Da settimane lunghe code si formano quotidianamente davanti alle filiali di tutto il Brasile della banca statale Caixa Econômica Federal. Sono i milioni di disoccupati, lavoratori informali e autonomi rimasti senza lavoro a causa della pandemia in fila per richiedere il contributo d’emergenza promesso da Bolsonaro: 600 reais al mese (95 euro), per tre mesi.
I numeri mettono a nudo le fragilità del paese. Su una popolazione di 210 milioni di abitanti, sono 97 milioni coloro che hanno presentato domanda per ottenere il beneficio del governo: 50 milioni di istanze sono state accettate, 26 milioni rifiutate, 12 milioni devono ripresentare richiesta a causa di vizi burocratici e 5 milioni sono in fase di analisi.
Il sistema avrebbe dovuto essere automatizzato, con le richieste da inoltrare attraverso un’applicazione apposita. Ma le buone intenzioni si sono scontrate con la realtà nuda e cruda del Brasile. Errori tecnici, burocrazia e la scarsa abilità di gran parte della popolazione nell’usare la tecnologia e i canali digitali hanno portato milioni di persone a presentarsi agli sportelli. Le scene sono di assembramenti e file chilometriche che iniziano di notte.
Ad aprile sono stati erogati 35 miliardi di reais (5,6 miliardi di euro), secondo il governo. Le previsioni sono che il pacchetto economico costi in totale 122 miliardi di reais (19 miliardi di euro). Il problema principale è far arrivare i soldi nelle tasche di chi ha più bisogno visto che l’economia sommersa è vastissima. Prima della pandemia, l’istituto di statistica (IBGE) stimava in 38 milioni i lavoratori in nero, il 40% della forza lavoro. E in 12 milioni i disoccupati.
Ora, con l’economia che gira al minimo da due mesi, ci sono da calcolare anche i 6 milioni di lavoratori in cassa integrazione, oltre ai piccoli imprenditori e ai commercianti dei servizi non essenziali praticamente fermi e sull’orlo del fallimento. Con il paese impegnato sul fronte caldo della fase 1, non si sa cosa sarà di loro visto che la fase 2 non è nemmeno in discussione.
Per stimolare l’economia, la Banca Centrale è intervenuta ripetutamente con tagli al tasso di riferimento, oggi al 3%, il valore più basso della storia. Intanto il cambio col dollaro si è impennato e ha raggiunto i 6 reais. Le stime interne indicano un crollo del Pil del 3,8% per quest’anno, ma la Banca Mondiale e l’FMI fanno previsioni ancore più nere, rispettivamente del 5% e del 5,3%.
Eletto con la promessa di rilanciare l’economia, dopo anni di contrazione o crescita bassa, la strategia di Bolsonaro è quella di fare pressione su governatori e sindaci, che hanno in mano le leve per decretare le misure di quarantena, per riaprire tutto il prima possibile. “Gli imprenditori mi dicono che sono in terapia intensiva. Sai cosa accade dopo: o torni a casa o vai all’eterno riposo”, ha detto in settimana.
I grandi industriali sono con lui. In settimana il presidente si è recato con una delegazione di 15 imprenditori alla Corte Suprema per chiedere ai giudici di obbligare gli amministratori locali ad allentare le misure di isolamento sociale. Ad oggi, sono 10 mila le vittime di covid-19 in Brasile, su ritmi di 800 al giorno. Il ministero della Salute ha ammesso che non sa quando si raggiungerà il picco, forse tra giugno e luglio.
Nel frattempo, le assurde dichiarazioni di Bolsonaro che minimizzano e ironizzano la pandemia stanno facendo scappare l’ala moderata che appoggiava il presidente. Dopo la cacciata dell’ex ministro della Salute Luiz Henrique Mandetta e le dimissioni del superministro della Giustizia ed ex giudice della Lava Jato (la Mani Pulite verde-oro) Sergio Moro, anche il partito Novo, che rappresenta la destra liberista, si è sganciato dal governo.
Nonostante il calo nella popolarità e il rischio impeachment, il governo Bolsonaro continua a godere del favore di grande parte dell’imprenditoria. Le speranze in realtà sono riposte nel ministro dell’Economia Paulo Guedes, economista della scuola di Chicago, e nell’agenda liberale con ricette opposte a quelle della sinistra che ha governato per 13 anni.
Già prima della crisi sanitaria, Bolsonaro ha tagliato i fondi e il numero di famiglie che avevano diritto alla Bolsa Família, una specie di reddito di cittadinanza per i più poveri implementato sotto il governo Lula e che ha sollevato dalla misera milioni di persone. A soffrire sono soprattutto i gruppi tradizionalmente esclusi: neri delle periferie, lavoratori poco qualificati e delle aree rurali.
“La Bolsa Família ha perso spazio nel corso del tempo e questo spiega l’aumento del peggior tipo di disuguaglianza che è quella dell’estrema povertà”, spiega Mario Neri della Fondazione Getúlio Vargas, uno dei centri di ricerca economica più autorevoli del paese.
Un milione e mezzo di persone sono state ritirate dal programma sociale negli ultimi mesi mentre il non aver agganciato il beneficio all’inflazione ha fatto perdere a queste famiglie il 19% del potere d’acquisto dal 2015 ad oggi. Eppure la Bolsa Família costa lo 0,4% del Pil e fa girare l’economia: ogni real concesso ne rimette in circolo 1,78, secondo la fondazione.
Guedes ha promesso una ripresa rapida, a forma di V. “Sorprenderemo il mondo”, ha detto qualche giorno fa. Il mercato per ora gli dà fiducia, ma l’anno scorso, nel primo anno di governo, lo shock economico non c’è stato: con uno scenario favorevole, il Pil è cresciuto appena dell’1,1%. Adesso, a sparigliare le carte, ci si è messo pure il coronavirus.