L’economia mondiale fa prove di ripartenza, un po’ dappertutto, ma il graduale allentamento delle restrizioni alla vita sociale non vuol dire che quel che le imprese possono tornare a produrre troverà accoglienti sbocchi nella domanda. Le pur generose e costose elargizioni dei sistemi di sicurezza sociale non reintegrano tutto il reddito perso e, quel che è più grave, i consumatori sono poco bramosi di spendere, specie per beni di consumo durevoli, data l’incertezza delle prospettive. Questo è tanto più vero per gli imprenditori, che tengono nel cassetto molti investimenti, per i mille dubbi sulla domanda a venire.
La Cina, che è un breve capitolo avanti agli altri nella “storia” del virus, illustra la lentezza della ripresa, tanto che le autorità hanno rinunciato a prevedere il tasso di crescita dell’economia (che fin qui era fermamente stimato al 6% annuo), anche se il Fondo prevede, dopo una quasi stagnazione nel 2020, un +9% nel 2021. Questo rimbalzo tuttavia non recupera quel che sarebbe successo se l’economia cinese avesse continuato sui ritmi precedenti. Tale “non-recupero” è vero anche per le previsioni relative a Europa e Usa, con un’aggravante: il rimbalzo (sperato) del 2021 lascerà il Pil ancora sotto il livello del 2019. Le previsioni, naturalmente, sono soggette a revisioni in questa crisi anomala, dove la meteorologia economica si sposa all’epidemiologia. Revisioni che possono essere in meglio o in peggio, e la variabile cruciale sta nei tempi del vaccino contro il SARS-CoV-2.
Ci sono alcune sacche di inflazione, specie negli alimentari, là dove scarsità delle produzioni e domanda inelastica hanno portato a rialzi. Ma si tratta di fenomeni locali e temporanei. Nel complesso l’inflazione rimarrà bassa, (malgrado gli oceani di liquidità sparsi dalle Banche centrali) dato che la debolezza della domanda schiaccia i prezzi e l’alta disoccupazione schiaccia il costo del lavoro. Il caso del petrolio, dove un disallineamento fra domanda e offerta ha portato il mese scorso a episodi anomali di prezzi negativi, è emblematico. Le quotazioni del greggio restano sotto i costi del petrolio da scisti in America e altri tagli alla produzione saranno necessari. Il ricorso alle vendite online cambia le abitudini dei consumatori nella spesa, spostandola verso canali a prezzi più bassi e trasparenti. I corsi delle materie prime non-oil si mantengono bassi.
I tassi a lunga, sia in America che in Germania, sono tornati a scendere, sia pure di poco, sia quelli nominali che quelli reali. Ma i tassi reali, pur intorno al -1%, sono sempre di parecchio più alti rispetto al tasso di variazione (negativo) del Pil. A questa discesa fa eccezione il BTp, causa le insulse polemiche sull’accesso al Mes e la confusione sulle restrizioni, oltre al fatto che la caduta del Pil (tra il -9 e il -9,5% quest’anno, secondo Fmi e Commissione Ue) preoccupa i mercati. In verità, la sostenibilità del debito non dovrebbe essere un problema neanche per l’Italia, dato che gli acquisti delle Banche centrali, che stanno meritoriamente monetizzando il debito, sono irreversibili. Il peso del debito dovrà ormai essere valutato solo sul debito pubblico di mercato, consolidando la posizione finanziaria dello Stato con quella della Banca centrale.
L’ euro si sta indebolendo, di riflesso al differenziale di (de)crescita fra Usa ed Eurozona, che vede, pur nel disastro generale, un più forte impatto del virus sull’economia europea rispetto a quella americana. Lo yuan, complice anche qui una migliore performance – quella dell’economia cinese (che non conosce l’onta del segno meno) rispetto a quella americana – si sta cautamente rafforzando sul dollaro. Le relazioni fra Usa e Cina sono già troppo tese, e non è il caso di attizzarle con una moneta cinese più debole.
Il ritracciamento delle Borse lascia i mercati azionari a livelli che non sono in linea con l’esperienza storica. È possibile che le Borse abbiano abbracciato gli scenari più ottimistici, ma ci sono altri scenari, più probabili, che dovrebbero portare a un maggiore allineamento con gli utili aziendali, che rischiano di crollare per ordini di grandezza superiori a quelli del resto dei redditi.