Il 10 per cento più ricco della popolazione mondiale controlla il 52 per cento della ricchezza prodotta nel pianeta mentre la metà più povera si divide solo l’8,5 per cento. Uno squilibrio, assieme ad altri non meno clamorosi (lo sbilancio dei redditi a danno delle donne, ad esempio), che non è cambiato di molto dalla fine dell’Ottocento, all’apogeo dell’imperialismo occidentale, ma che ora minaccia di allargarsi ancora, quando arriveranno al pettine i nodi della pandemia.
“Nel 2020, anno di pandemia, la ricchezza dei più ricchi è cresciuta di 3.600 miliardi di dollari, una cifra pari a quella spesa dai governi di tutto il mondo per fronteggiare il contagio”. Se la tendenza proseguirà a questi tassi, nel 2070 5,2 milioni di superricchi avranno in mano la stessa ricchezza del 70% della popolazione mondiale. E potrebbe affermarsi la profezia di Marx: la rivoluzione dei proletari in cui sarà confluita l’ex classe media. Per evitarlo, non ci resta che il fisco, purché al servizio dell’ambiente e di altre cause nobili, a partire dall’istruzione.
A sostenere queste tesi è il rapporto sull’ineguaglianza presentato il 6 dicembre dal WIL (World Inequality Lab), frutto delle ricerche di un centinaio di economisti che, con un lavoro ciclopico, hanno ricostruito la mappa del reddito, comprensivo dell’effettivo potere d’acquisto, in tutto il pianeta a partire dal 1820. Un’impresa che, pur sostenuta da un’analisi rigorosa, nasce da un presupposto ideologico: l’ineguaglianza non è il frutto della geografia o dei diversi livelli di sviluppo, bensì il risultato di scelte politiche come già sostenuto da Thomas Piketty, l’autore del best seller “Il capitale nel XXI secolo” che fa parte della squadra di economisti francesi (Lucas Chancel, Emmanuel Saez e Gabriel Zucman) che hanno realizzato questo inno-manifesto alla necessità di uno Stato forte, capace di rilanciare una politica fiscale all’insegna della progressività delle entrate e degli incentivi ad uno sviluppo “verde”. Un forte cambio di rotta rispetto al “mantra” del taglio delle tasse di cui parla (spesso a sproposito) il mondo della politica.
“È l’ora di rilanciare il dibattito sul fisco – sostiene Lucas Chancel – Oggi più attuale che mai in tempi di pandemia. Il contagio ha senz’altro accelerato la concentrazione della ricchezza a favore dei miliardari ed accentuato lo stato di povertà in cui versano molti paesi emergenti. Nei paesi ricchi, però, la macchina dell’intervento pubblico ha funzionato ma al prezzo di un forte aumento del debito pubblico. E chi lo pagherà? I giovani, quelli che già hanno pagato il prezzo più alto? Si sceglierà di lasciar correre l’inflazione? Oppure si precederà alla cancellazione del debito”. L’analisi storica e sociologica, dunque, sta alla base di un manifesto fiscale di sinistra, con una forte impronta ecologista.
“Con un supplemento anti-inquinamento a carico di chi trae profitto dalle attività carbonifere – aggiunge l’economista – un’imposta progressiva sul reddito potrebbe permettere di raccogliere dai multimiliardari l’1,5-2% del pil mondiale, una cifra sufficiente a centrare gli obiettivi dell’accordo di Parigi sul clima”. Un’utopia? La tassa del 15% sulle multinazionali votata in sede Ocse è un primo passo, quasi impensabile solo pochi anni fa. Non è del tutto campata in aria la prospettiva di nuovi equilibri.
In questi due secoli, del resto, i rapporti non sono rimasti immutati. Ad una fase di forte aumento delle diseguaglianze tra il 1820 ed 1910 è seguita una stagione di ravvicinamento dei redditi, interrotta una trentina d’anni fa. La crisi dei subprime ha frenato il distacco tra paesi poveri e l’Occidente impoverito al cui interno, però, sono fortemente cresciute le disuguaglianze tra ricchi e poveri.
In questa cornice l’Europa è l’area in cui l’ingiustizia appare meno evidente: la quota di benessere in mano alla classe media è il 46 per cento del totale contro il 41 nelle mani della fascia più ricca. In Usa i rapporti sono rovesciati: i miliardari controllano il 46 per cento della ricchezza del Paese. Ancora più squilibrata la mappa della ricchezza in altre aree: il dieci per cento più ricco controlla il 58 per cento delle risorse del Medio Oriente, il 55 in America Latina ed il 43 nel Far East.
La forbice s’allarga quando si passa dal reddito al patrimonio: la metà più povera della popolazione mondiale controlla solo il 2 per cento dei beni del pianeta, pari a soli 2.900 euro a persona. Il 10 per cento più ricco controlla il 76 per cento delle risorse (più di mezzo milione di euro per ciascun adulto).
Le disparità di reddito sono più forti in America Latina e Medio Oriente, ma si sono fortemente accentuate in Russia dove la torta in mano ai miliardari è in pratica raddoppiata negli ultimi dieci anni. Ed il fenomeno interessa anche la Cina: è diminuita la disparità tra i redditi ma il patrimonio ormai si concentra tra i super ricchi in proporzioni simili a quelle degli Stati Uniti.
Grazie al boom delle Borse, alimentato dai bassi tassi, l’1 per cento della popolazione americana si è assicurata il 38 per cento della ricchezza creata dal 1995, contro un miserabile 2 per cento dei più poveri. Da segnalare anche il divario di genere: la ricchezza in mano alle donne è ferma al 35 per cento del totale, in pratica poco mossa in Europa e Usa, in forte calo in Cina