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Criptovalute, primo crac italiano: la truffa di New Financial Technology che prometteva interessi fissi del 10%

Pixabay

Sarebbero circa 6mila le vittime dell’ennesimo crac delle criptovalute, ma è il primo caso di truffa legato al mondo dei bitcoin in Italia. La storia de La New Financial Technology di Silea (Treviso ma con sede legale a Londra) è, probabilmente, una replica – ovviamente illegale – dello schema delle vendite piramidali, noto come “schema di Ponzi”, dall’uomo che lo inventò nel 1930. In sostanza, nello schema Ponzi non c’è alcun investimento: versando la loro quota, i nuovi arrivati finanziano i “rendimenti” di chi ha già aderito. Un modello “perfetto” fin quando non si riesce più ad attrarre nuovi investitori e il castello di carta crolla, con la società che svanisce nel nulla insieme ai risparmi di numerosi investitori.

Un domino di investimenti che si è esteso dal Veneto a Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Emilia Romagna, Lazio arrivando fino al Canton Ticino. Stando ai primi calcoli, il buco lasciato dalla società sarebbe di 100 milioni di euro, anche se ancora da verificare. Tra i clienti c’è chi ha perso anche centinaia di migliaia di euro.

Scandalo delle criptovalute in Italia: cosa è successo?

Circa 6mila persone hanno investito i loro soldi nella compravendita di criptovalute inseguendo la promessa di rendimenti altissimi (un interesse fisso del 10% per gli investimenti superiori ai 10mila euro). Ma non c’era alcun investimento in bitcoin – usato perlopiù come specchietto per le allodole – guidato da sofisticati algoritmi utilizzando la tecnica dell’arbitraggio. E improvvisamente, gli investitori si sono ritrovati con i propri capitali bloccati e l’incertezza se mai rivedranno i propri soldi.

I sospetti sulla reale solidità dell’azienda di investimenti erano già iniziati da maggio. A fare storcere il naso non è tanto il tasso di remunerazione offerto ma la garanzia del tasso fisso applicato a investimenti fatti su mercati altamente volatili e non regolamentati da alcuna autorità. Inoltre, secondo i legali, NFT non ha una struttura patrimoniale solida (ha sede a Londra e altre società in Svezia e nella stessa Dubai) e non compare tra le realtà autorizzate della Consob per fare da operatore finanziario.

In centinaia si sono già rivolti al Movimento Difesa del Cittadino che sta valutando una consulenza con un’azienda di cyber sicurezza per individuare la strada presa dai soldi. 

Nei giorni scorsi i soci fondatori, Christian Visentin e Matteo Rizzardo, durante una conference call su Zoom hanno provato a rassicurare gli investitori promettendo “un piano trimestrale di rientro degli investimenti”. E ora risulterebbero irraggiungibili a Dubai. Rimasto solo il terzo socio, l’avvocato romano Emanuele Giullino, ha comunicato di avere rimosso gli altri soci, poi però ha lasciato intendere che questi si siano auto-rimossi. Inoltre, ha sostenuto di non avere ancora avuto accesso ai fondi aziendali né al portafoglio degli investimenti ma che i clienti riavranno i propri soldi.

Si possono recuperare i soldi? E come?

Al momento diversi studi legali in Italia si starebbero preparando ad assistere i propri clienti in tribunale contro la società. E se in molti sperano ancora che la società restituisca indietro i loro soldi, i risparmiatori dovranno fare i conti con la possibilità di non recuperarli mai più. L’unico modo per riaverli indietro in “tempi stretti” potrebbe essere la decisione della società di restituire gli investimenti iniziali, mentre la via della class action non sarebbe percorribile, dato che la New Financial Technology è di diritto inglese. Si potrebbe agire in via penale e civile ma la questione potrebbe durare anni e non dare i risultati sperati.

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Categories: Finanza e Mercati