Il Covid-19 sta mettendo a dura prova il modello sanitario lombardo, come è evidente da almeno due mesi. Ma anche nervi e fegato dei milanesi non contagiati sono messi sotto pressione, almeno quelli – e sono tanti – che rientrano in due categorie, gli automobilisti e i frequentatori delle località balneari liguri.
Partiamo dalle auto.
LOMBARDIA: LA SITUAZIONE DEGLI AUTOMOBILITSTI
In condizioni normali gli ingressi di vetture in città sono intorno a un milione al giorno (Giuseppe Sala, aprile 2019). Il virus ha spinto l’Amministrazione lombarda e quella milanese – impressionate dal rischio di contagio su mezzi pubblici sovraffollati – a “consigliare” l’uso dell’auto, meglio se con il solo conducente a bordo, oppure quello di biciclette e monopattini. Però solo l’ultima parte del consiglio è stata seguita da fatti, con sgravi per gli acquisti delle due ruote e con corsie ciclabili nel pieno delle vie più intasate: corso Venezia, piazzale Oberdan, corso Buenos Aires, piazzale Loreto e presto anche viale Monza. Corso Buenos Aires fino al gennaio scorso vedeva transitare 100mila persone al giorno, attratte da più di 350 punti vendita. Marciapiede abbastanza ampi, auto parcheggiate da entrambi i lati, spesso, purtroppo, in doppia fila, due o tre corsie per senso di marcia, quando le condizioni lo permettevano, e un paio di svolte a sinistra permesse e semaforizzate.
Oggi esiste un’unica corsia per senso di marcia e il progetto a regime prevede anche (lodevoli) fioriere sui marciapiedi, dove già incombe l’ipotesi di offrire spazi per tavolini esterni ai locali pubblici. Risultato: ciclisti impauriti e in difficoltà, automobilisti in furibonde e inquinanti code, ambulanze a passo d’uomo, pedoni obbligati a stringersi, anche se c’è ancora molto smart working, compreso quello delle scuole. Però, tranquilli, era tutto previsto. Per l’assessore all’urbanistica “è inevitabile che, riducendo la capacità della strada, ci sia più spazio per bici e pedoni e meno per le auto” (Corriere della Sera, 20 maggio). Fa eco Paolo Pileri, professore di Urbanistica al Politecnico milanese: “Il diavolo e l’acqua santa non possono convivere” e l’attuale situazione lo dimostra, “occorrerebbe creare spazio per mettere così tante bici in strada”. Di più: “Le piste riservate alle due ruote si devono fare dove servono, non soltanto dove è possibile”. Gli altri, evidentemente, che si fottano.
In attesa che Milano faccia l’impossibile, come vuole Pileri, è forse utile sottolineare almeno due paradossi. Il primo riguarda la gestione e il secondo il vil denaro. Dal 2011, sotto la giunta Pisapia, la gestione è affidata a Pierfrancesco Maran, con competenze su mobilità e ambiente. Dal 2016 gli sono state attribuite urbanistica, verde e agricoltura. Ci si potrebbe aspettare un architetto urbanista, un esperto dei flussi di persone e di traffico. Invece no. È un consulente aziendale laureato in scienze politiche. Non stupisce che sia molto ascoltato il professor Pileri, lui sì, urbanista, ma soprattutto ideatore della ciclovia Torino-Venezia.
Scelta di campo ovvia, ma con strascichi economici. Tutti, automobilisti compresi, gradirebbero aria più pulita, magari ottenuta grazie a flussi rapidi e sicuri, ma anche in virtù di campagne per il rinnovo del parco di vetture circolanti. Di sicuro un desiderio accomuna chi è al timone del governo centrale, di quello lombardo e di quello milanese: non si possono perdere le entrate derivanti dal bollo (una volta era “di circolazione”…), né quelle dalle accise sui carburanti e quelle dall’Iva su benzina, revisioni, riparazioni, ma nemmeno quelle dalle soste a pagamento, dagli ingressi in area C (temporaneamente sospesa), dalle multe. Insomma, l’automobilista che non passa alla bici – perché più pericolosa o meno adatta ai suoi spostamenti – è meglio che non circoli, purché continui a pagare come se lo facesse. Il suo ruolo privilegiato è quello di sdraiarsi sul letto di Procuste.
LOMBARDIA E SECONDA CASA IN LIGURIA
Quasi altrettanto tragicomica rischia di essere la sorte, oggi, di chi frequenta la Liguria, specialmente se ha una seconda casa sul posto. La Regione vuole l’arrivo dei milanesi, almeno così pare. Anche perché possono salvare una stagione che difficilmente vedrà importanti arrivi dall’estero. Quello che non è gradito – ed è comprensibile – è il ritorno di coronavirus importato dalla Lombardia. Un fattore che rinnova l’avversione della popolazione locale, spesso infastidita dall’invasione, eccessiva e chiassosa, dei turisti provenienti da Milano. È vero che le seconde case di Rapallo e Sestri Levante, per fortuna, avranno il privilegio di pagare Imu e Tari anche se i proprietari non potranno entrare in Liguria, ma per assicurarsi contro atteggiamenti troppo disinvolti, ci sono già comuni in cui si prevede che la mascherina sia da indossare anche sotto l’ombrellone (distanziato). Entrare in acqua sarà possibile, ma i bagnini e la Capitaneria vigileranno per evitare che in mare ci sia qualche scambio di saluti troppo ravvicinati.
Le norme, al momento, non risparmiano nessuno. Ieri a Sestri Levante un residente ha chiesto se fosse possibile fare il bagno in mare, almeno in momenti di scarso affollamento. La risposta della Polizia locale è stata affermativa. Però, visto che la persona abitava a cento metri dalla battigia e non aveva quindi bisogno di arrivare sul luogo in auto, avrebbe dovuto uscire da casa in costume, senza nemmeno infradito e accappatoio, perché sulla spiaggia libera non sarà consentito abbandonare alcunché, nemmeno per pochi minuti, onde evitare sanzioni. Se la norma sarà confermata e, ovviamente, estesa ai turisti, probabilmente vorrà dire che la Liguria in realtà non gradisce il loro arrivo. Dopotutto, basta che facciano un consistente bonifico, tanto si può effettuare comodamente online da casa propria.