A pochi giorni dall’avvio della “fase 2” dell’emergenza Covid-19 i cittadini cercano di organizzare il loro ritorno al lavoro. Tra i problemi che molti lavoratori si troveranno ad affrontare il principale riguarda la gestione dei figli durante la loro assenza, con il risultato che, senza un supporto adeguato, in molti casi uno dei genitori sarà costretto a lasciare il suo impiego per occuparsi dei bambini. Come da tradizione, il lavoro più a rischio sarà quello delle donne, che nel 2020 continuano ancora a pagare a prezzo altissimo la decisione di costruirsi una famiglia.
Ricapitoliamo: tra maggio e giugno riapriranno fabbriche, negozi, servizi e via dicendo. Le scuole però rimarranno chiuse, così come gli asili e i nidi. Se tutto andrà bene, la riapertura di queste strutture avverrà a settembre, mentre fino a giugno si continuerà (quando possibile) con la didattica a distanza. Nel frattempo centri estivi e luoghi di assistenza e supporto saranno anch’essi chiusi per evitare un aumento dei contagi da coronavirus.
Il decreto approvato dal Governo il 26 aprile non prevede nuove misure di supporto per la cura dei figli. A disposizione dei genitori rimangono il congedo parentale straordinario e il bonus baby sitter da 600 euro previsti dal Cura Italia. Entrambi i provvedimenti saranno rinnovati nell’ambito nuovo decreto economico che dovrebbe ricevere il via libera del Consiglio dei Ministri in settimana. Misure considerate unanimemente insufficienti in vista del ritorno in ufficio dei lavoratori. Il congedo parentale di 15 giorni per molti è già esaurito, e anche il rinnovo non basterà a sopperire all’assenza continuativa dei genitori al lavoro. Per quanto riguarda il bonus baby sitter, l’importo dell’assegno non sarà certo sufficiente per coprire le ore di un’intera settimana lavorativa.
Come fare allora a conciliare lavoro e figli? È questa la domanda che molte famiglie si stanno ponendo negli ultimi giorni. “Occuparci del dopo, significherà anche evitare il rischio che già molte famiglie stanno valutando ovvero quello di lasciare il lavoro per riuscire a conciliare le numerose esigenze di gestione della famiglia e in cui, si sacrifica la retribuzione più bassa che nella maggior parte dei casi è delle donne. Una scelta e dolorosa a cui ne conseguirà non solo un impoverimento della famiglia e della donna che avrà difficoltà di rientrare rapidamente quando speriamo tutto sarà finito ne mondo del lavoro”, spiega la coordinatrice nazionale Donne Fim Cisl network Daisy, Romina Rossi.
A pagare il prezzo più alto della crisi economica causata dal coronavirus rischiano di essere come da tradizione le donne, vale a dire i soggetti economicamente più fragili. I dati, d’altronde, parlano da soli: già prima dell’esplosione dell’emergenza Covid-19, il tasso di occupazione delle donne era molto più basso rispetto a quello degli uomini (50% contro 68%), con una differenza più ampia all’aumentare del numero di figli, ha fatto notare l’Istat. Nel nostro Paese un terzo delle donne lavora part-time (contro l’8,7 per cento degli uomini), mentre il 13,7% ha contratti a tempo determinato.
Un altro dato su cui riflettere è quello riguardante il gap di genere sulle retribuzioni. Secondo il report realizzato dall’Osservatorio JobPricing con Spring Professional, nel 2019 a parità di lavoro con uomo, una donna ha guadagnato il 10% in meno. In media gli uomini hanno ricevuto uno stipendio annuo più alto di di 2.700 lordi rispetto alle colleghe.
In base a questi dati non risulta dunque difficile comprendere quale sia lo stipendio da sacrificare in presenza di una crisi economica e di difficoltà nella gestione dei figli, col risultato che il gender gap anziché diminuire tornerà ad aumentare.
Cosa fare dunque? “Riteniamo necessario che il Governo metta in campo soluzioni per la tutela del diritto al lavoro e dell’indipendenza economica delle donne”, afferma la coordinatrice nazionale Donne del sindacato Fim Cisl. Occorre “un investimento maggiore in termini di stanziamenti di risorse economiche per sopperire al venir meno di tutte quelle strutture a sostegno della famiglia. Serve immaginare organizzazioni del lavoro che siano in grado di rimodulare orari di lavoro in funzione delle necessità di conciliazione lavoro e famiglia, rendendo più flessibile utilizzo del part-time, trasformando premi di risultato in permessi individuali, ed ampliando utilizzo di ferie solidali”, continua Rossi.
Nel prendere decisioni sulla fase post-crisi, occorre ricordare che in gioco non c’è solo la gestione dell’emergenza Covid-19 o della fase 2, ma il diritto al lavoro e all’indipendenza economica delle donne, da sempre sacrificabili e meno tutelate. Forse in presenza di una crisi tanto grave da sovvertire l’economia mondiale, sarebbe il caso di sovvertire anche le regole che relegano il sesso femminile ai margini della catena economica e lavorativa. La ripresa potrebbe cominciare proprio da qui.