I piani di stimolo fiscale senza precedenti lanciati dai governi europei quest’estate (fase II per rilanciare i motori di crescita dopo i programmi di emergenza di fase I) dovrebbero contribuire a stimolare la crescita economica del +2,4% in Francia, +2% in Germania e +0,7% in Italia nel biennio 2021-22. Come segnalato dal recente studio Allianz per Eurler Hermas, in Francia il pacchetto di stimoli da 100 miliardi di euro (4,3% del Pil) è orientato al raggiungimento della transizione verde (30 mld), alla promozione della competitività industriale (35 mld) e alla salvaguardia della coesione sociale (35 mld) attraverso trasferimenti e aggiustamenti del mercato del lavoro. Rispetto al pacchetto di stimoli tedesco (3,8% del Pil), essenzialmente orientato alla domanda, lo stimolo francese mira a rilanciare il lato dell’offerta nell’economia: l’obiettivo del governo francese è quello di rilanciare il motore di produzione nazionale, ravvivando le industrie tradizionali come quella automobilistica, affrontando le rigidità strutturali di lunga durata dell’economia.
Tuttavia, Parigi dipende ancora fortemente dalle importazioni, sia per quanto riguarda i consumi che gli investimenti. Pertanto, il rovescio della medaglia di questo stimolo fiscale sarà prevedibilmente l’ampliamento del già elevato deficit commerciale. Infatti, stimolando la domanda interna, i pacchetti di stimolo del governo aumentano naturalmente la domanda di importazioni, a vantaggio dei partner commerciali: tra le principali economie europee, gli analisti prevedono per la Francia la più grande perdita dallo stimolo fiscale, causando il deficit commerciale strutturale deteriorarsi di –12 mld netti nel 2021-22. Il quadro è radicalmente diverso in Germania, dove si stima un lieve calo di –3 mld dell’avanzo commerciale, mentre in Italia l’eccedenza aumenterebbe di 1 mld. Il disavanzo di bilancio della Francia si è già attestato a –2,1% del Pil (43,1 mld) nel secondo trimestre di quest’anno e, dal momento che metà del pacchetto fiscale è destinato a stimolare gli investimenti, nel 2021-22 ciò aumenterebbe le importazioni francesi dell’1,8% (42 mld), con l’export solo dell’1,3% (30 mld).
Come si confronta ciò con la crisi finanziaria globale del 2009? Lo stimolo per il 2020 è maggiore come quota del Pil rispetto a quello del 2009 (26 mld pari all’1,3% del Pil) a causa del calo senza precedenti delle previsioni (-10,8%). Pertanto, gli analisti prevedono queste misure stimolare le importazioni quattro volte quanto fatto nel 2009. Tuttavia, al di là dello stimolo, la crisi pandemica del Covid-19 ha creato perturbazioni della catena di approvvigionamento di lunga durata, il che la rende difficilmente paragonabile al 2009. Nell’attuale scenario, si prevede il commercio mondiale tornare ai livelli pre-crisi solo nel 2022, dal momento che la ripresa delle esportazioni non sarebbe così vigorosa come nel 2010-11. Inoltre, le economie orientate ai servizi, come Parigi, tendono a soffrire maggiormente della crisi, rendendo difficile compensare il deterioramento nello scambio di beni.
Quali paesi e settori potrebbero allora cavalcare l’ondata di stimoli della Francia? I prodotti chimici tedeschi (900 milioni di euro), i computer e le telecomunicazioni cinesi (890 mln) e i produttori automobilistici tedeschi (775 mln) potrebbero trarre i maggiori benefici dall’impennata delle importazioni francesi. In questo scenario, la Germania, principale partner commerciale (6,1 miliardi di euro), seguita da Cina (3,9 mld), Italia (3,1 mld), USA e Belgio (entrambi 2,8 mld). I settori a beneficiare maggiormente delle importazioni francesi stimolate sarebbero energia (5 mld), prodotti chimici (4,3 mld) e agroalimentare (4,1 mld).
E Berlino? In Germania, il deterioramento della bilancia commerciale sarà più contenuto. L’elasticità delle importazioni sulla crescita del Pil è minore (2,1%) rispetto alla Francia (3,1%): ecco allora che lo stimolo tedesco del 3,8% del Pil aumenterebbe sia le importazioni che l’export dell’1,3% (43 mld e 40 mld rispettivamente). Il deterioramento complessivo della bilancia commerciale sarà minore (-3 mld): queste importazioni beneficeranno l’economia interna in misura maggiore, riflettendo la grande quota del settore manifatturiero (19% contro 10% in Francia) che utilizza input importati nel processo produttivo.
Per l’Italia, nonostante le grandi elasticità commerciali agli stimoli, gli analisti prevedono un moderato impatto complessivo sulla bilancia commerciale, data la dimensione relativamente modesta del pacchetto annunciato (1,5% del Pil). Le importazioni italiane dovrebbero aumentare dello 0,7% (12 mld) e l’export dello 0,8% (13 mld) nel 2021-2022. In questo contesto, secondo uno studio pubblicato dall’ANFIA, l’Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica, nel 2019 il settore automotive (comprensivo di motori, carrozzerie, rimorchi, componenti e parti di autoveicoli) ha registrato un rallentamento delle vendite pari a -9,6% rispetto all’anno precedente. Nello specifico, i diversi comparti registrano le seguenti performance: -13,9% per la fabbricazione di autoveicoli, +6,7% per la fabbricazione di carrozzerie e -7,9% per la fabbricazione di parti e accessori di autoveicoli e motori. In generale, lo studio rileva che l’andamento negativo dei diversi settori si protrae da lungo tempo, superando i 12 mesi di continui cali tendenziali. In media, gli ordinativi nel 2019 hanno rilevato un rallentamento pari al -9,9%, mentre il fatturato complessivo del settore è calato del -7,8%. Questo rallentamento è da ascrivere in misura più ampia per i cali registrati dal mercato interno, che nel 2019 ha perso il -13% di ordinativi e il -11,7% di fatturato generato.
Nei primi tre mesi del 2020, a causa della chiusura delle attività produttive conseguente alle misure di contenimento della diffusione del Covid-19, il comparto maggiormente colpito è stato quello industriale, con un rallentamento progressivo che ha portato nel complesso a un -11,3% nel primo trimestre 2020. Nel periodo di lockdown infatti, quasi i due terzi delle imprese industriali e oltre il 59% degli addetti è stato costretto a interrompere l’attività produttiva, inclusi i concessionari di veicoli, provocando così il crollo dei primi tre mesi dell’anno. L’automotive è infatti tra i comparti che contribuiscono maggiormente al profondo calo della produzione dell’intero settore industriale italiano, con un rallentamento delle performance di gennaio pari al -2%, a febbraio -1,2% e a marzo -55,8%, nel complesso -21,6% su base tendenziale. Dal lato degli ordinativi, si rileva già a febbraio un calo del -7,2%, più marcato all’estero con un rallentamento del -7,8%, a causa dei primi effetti della pandemia.
Secondo lo studio di ANFIA, nel primo trimestre la produzione nazionale di autoveicoli ha subito un rallentamento in termini di volumi pari al -24,3%. Dall’inizio dell’anno infatti, sono stati prodotti un totale di 180.367 autoveicoli, dei quali 116.250 destinati ai mercati esteri, -24,5% rispetto allo stesso periodo del 2019. Per il primo quadrimestre 2020, la perdita del comparto automotive è stimata pari a 150 mila unità in meno, mentre le proiezioni su una possibile ripresa a partire dal mese di maggio sono particolarmente lente e si parla di un recupero a partire dal secondo semestre 2020. Pesa sul settore anche lo shock dal lato dell’offerta: in Italia e nei maggiori mercati europei come Francia e Germania lo stock di veicoli accumulato nei mesi di quarantena unito alla lentissima ripartenza del mercato stanno rallentando ulteriormente il riavvio delle produzioni.