Qualche anno fa ci credevano in pochi. Anzi, i più la consideravano destinata a morte certa. Invece, a sorpresa, l’industria tessile italiana sta tornando protagonista dopo che negli altri Paesi europei è stata spazzata via. “E’ un grande patrimonio nazionale che dobbiamo cercare di preservare” ha detto Marco Vitale, economista d’azienda, all’inaugurazione della XIV edizione di Milano Unica, il Salone del tessile che resterà aperto fino al 9 febbraio.
Due dati, in particolare, confermano l’importanza della tessitura: il primo è che pur pesando solo per il 16% del fatturato complessivo dell’intera filiera del tessile-abbigliamento contribuisce per il 40% all’attivo della bilancia commerciale di settore; il secondo, una sorpresa rispetto alla percezione diffusa, è che in Paesi come la Cina, la Turchia o il Brasile l’export di tessuti non solo registra una crescita significativa (a due cifre nel caso di Cina e Turchia) ma ha raggiunto un peso superiore all’export di abbigliamento.
Mentre nei mercati tradizionali, come Germania, Francia e Stati Uniti, l’andamento delle esportazioni è tendenzialmente in calo. “Credo che sia giusto sottolineare questi dati – ha detto Silvio Albini, presidente di Milano Unica – non per innescare una competizione fuori luogo ma per ribadire il valore della filiera e la necessità di salvaguardare la sua integrità”.
“Non c’è nulla di più strategico della cooperazione”, riconosce Michele Tronconi, presidente di Sistema moda Italia, che però avverte: “Nel 2011 si è ulteriormente allargata la forbice tra chi va bene e chi non riesce a riprendersi: molte aziende rischiano di scivolare, c’è una forte instabilità nel settore del tessile-abbigliamento. Per questo è importante che il Governo ora passi dalla medicina al ricostituente”.
Si parla invece di “cauto ottimismo” per le aziende del lusso, quelle riunite nell’associazione Altagamma, secondo la quale le prime stime per quest’anno, dopo un 2011 da record, indicano una crescita appena discreta in Europa e in Nord America, ma a doppia cifra in Asia; a tirare sono soprattutto gli accessori (scarpe e borse) e l’abbigliamento da uomo (in Cina quest’ultimo ha raggiunto quello da donna, 24 miliardi di euro entrambi). Solo in Russia e nord Europa prevale ancora l’abbigliamento.
Ciò non toglie che siamo di fronte a “una crisi epocale”, come la definisce Vitale (“se ne sono accorti anche gli economisti più tetragoni”). Significa che cambia il modo di operare, di pensare, cambia la faccia del mondo. Quindi? “L’approccio giusto è riflettere su alcuni punti fermi per meglio indirizzare il cammino”.
E dunque: 1) la crisi epocale durerà a lungo. 2) Ci saranno però molte differenze, più di quante ce ne fossero prima, tra economie stagnanti ed economie in fase di sviluppo. 3) L’offerta italiana di prodotti di lusso e del tessile abbigliamento è piccola mentre ci sono sacche di sviluppo enormi: questi spazi vanno conquistati interpretando gusti e bisogni dei consumatori. 4) Occorre una strategia duale: di difesa sul fronte finanziario, di attacco sul fronte del prodotto e dei mercati. 5) Le risorse finanziarie sono e saranno sempre meno.
Chiarite le regole del gioco non resta che affrontare la sfida. E l’industria italiana della moda ha le carte per vincerla.