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Covid-19, come ricapitalizzare le imprese: proposta Assonime

Imagoeconomica

L’emergenza sanitaria legata al coronavirus ha scatenato una crisi economica senza precedenti, in Italia e nel mondo. Questo è chiaro e noto a tutti; un po’ meno chiaro è invece avere delle idee su come uscirne. Una di queste la offre Assonime, l’associazione delle società per azioni italiane, che intanto prende atto del fatto che le misure del Governo per mantenere a galla le imprese sono da considerarsi positive ma non potranno durare in eterno. Anche perché aumentare troppo il debito pubblico oggi significherebbe comunque posare un macigno sul passo della ripresa dopo la crisi. “Le imprese possono gestire inizialmente il maggior fabbisogno di liquidità grazie al Decreto Liquidità – sostiene il documento di Assonime -. Occorre però riflettere sui modi per alleviare il peso di questo strumento, offrendo alle imprese uno strumento di ricapitalizzazione”.

La proposta è dunque quella di creare un nuovo soggetto, un fondo di investimento a capitale prevalentemente pubblico, che possa supportare le imprese italiane nella difficile fase di ripresa dell’economia dalla crisi del Covid-19 attraverso: nuove iniezioni di capitale; nuove iniezioni di liquidità, trasformabili in capitale a determinate condizioni; un incremento della propria patrimonializzazione attraverso operazioni di debito-equity swap. “L’intervento del Fondo – suggerisce Assonime – dovrebbe essere temporaneo, senza diritti di voto o con limitati diritti di voto tesi a preservare i valori aziendali; si dovrebbero prevedere meccanismi di uscita verso gli stessi azionisti o verso il mercato. Gli azionisti manterrebbero la gestione dell’impresa, ma sarebbero vincolati nella distribuzione degli utili, nei compensi del management e nell’acquisto di azioni proprie”.

La dimensione di tale fondo è ipotizzabile in circa 20-25 miliardi, e le società target sarebbero identificate tra le società non finanziarie con fatturato superiore a 25 milioni o più di 50 dipendenti, ma non superiore a 5 miliardi di fatturato. Quelle più grandi infatti potranno presumibilmente assorbire l’impatto della crisi con mezzi propri attraverso il mercato, mentre per le imprese più piccole gli strumenti da trovare sarebbero altri. Guardando i dati di bilancio del Cerved, su 720.000 società attive viene fuori che per le imprese che prima dell’epidemia non avevano cash flow negativi, il fabbisogno aggiuntivo di liquidità per la crisi viene stimato intorno ai 30 miliardi, con un’ipotesi più pessimistica che si aggirerebbe sui 50 miliardi.

Le forme tecniche attraverso cui l’investimento può avvenire dovrebbero includere: la sottoscrizione di aumenti di capitale; la sottoscrizione di strumenti ibridi (ad esempio strumenti finanziari partecipativi); la concessione di prestiti convertibili in strumenti di capitale delle società target. Lo scopo del Fondo sarebbe dunque quello di supportare le società italiane non finanziarie attraverso l’investimento temporaneo in capitale di rischio e “quasi di rischio”, diretto o attraverso la conversione di crediti detenuti da banche italiane. Gli investimenti sono attesi essere di medio periodo, di minoranza, con possibilità di uscita a partire dal quinto anno. La durata del Fondo sarebbe infine di 20 anni, ma prorogabile.

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Categories: Economia e Imprese