La produzione manifatturiera a livello mondiale è quasi tornata a livello pre-Covid, spinta dalla domanda di prodotti finali e da un’ottima ripartenza degli ordini da parte dell’industria intermedia. Le cose vanno in tutt’altro modo per le attività dei servizi, specie quelli legati al turismo e al tempo libero. In tutto il mondo i pasti al ristorante sono sotto il 30-40% del 2019, mentre il numero di voli di linea è ancora alla metà. Sono i dati di un recente articolo dell’Economist (“The 90% economy revisited, Is the world economy recovering?“).
La differente traiettoria tra i settori della manifattura e dei servizi ha conseguenze importanti sulle capacità di ripresa dei singoli paesi. Mentre la Germania ha potuto beneficiare della sua ampia base industriale, commenta l’Economist, Italia e Grecia, che si basano maggiormente sul commercio al dettaglio e sul turismo, appaiono più vulnerabili. Anche se l’accostamento può sembrare discutibile, contiene una grande verità, e cioè l’eccessivo peso che in Italia ha assunto il settore dei servizi di ristorazione, ospitalità, turismo e attività correlate.
RIAVVOLGIAMO INDIETRO LA STORIA DI QUALCHE ANNO
L’industria manifatturiera italiana, protagonista del miracolo economico, si è trovata nei decenni scorsi minacciata dalla competizione di paesi come la Cina e gravata dai vincoli delle sue condizioni strutturali: piccola dimensione, scarsa capitalizzazione. Mentre la Germania creava piani industriali per proteggere e irrobustire la propria industria, in Italia si parlava di altro.
In particolare, si diffondeva, nei governi che si sono succeduti e nei loro sponsor, una narrativa che, ripercorrendo vecchi sentieri, poneva la bellezza della natura, il patrimonio culturale, il food, come punto di forza del Paese. Si ricorderà, forse, che qualcuno prevedeva enormi balzi del Pil nazionale solo grazie allo sviluppo del turismo.
Ma senza investimenti nei nostri siti culturali (che cadono in rovina), senza una compagnia di bandiera in grado di portare flussi di turisti direttamente in Italia evitando scomodi scali in hub europei, in assenza di strutture per accogliere tali flussi (sei dei primi dieci gruppi alberghieri operanti in Italia sono stranieri), si è sviluppato spontaneamente un modello di turismo low cost.
Dai singoli aeroporti che hanno svenduto slot a Ryanair e simili, alla trasformazione di appartamenti in bed & breakfast, passando per la distruzione della ricca e preziosa rete di negozi storici nelle città, trasformata in un’interminabile sequela di catene di fast o street food. Nel 2017 un articolo del New York Times titolava: “Venice, invaded by tourists, risks becoming Disneyland on the Sea”.
EUROSTAT: UN QUADRO IMPIETOSO DELLA RISTORAZIONE E DELL’OSPITALITÀ IN ITALIA
La dimensione dei nostri esercizi è la più ridotta d’Europa: da noi gli esercizi di piccole dimensioni sono pari all’84,3% del totale. Anche la Grecia e la Spagna fanno meglio dell’Italia (rispettivamente, l’81,2% e il 75,2%). In UK le attività di piccole dimensioni contano solo per il 46,1%.
Piccola dimensione significa bassa produttività, occupazione irregolare, stipendi ridotti, elevato tasso di mortalità delle imprese, economia sommersa. Una grande sacca di inefficienza e marginalità, non nuova in Italia, e di cui negli ultimi dieci anni si è inspiegabilmente parlato come modello vincente invece che come indicatore di declino del Paese.
LA RIPRESA DELL’INDUSTRIA
L’industria manifatturiera, per contro, fuori dagli spot e dagli annunci ad effetto, ha mostrato una capacità di ripresa impensabile. Oggi le nostre industrie sono tra i primi produttori di robot al mondo, abbiamo eccellenze riconosciute universalmente nella meccatronica, aziende di punta nell’aerospazio e in parecchi altri settori avanzati. In molti dei componenti per l’automotive, le aziende italiane rappresentano il principale partner del settore automobilistico tedesco.
Pur con tutte le difficoltà trascorse, l’Italia resta il secondo paese manifatturiero europeo in termini di occupati e il terzo per Pil. È secondo solo alla Germania per surplus della sua bilancia commerciale. E se riusciremo ad agguantare la ripresa sarà grazie all’industria manifatturiera, che ha resistito ed è in crescita.
TORNIAMO ALL’OGGI
Mentre Il Governo appare ingarbugliato sul Recovery Fund, la politica locale sembra strettamente ancorata alle sue vecchie narrazioni e al proprio serbatoio di voti. Per questo, forse, si è ridato il via alla movida, si sono sciaguratamente riaperte le discoteche (per poi essere costretti a richiuderle, ma di fatto solo formalmente), si fanno pochi controlli sui distanziamenti nei ristoranti e nei locali pubblici. Si sta forzando il Governo, infine, a riaprire gli stadi.
Intanto i contagi salgono e stiamo tornando a livelli di guardia molto preoccupanti. L’influenza spagnola si sviluppò in tre ondate successive e la seconda fu assai più letale della prima. Ciò è temuto anche per il Covid (si veda, ad esempio, il rapporto degli esperti del Sage, il comitato governativo inglese composto dai migliori scienziati del paese).
È IL MOMENTO DI CAMBIARE ROTTA (E PASSO)
Per evitare di precipitare da un baratro di cui stiamo sfiorando l’orlo, è indispensabile innanzitutto rendersi conto che stiamo vivendo in un nuovo mondo. Per molto tempo (alcune fonti stimano quattro anni), i flussi di turismo saranno ridotti, le compagnie aeree voleranno poco e le navi da crociera si muoveranno con difficoltà. Lo smart working ha definitivamente cancellato un modello organizzativo ormai obsoleto, basato sulla concentrazione del lavoro negli uffici e nelle città.
Oggi i ristoranti e i bar sorti numerosi sotto i grandi centri direzionali vivono un futuro altrettanto incerto quanto i grattacieli che li sovrastano. Il settore dell’ospitalità e della ristorazione rischia di diventare uno zombie business.
SERVONO TRE ADDETTI AI SERVIZI DI RICETTIVITÀ PER PRODURRE IL VALORE AGGIUNTO DI UN OPERAIO
Ma è mai stato qualcosa di diverso? Sempre da dati Eurostat, la produttività del lavoro in questo settore è poco meno di un terzo di quella dell’industria manifatturiera italiana. Come dire che per uguagliare il valore che realizza un operaio manifatturiero in un giorno si devono impegnare un po’ più di tre addetti ai servizi alberghieri e di ristorazione.
È ora di prendere atto che si è imboccata una direzione sbagliata: l’effetto Covid lo sta dimostrando in modo drammatico. Con coraggio e determinazione, dunque, si devono perseguire in fretta nuove strategie.
L’INDUSTRIA AL CENTRO DELLA RIPRESA
Mettendo, innanzitutto, l’industria manifatturiera al centro degli interventi di politica economica legati al Recovey Fund. Il Piano Industria 4.0 tedesco è stato annunciato nel 2011 e proseguirà fino al 2030 con investimenti che a livello iniziale sono stati stimati in venti miliardi di euro (ma versoimilmente saranno molti di più). Il piano italiano è stato varato solo nel 2016 e non ha un arco di riferimento pluriennale: ogni anno nuove e diverse misure, con le imprese impossibilitate a programmare a medio termine. Partiamo dunque da qua, creando piani a lungo termine, sostenendo i cambiamenti in atto, affiancando la mai sopita dinamicità delle nostre imprese.
E come priorità assoluta, oggi, ci si preoccupi di mettere al riparo l’industria manifatturiera da un possibile, nuovo, lockdown. Tranne che in pochi comparti, nelle fabbriche prevalgono le isole di lavoro, gli operai sono naturalmente distanziati, i rischi di contagio sono ridotti. È quello che accade fuori che crea rischi. Vale la pena tenere aperto un bar e rischiare di chiudere una fabbrica?
COSA FARE DEL SETTORE TURISTICO E DEL FOOD NEL FRATTEMPO?
Innanzitutto, per salvaguardare l’occupazione, oltre ai sussidi dovrebbero essere previsti incentivi per il passaggio ad attività artigianali, agricole, industriali. La manifattura lamenta da tempo l’assenza di mano d’opera mentre anno dopo anno si è assistito al boom di frequenze negli istituti alberghieri. Questa tendenza deve essere invertita. Anche la pur comprensibile liberalizzazione delle licenze commerciali, alla luce del mondo post Covid dovrebbe essere ripensata, in fretta e radicalmente.
Infine, è l’intero settore del turismo che va ripensato, come pure il suo legame con il territorio. L’impresa industriale crea ricca occupazione, ricerca e innovazione che si diffondono. Il turismo a cui abbiamo finora assistito assomiglia piuttosto a un processo di rapido inaridimento, in cui alle città viene tolta la vita: città da consumare, trasformate in semplici cartoline, vittime di un grande inquinamento antropologico, come commentava già qualche anno fa Richard Ingersoll, noto storico dell’architettura. Invitiamo a riflettere seriamente sulla valenza così differente di questi due settori e su ciò che serve al futuro dell’Italia.