Non è un quadro incoraggiante quello che emerge dall’indagine sul settore vinicolo nazionale e internazionale, condotta dall’Area Studi di Mediobanca su un campione di 215 società di capitali italiane con fatturato 2018 superiore ai 20 milioni di euro e ricavi aggregati pari a 9,1 miliardi di euro, e 14 imprese internazionali quotate con fatturato superiore a 150 milioni di euro che hanno segnato ricavi aggregati pari a 5,7 miliardi di euro. Inevitabile, innanzitutto, l’impatto della crisi da Covid-19 sia sui consumi che sulle esportazioni: le conseguenze, stando a quanto dichiarato dalle aziende intervistate, saranno peggiori di quelle del 2009, quando il 60,6% delle imprese vinicole subì un calo di vendite con una flessione del fatturato del 3,7% e con cadute oltre il 10% che riguardarono il 24,2% delle imprese.
Stavolta invece il 63,5% delle aziende prevede di subire nel 2020 un calo delle vendite con una flessione addirittura superiore al 10% per il 41,2% del campione. La contrazione dell’export per i maggiori produttori italiani nel 2020 è compresa tra 0,7 e 1,4 miliardi, mentre mancherà all’appello anche 1 miliardo dai consumi domestici: il totale stimato fa circa 2 miliardi di calo del fatturato, cioè tra il -20 e il -25% rispetto al 2019. Da notare che i produttori di vini spumanti esprimono attese meno negative rispetto a quelli di vini non spumanti: insomma di brindare a Prosecco c’è ancora voglia, un po’ meno di acquistare un buon vino da tavola. Per dare un’idea dei gruppi di cui si parla, i 10 maggiori player sono risultati essere: Gruppo Cantine Riunite & Civ, Caviro, Palazzo Antinori, Casa Vinicola Botter, Fratelli Martini, Zonin, Enoitalia, Cavit, Santa Margherita, Mezzacorona.
Lo studio di Mediobanca analizza anche la situazione pre-crisi, e cioè i risultati di queste realtà nell’anno solare 2019. E già qualche segnale di rallentamento c’era stato, visto che i maggiori produttori italiani hanno chiuso lo scorso anno con una crescita del fatturato dell’1,1%, un risultato modesto se confrontato con il quadriennio precedente (2014-2018) in cui le vendite erano cresciute a ritmi compresi tra il 6,7% del 2018 e il 4,7% del 2015. Il rallentamento del 2019 è però attribuibile solo alla dinamica negativa del mercato interno (-2,1%), in controtendenza rispetto all’export, che invece segnò una crescita del 4,4% rispetto al 2018 (anche se pure esso) lontano dalle crescite oltre il 7% del triennio 2015- 2017. Stavolta invece a segnare il passo sono sia i consumi domestici che le esportazioni.
Ma non erano solo questi i segnali negativi che aleggiavano sul mercato del vino già l’anno scorso. Anche gli investimenti materiali nel 2019 hanno registrato un decremento del 15,9% sul 2018, dopo quattro anni di forte crescita. Inoltre, il ricambio generazionale nel management (tema questo comune a tutte le realtà imprenditoriali italiane) è ben lontano dall’essere compiuto: nei board delle 138 aziende non cooperative, le posizioni occupate dagli over 74 sono ancora il 15,4%, poi ci sono i Baby Boomers (55-74 anni) con il 41,1%, i nati tra il 1966 e il 1980 coprono poco più di un terzo delle cariche, mentre è scarsa la presenza degli under 40, con il 6,6% appena.
Infine, la sostenibilità non è ancora un tema abbastanza sentito: su un totale di 39 imprese con fatturato superiore a 60 milioni (5,2 miliardi di fatturato aggregato), solo 7 imprese (1,6 miliardi di fatturato, il 31% del totale) redigono un documento di sostenibilità. In tema di certificazioni di sostenibilità, solo 5 società hanno aderito al progetto ministeriale V.I.V.A., e solo una società ha conseguito la certificazione Equalitas. Altre 20 imprese (2,3 miliardi, 44% del totale) si limitano a riportare sui propri siti internet alcune informazioni in materia di sostenibilità. Le restanti 12 società (1,3 miliardi, 25% del totale), di cui il 60% circa sono familiari, non fanno alcun riferimento alla sostenibilità nei propri siti.