possibile farlo.
Ci vuole un miracolo, allora?
Con la fase più urgente e tragica della crisi ormai alle spalle, il mondo si sta indirizzando verso una lunga e deprimente fase di rallentamento.
Alla fine ne uscirà in modo disuguale. In alcune parti del mondo più rapidamente e meglio di altre.
Uno stravolgimento dell’assetto globale è improbabile. La democrazia, il capitalismo, gli Stati Uniti si sono dimostrati capaci di trasformarsi e adattarsi nel corso della storia che li ha sottoposti a molte sfide.
Ma dovranno tirare fuori un bel coniglio dal cilindro per riuscirci ancora una volta.
Da Foreign Affairs, luglio-agosto 2020