Quattro questioni pesano sulla credibilità delle strategie di contenimento del coronavirus volute dalle massime autorità politiche e sanitarie nazionali e non. A chi come me (medico che ha trascorso una vita nelle corsie ospedaliere sempre a contatto con gravi problematiche sanitarie) osserva e ragiona su queste strategie, riesce difficile accettare passivamente scelte così gravide di conseguenze per tutti, senza poter in qualche maniera discuterne. Soprattutto quando le stesse questioni sono ad ogni passo aggirate e relegate a problemi secondari da chi dovrebbe rendercene ragione. Invece a me sembrano il punto centrale della nostra possibile interazione con il virus.
1) IL CORONAVIRUS NON UCCIDE I BAMBINI
La prima questione salta all’occhio anche al più digiuno profano di infettivologia: questo virus, contrariamente a tutti gli altri virus mai esistiti, non fa strage di chi è completamente sprovvisto di una protezione immunitaria nei suoi confronti, vale a dire i bambini. In tutto il mondo non sono segnalati casi di morte sotto i 10 anni (Chinese Journal of Epidemiology, 11 febbraio 2020). Rarissime poi sono le morti sotto i 50 anni: 12 casi su 2.500 decessi totali in Italia (fonte: ISS). Questa osservazione ha un’implicazione molto rilevante, perché mostra che la pericolosità del virus non è legata al fatto che la popolazione non abbia anticorpi specifici contro di esso. Infatti la stragrande maggioranza di chi vi viene a contatto è asintomatica o poco sintomatica.
2) LA VITTIMA-TIPO DEL COVID19
Il secondo punto centrale nella problematica del virus riguarda la molto ben delimitata popolazione a rischio: il 90 % dei casi di morte avviene sopra i 70 anni di età, in persone per ¾ di sesso maschile e in genere con associate patologie croniche cardiovascolari e metaboliche. Ci risulta pertanto chiaro verso chi noi dobbiamo dare tutto il nostro impegno per preservare la loro fragilità dalla malattia. La maturità di una società civile si misura su come riesce a difendere i più deboli.
3) ESPERIMENTI CON ANTIFFIAMMATORI
Ma le caratteristiche che abbiamo riconosciuto nel COVID -19 non si fermano qui (terzo punto): la letalità virale sembra essere dovuta preminentemente ad una squilibrata risposta infiammatoria difensiva dell’organismo. E qui si incardina il tentativo, mai troppo lodato, di alcuni clinici che, prendendo spunto da protocolli di terapia cinesi, hanno sperimentato, su purtroppo ancora pochi pazienti, un potente antinfiammatorio ottenendo lusinghieri risultati. L’eccellenza sanitaria alla fine è questa: medici che cercano la migliore terapia, infermieri che assistono il paziente oltre ogni limite di lavoro, operatori sanitari che supportano l’organizzazione. A dispetto delle evidenti carenze strutturali, frutto di scelte che mai avrebbero dovuto interferire con la medicina.
4) LA LOCALIZZAZIONE GEOGRAFICA DEL CORONAVIRUS
Ma è il quarto problema ad agitarci il sonno: la precisa localizzazione geografica di questo virus. Fin dall’inizio accanto all’espansione abbastanza uniforme dai vari focolai, prima nelle zone loro adiacenti e poi via via alle altre regioni, viene tracciata una scia di morte che sembra seguire una strada particolare: le province di Lodi, Piacenza, Cremona, Bergamo e la parte occidentale di quella di Brescia. I dati sono precisi se si osserva il confronto epidemiologico tra queste provincie e quelle limitrofe di Milano, Monza, Como, Varese.
Percentuali di contagiati sulla popolazione totale (fonte, Ministero della Salute):
- Lodi: 0,61%
- Piacenza: 0,374%
- Cremona: 0,57%
- Bergamo: 0,34%
- Brescia: 0,26%
- Milano: 0,07%
- Monza: 0,04%
- Como: 0,03%
- Varese: 0,02%
Sembra un’epidemia nell’epidemia, perché i dati di Milano, Monza, Como e Varese sono praticamente simili a quelli di tutte le province del Centro-Nord, dove il virus è circolato ormai da parecchio tempo: Bologna 0,03%, Bolzano 0,05%, Venezia 0,04%, Udine 0,03%, Torino 0,03%, Genova 0,04%, Firenze 0,02%.
E ancora di rilievo è il confronto tra Sesto San Giovanni, città industriale e importante snodo a nord di Milano, e la provincia di Bergamo, distante appena 30 km.
Decessi da COVID-19 ogni 100.000 abitanti:
- Bergamo: 23
- Sesto S. Giovanni: 5
I nostri incubi sono quelli degli abitanti di queste zone: che succede? Si sta facendo il possibile per la difesa, al di là della generosa messa in campo di ogni forma di terapia intensiva che purtroppo non sembra in grado di modificare la prognosi? Si sta cercando di capire questo fenomeno a dir poco inusuale di diffusione selettiva del virus? È stato ipotizzato che mutazioni successive abbiano portato a un virus più aggressivo di quello originario, ma conferme sperimentali su ciò o su cosa possa legare territorio e mutazioni non vi sono ancora state. Non sembra che comunque queste osservazioni siano considerate una priorità.
LE SCELTE DELL’ITALIA
Le scelte strategiche in Italia per il contrasto del Covid-19 sembrano molto rigide, ottuse quasi: non riconoscono le differenze geografiche (è evidente che la situazione di Bergamo, Cremona, Lodi, Piacenza e Brescia non può essere paragonata alla diffusione del virus nel resto dell’Italia), non ottengono il risultato principale di difendere la popolazione a rischio, che è poi quella veramente minacciata di morte, lasciano le terapie mediche all’iniziativa locale mentre già da subito avrebbe dovuto partire un protocollo comune. I teorici di questo approccio diranno che le restrizioni non sono ancora abbastanza, che bisogna attuare il coprifuoco, che dobbiamo annientare ogni forma di movimento. Certo, questo forse otterrebbe risultati importanti, ma non ne sono così sicuro, perché ci sarà sempre il rischio che un asintomatico possa sfuggire ai tamponamenti di massa. Ma sicuramente avremo solo un cumulo di macerie.
UNA PROPOSTA ALTERNATIVA
Io penso che un’alternativa possa essere proposta, un’alternativa che ponga al centro della sicurezza le persone a rischio e cioè che esse, finché si è ancora in tempo, finché sono asintomatiche, siano protette e assistite dal punto di vista sanitario e sociale a domicilio, con costi che potrebbero essere anche elevati, ma mai quanto quelli di una terapia intensiva. E soprattutto non sarebbero abbandonate a morire in isolamento ospedaliero. Un sistema basato sull’assistenza ad personam non è mai stato sperimentato, nemmeno nelle aree ad alta diffusione del virus, dove l’isolamento totale delle persone a rischio potrebbe essere decisivo nel miglioramento della prognosi. Mentre invece nelle aree dove ancora la situazione è sotto controllo potrebbe consentire la riduzione delle misure restrittive per la rimanente popolazione.
Ma soprattutto quello che per me è difficile da accettare è che l’intero paese sia portato, sull’onda di un terrore collettivo e sulla spinta di rigidità scientifiche che condizionano la politica e mettono a tacere ogni voce contraria, a scelte sempre più drammatiche e distruttive del tessuto sociale ed economico con il rischio di non ottenere nemmeno i risultati prefissi.
Grazie dell’interessante articolo. Il Ninistero della Saluta ha inoltre paerto un bando per imporre per legge un app che autorizza lo spionaggio di massa dei cittadini, forse come condizione necessaria per qualsiasi spostamento fuori comune.
Trattasi di FASCISMO TECNOCRATICO.
Ci chiediamo quale utilità possano avere delle app per smatphone ai fini del tecnocontrollo, qualora si consideri che la maggior parte dei giustificati motivi di spostamento non richiede alcun contatto preventivo in termini di chiamate o messaggi. Infatti, non usiamo il cellulare prima di recarci a fare la spesa, prima di andare in farmacia o a lavorare.
Fanno eccezione ora in banca, posta o per tutti i servizi essenziali che sono erogati previo appuntamento telefonico, per il quale risulta facilemnte ricostruibile larete dei possibili contagiati nei casi di esito positivo al tampone del COVID-19. In questi casi, è sufficiente consultare l’agenda degli appuntamenti registrata presso gli uffici visitati dal malato. E’ un metodo più rapido e non richiede alcuno spionaggio di massa delle nostre vite provate.
Marco De Antoni Ratti
Marco De Antoni Ratti, venerdì 27 marzo 2020, ore 14.30. Valeriano in la Spezia
(valido come prova legale a titolo personale)