Il crimine, il dolore, l’orrore e la violenza in televisione sono sempre argomenti “graditi” dal grande pubblico della televisione? Sembra proprio di sì e tre recenti notizie confermano una tendenza che da decenni si è consolidata e riaperto un dibattito mai concluso. Il delitto, televisivamente parlando, paga sempre e bene.
Da pochi giorni ha preso il via Fatti di nera: un nuovo canale in chiaro e gratuito interamente dedicato al genere “crime” dove tutto il palinsesto è dedicato alla cronaca nera più o meno recente e ai grandi casi giudiziari irrisolti. La seconda notizia si riferisce ad una “estensione” di Belve, trasmissione di successo di Rai Due condotto da Francesca Fagnani, che si occuperà appunto di “crime” applicando lo schema della trasmissione principale: intervista ad uno dei soggetti direttamente coinvolti in un caso di grande clamore giudiziario. La terza notizia che si è accavallata con grande attenzione mediatica è l’aggiornamento della nota vicenda dell’omicidio di Chiara Poggi a Garlasco.
Nel nostro Paese, tutto è iniziato nell’ormai lontano luglio del 1981 quando il piccolo Alfredino Rampi cadde nel pozzo di Vermicino e la Rai, a reti unificate, ha trasmesso la diretta tv per circa 61 ore, seguita da oltre 21 milioni di telespettatori. Nasce allora la cosiddetta “tv del dolore” tutta indirizzata a sollecitare, a rispondere ad un sentimento radicato nella natura umana: assistere dall’esterno alle tragedie umane come ha scritto Susan Sontag nel suo noto saggio Davanti al dolore degli altri. A partire da allora la televisione non ha fatto altro che portare in prima serata, nel comodo salotto di casa, immagini tragiche e momenti drammatici di ogni genere con un solo obiettivo: speculare sugli “ascolti”.
Vale la pena ricordare una celebre “Bustina di Minerva” firmata da Umberto Eco con il titolo “Dacci oggi il nostro delitto quotidiano” dove concludeva con una frase iconica: “Una bella sequenza di teste mozzate tiene buona la gente e non gli mette idee cattive per il capo”. Forse un concetto appena esagerato ma non lontano dalla quotidiana realtà televisiva. Ha dichiarato recentemente a L’Espresso Roberta Petrelluzzi, la nota conduttrice di Un giorno in Pretura, in onda su RaiTre da ormai molti anni: “La cronaca nera e l’origine del male interessano tutti da sempre, ma da quando si è capito quanto incide sugli ascolti si è scatenata una gara per catturare l’attenzione del pubblico, andando a scavare sui particolari più raccapriccianti, incuriosenti e pruriginosi. Ciò che sembra davvero importare è il dettaglio cruento”.
Da allora la televisione ci ha portato sulla scena dei delitti sia nel mondo e nel modo reale che in quello delle fiction. Mentre nei notiziari e nelle trasmissioni di intrattenimento andavano in video i veri protagonisti, in parallelo andavano in onda le serie “crime story” che hanno fatto la fortuna di tante reti ed emittenti: dal delitto del Circeo a Gomorra, da CSI a Romanzo Criminale.
Da Vermicino in poi è iniziata la grande stagione dell’orrore in tv, delle tragedie individuali e collettive, del crimine, dei vari mostri “televisivi”, spesso vicini o dentro le stesse famiglie in cui avvenivano i delitti. L’elenco è lungo e ricordiamo solo quelli più noti: dal mostro di Firenze a Cogne (con il memorabile plastico della villetta presentato in studio da Bruno vespa), dalla strage di Erba a quella di Novi Ligure, dal delitto di Perugia a quello di Avetrana per arrivare, appunto, alla recente riapertura del delitto di Chiara Poggi. Tutti hanno in comune oltre alle aule giudiziarie le telecamere costantemente accese.
Come è oggi la situazione nelle reti generaliste tv, cosa è cambiato da quanto successo nel lontano 1981? La “notizia” è che sappiamo poco. La letteratura scientifica disponibile è scarsa: pochi dati, poche ricerche e pochi dibattiti e approfondimenti. Sembra che su questo terreno ci sia una sorta di omertà ad approfondire, a capire perché si evidenzia questo fenomeno e quali effetti è in grado di produrre sulla percezione collettiva del “crimine”, in particolare verso i giovani. Non sappiamo con certezza matematica quanto spazio mediamente i Tg dedicano nella loro edizione più ascoltata, quella serale, alla ripartizione dei generi e quindi quanti minuti sono dedicati alla “nera” eppure è facile constatare che la pagina su questo argomento è sempre piena ed è trasversale tra l’emittente pubblica e quelle private.
La conseguenza è che il tema, la domanda che abbiamo posto in apertura, è largamente inevasa. L’unica fonte attendibile e recente, tutt’ora un punto di riferimento fondamentale sul tema, è la ricerca svolta dall’Osservatorio di Pavia nel 2014 proprio sul tema “La televisione del dolore” che ha interessato tutti i programmi trasmessi nel corso di tre mesi (15 settembre – 15 dicembre 2014) sulle sette principali emittenti nazionali: Rai 1, Rai 2, Rai 3, Rete 4, Canale 5, Italia 1 e La7. Questi, in sintesi, alcuni dati essenziali:
- Il tempo di attenzione dedicato ai fatti di cronaca e ai relativi commenti o dibattiti in studio nelle reti osservate è pari a un totale complessivo di 287 ore (3 ore al giorno in media).
- La tipologia di casi che riceve la più ampia attenzione è quella attinente agli omicidi e alle scomparse: alle due tipologie viene dedicato il 79% del tempo totale. Le due categorie si prestano, per loro natura, alla serializzazione, attraverso la narrazione degli sviluppi delle indagini, delle diverse fasi dei procedimenti giudiziari in corso e ai relativi dibattiti.
- Le emittenti che riservano un’attenzione più cospicua ai fatti di cronaca nera sono Rai1, con Storie vere e La vita in diretta, e Canale 5, con Mattino Cinque e Pomeriggio Cinque. Il tempo che queste due reti dedicano a questi temi ammonta al 70% del totale.
- I “casi” su cui si concentra l’attenzione televisiva nel periodo in esame sono relativamente pochi e tendono a essere riproposti in una logica di serialità, in maniera continua nel corso del tempo, anche in assenza di sviluppi reali nella vicenda.
Vale la pena, in conclusione, riportare una delibera AGCom del 2008 sulla rappresentazione televisiva di temi di cronaca nera e giudiziaria tutt’ora di grande attualità: “La cronaca giudiziaria deve sempre rispettare i principi di obiettività, completezza, correttezza e imparzialità dell’informazione e di tutela della dignità umana, evitando tra l’altro di trasformare il dolore privato in uno spettacolo pubblico che amplifichi le sofferenze delle vittime e rifuggendo da aspetti di spettacolarizzazione suscettibili di portare a qualsivoglia forma di “divizzazione” dell’indagato, dell’imputato o di altri soggetti del processo”.