Le considerazioni sulle responsabilità di chi opera nel pubblico e di chi presta la sua opera nell’ambito della comunicazione, espresse ieri dalle colonne del Corriere della Sera da Piero Bassetti, primo Presidente della Regione Lombardia, impongono a tutti un’attenta riflessione sulla confusione, in atto da troppo tempo, nel modo di lavorare nell’informazione. Alla richiesta di un commento ai continui e molteplici interventi di esperti e ai difetti della comunicazione in tempi di Coronavirus, il politico Bassetti, ex imprenditore ed ex atleta, oggi novantenne, rileva che “se il metro della comunicazione è quello degli influencer non ci sarà mai scampo. È vero, i gossip vendono e vendono più della notizia. Ma bisognerà trovare un rimedio…altrimenti diventeremo tutti imbecilli. Io penso questo: ogni imbecillità fornita come comunicazione, uguale più imbecilli”.
Alla mancanza di politici del calibro di Winston Churcill e di Alcide De Gasperi (il Presidente del Consiglio dell’Italia della ricostruzione che si fece prestare un cappotto buono per andare a Parigi alla Conferenza di pace con i rappresentanti delle potenze alleate) lamentata da Ernesto Galli Della Loggia nei giorni scorsi sul quotidiano milanese e ricordata nell’intervista, Bassetti risponde che lo statista della Democrazia Cristiana “oggi farebbe fatica ad avere un titolo sui giornali. Non farebbe notizia. Addio pensiero: non vende”. E questo non è che l’ultimo dei richiami in ordine di tempo a quella che è divenuta ormai un’emergenza certificata anche dal fact-checking delle principali notizie false sul Covid-19 che l’Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, è stata costretta a pubblicare, con le 10 tra le bufale più diffuse in Italia, Gran Bretagna, Francia, Germania e Stati Uniti.
Si tratta di una conferma che il focolaio di “imbecillità” non è circoscritto purtroppo al nostro Paese. Un fenomeno non nuovo che aveva convinto, nel Settembre del 2018, l’allora Commissaria europea per l’Economia e la Società digitali la deputata bulgara Marija Gabriel a stabilire un “Codice di condotta per combattere la disinformazione” che sarebbe dovuto essere sottoscritto dai grandi operatori del settore tra cui Facebook, Google e Mozilla, oltre ad alcune associazioni di piattaforme e di agenzie pubblicitarie. Nel Codice si prevedono una serie di impegni: l’interruzione delle entrate pubblicitarie ad account e siti web che diffondono disinformazione; l’aumento della trasparenza della pubblicità politica; l’individuazione degli account falsi; la segnalazione di notizie false; il monitoraggio della disinformazione online e la tutela della privacy.
Visti i risultati, in questo moderno “Far west”, più che l’ennesimo richiamo alle regole deontologiche o ai regolamenti, si dovrebbe cominciare a “mettere in quarantena l’era dell’irresponsabilità” prendendo in prestito il titolo dell’articolo di fondo del 5 marzo del direttore de “Il Foglio”, a partire da chi ha responsabilità di Governo fino a chi opera nel variegato mondo della comunicazione dal giornalista, al fotografo; dallo speaker radio- televisivo, al blogger. E forse dovremmo fare nostra la proposta che concludeva lo stesso fondo di Claudio Cerasa: “E se la finissimo di sparare cazzate?”, dal titolo del libro scritto da Daniel Cohn Bendit.
°°° L’autore è un ex giornalista Rai, che è stato responsabile della Comunicazione di Rai1 e Rai2, ha fatto parte dello staff del Direttore Generale della Rai, Raffaele Minicucci e dal 1992 al 2015 ha coordinato la Comunicazione del Festival della Canzone italiana di Sanremo.
Ottima osservazione pacata e ragionata , speriamo trovi consensi nei piani alti